Transito |
||
L'autunno
che dispiove
L'autunno
che dispiove caligine
è
lo schianto a dirotto di anima e cielo-
al
riacuirsi dello squarcio, nei barbagli,
che
tutto ciò che ti palpita è mortale,
le
mani che ti disfiorarono i capelli
e
riammorbidiscono l'impasto,
il
volteggio del canarino estatico della tua solitudine.
E
i trilli ti si inumidiscono in pianto,
se
al suo stacco
lo
sguardo rimira, nel volteggio
una viva e morta silhouette.
8
novembre 1994, martedì
O
Tu, Onnipresente
|
O
Tu,
Onnipresente,
che
al mio amorino volatile stai sospesa d'intorno,
tu
che con le mie stesse mani che lo sovvengono
incessante
ne trami e sventi
interminabili
insidie,
tu
vivificalo quanto più a lungo,
differiscilo
fino al termine ultimo,
ché
non so come sostenere, un giorno,
la
cessazione della sua grazia
in
un rifiuto corrotto,
quando
l'ancestrale timore del suo esilio animale
più
in lui non svoli mirando alle stelle,
come
le sue pupille nella fissitudine intrepida
di
che solitudine,
da che lui, così fragile e indenne,
non
è che l'uccellino più comune
imprigionato
al mio fato.
Macchie
oculari
Ora,
che non ho più che sensori del vilipendio,
fra
vigilantes, insonni,
anche
dell' accorrere di sparuti uccellini
al
mio balcone deserto,
e
che desolata di ospiti
è
pure quella piccola ciotola,
eppure,
ad
ogni giorno di nuovo, su altri rifiuti e polvere,
la
vita nella morte, ogni splendore glorioso,
per
me risorgono, in incanto
nel
nutrirlo ancora di miscelati grani,
al
becchettio che ne sostenta l'aereo canto,
chiedendo
io ancora all' Angelo soccorso di vita
finché
possa la mia remissione del canto
ancora
confortarsi dei suoi suoni d'acqua,
ma
chiedendoGli il soccorso
non
un solo attimo, di più,
come
l'esserino reclini sotto l'ali
per sempre,
dispento
per sempre alla quiete e al volo.
Fino
ad allora esaudendomi il suo sostento soltanto
nel mio cammino fra gli uomini di polvere e rovi .
Cantino,
altri,
|
Cantino,
altri,
l'
ardore di Ero e di Leandro,
nella
carne la spina di uno sposo divino
che
tramutò il derviscio in coppiere del proprio Signore,
chi
in una tale notte, nel risveglio dell'alba,
sognò
mille e una notte incantesimali,
presagì
la morte nell' allodola fugace,
io
canto invece uno stupido uccellino
che
non varia e ripete con il canto
un
istinto di terrore,
lo
stupore a ciò che non sia il moto
e la quiete,
Eppure,
per me, qui è alfine con lui
pienezza
d'affetti,
intimità
d'accordo, respiro
di vita.
24/5/95
E
tu, estatico uccellino,
E
tu
estatico uccellino,
che
nella tua lievità animale sei tutto
quello
che può essere un Angelo,
al
tuo fissarmi senza chiave di cifre,
enigma
senza arcani, istintuale e puro,
tu
che istantaneo ad ogni variare di stato,
nel
terrore tuo vago,
di ogni orrore in agguato,
pure
sei tutto ciò che può incutere un uomo,
nella
mia cura che ti vela ed avvolge
Tu
sei la paura di me riflessa
che
così ci detiene,
l'uno
la vita dell' altro,
finché,
nel chiaro di luna,
ti
fai sul posatoio più alto il tuo nuvolio di piume,
il
silenzio immoto del tuo incanto assorto nel sonno,
che
l'anima quieta nel divino
rapisce
e rende alla lama che sgozza
(variante:
oltre la lama che decapita e sgozza).
Padova
13/7/1995
Cade
ed incanta di fuori la neve
|
Cade
in un incanto di fuori la neve,
le
sommità imbianca di alberi e tetti,
è
un suo favillio il freddo tormento,
-dei
vetri e di tendami accostati
al
riparo si rispecchiano gli uccelli canori,
fervono
in briciole e grani,
"così
anch'io, l' anima si dice lieve,
sia
un volìo di ali e di piume,
quant'è
la quiete ed il silenzio.
Ma
oltre la neve e il canto
il
mirabile uccellino é
Ma
la neve sugli alberi e i tetti
Ma
la
neve sugli alberi e i tetti
che
oggi è rafferma e non è più domani
ti
raffredda che nemmeno dalla casa degli uccellini salubri
puoi
recare una manciata di semi di mostarda,
tanto
di meno quanto più si affolta,
pure
se vi si nutrono e ignorano e cantano
nella
morìa di fuori che batte ai vetri,
e
zampetta sulla coltre, vola più in alto,
per
un seme ancora che li scampi all' adiaccio.
31
dicembre 95
Nella
notte, tra le stelle,
Da
“Le ali della colomba” ( H. James)
Non
si può, le ho detto, fare più che vivere.
Nella
notte, tra le stelle,
che
estasi, se ti riguarda,
la
sua pupilla intenta e viva,
quando
al suo socchiudersi che implora il sonno
l'amore,
che sovviene,
d'
un manto celeste l'uccellino
propizia.
"
Dal tuo trespolo, fra le barre di luce,
e
tu non scendere più giù,
ove
si curvi la tua sagoma sui frantumi di sabbia,
nel
plenilunio di un pallore di piume
cessato
anche il canto
nella
quiete che langue,
mio
uccellino come lassù mirabile,
della
tua plenitudine soffuso.
Ora
ogni nuovo giorno, nella sua devozione
Ora
ogni nuovo giorno, nella sua devozione,
è
il tuo risveglio per accudirli,
a
che gioia sotto il velo di rivederli vivi,
che
già ti scrutano e divagano e si nutrono,
da
te in attesa di nuovo di novizie di semi,
prima
che tu te ne distacchi, li lasci,
usurandoti
dove per nessuno è niente
ciò
che tu sei, ciò che tu dici,
quale
sia la tua traccia nel divertito tormento.
Intanto
che nella tua polverosa stanza, di libri e ripiani,
essi
mirano a tende e finestre
che
impediscono l'aria,
ai
passeri che accorrono ai semi del balcone.
Finché
non si posano nell' assopirsi del moto,
si
fronteggiano e contemplano di se stessi beati.
"
Che si può più che vivere,
che
svariare nel volo e nel canto?
Buono
assai il seme, deliziosa la mela che porgi..."
E
se disfatto di ogni vano attenersi,
di
ogni darsi pena di esigere ancora,
sai
ritrovarti nella dispersione degli atti,
quando
tu più che amarli e dirne non puoi,
vedi
in loro scrutarti una gratitudine vivente,
qual'è
la benedizione della tua vita,
di
ogni suo giorno ancora che sia.
(
Che ti bastino, come bastano a se stessi,
felici
di ciò che sono, di ciò che tu sei per loro).
Che
i tuoi angioletti
"Oh
Signore, fa che i tuoi angioletti
portino
la mia anima nel seno di Abramo"
E
risvegliato sul fare del giorno
per
l'apprensione di un grido,
al
cospetto di entrambe le gabbie avvolte dai teli
ti
sei chinato alla loro santità come al tuo aron,
ed
" ecco ciò ch' è la mia vita, ti sei detto,
la
mia grazia, la mia gioia.
Oh,
adorati piccoli servirvi,
piccoli
angeli celesti..."
Quando
il decretarne la fine in pasto agli elementi,
|
Quando
il decretarne la fine in pasto agli elementi,
fosse
il prezzo per le Indie ed il tetto del mondo,
per
un corpo dedito accanto, per il limitare infinito,
non
v' è rinuncia di cui non saresti capace
per
una loro sola nota in più felice.
E
in questo, nient'altro che in questo,
fronteggi
più ricco ogni tesoriere del mondo
(variante:
fronteggi tremante ogni tesoriere del mondo).
Tu,
morte
E accelera,
se puoi, il corso dei tuoi giorni,
nel
rifinire ogni scampolo di verso,
nel
dargli la veste che sia l'ultima.
Perché
sapendo rifinita l'opera,
-
il dolore, e tu non sai che giorno,
abbia
allora tanta forza di esploderti il petto
da
non sopravvivere allo schianto che cessò l'uccellino,
Che
alla sua pupilla che più non ti veda
non
ti sarà più che urlo di strazio
la
luce del mondo senza il suo canto.
9
aprile 96
E
non rigare di sangue i tuoi fogli
|
E
non
segnare di sangue i tuoi fogli,
non
stroncare ciò che sei di fallito,
ché
nelle mani incaute di chi non sa venerarli
ne
lasceresti l' armonia inaccudita.
Con
il risveglio al levarsi del telo
da
te attendono il seme che rechi,
il
ricambio dell' acqua, la pulizia del sito.
Se
per te più non c' è amore, o pegno memore,
volto
o affetto di umana bellezza
che
possa più tacitarti il richiamo della corda,
ora
che non puoi null' altro che disperare e patire,
e
ancora straziarti e soccombere agli atti,
è
in loro, incantevoli e inermi
che
per te Dio cela i suoi piccoli angeli,
è
in loro che tu puoi ritrovarti
bisognosi
e ignari nel servirli nel canto,
e
resistere agli uomini, ritardare ancora.
12
maggio 96
Poi
in morte dell' uccellino Bibò
(
ottobre 97)
Nel
sogno di che soltanto
|
Nel
sogno di che soltanto
tu
cantasti in gabbia,
tu
dormissi, uccellino mio,
nella
tua notte senza più fine.
Nei
turbini
|
Quando
tu anneri, di schianto,
odi,
come puoi,
che
a sventarti ti canta dal ramo:
"
Sopporta, ancora,
accudendo
morti di cui non hai più sentore,
non
accecarti la luce dei giorni
se
vi sopravvivi tra le fitte del seguito ,
persevera
ancora nel tormento del torto,
tra
i rami e l'aria di un cielo riaperto,
anche
se l'uccellino che vi canta non è più la sua anima,
ed
oltre la porta, ove il via vai si affaccenda,
non
vi è più padre e cane fedele,
tra
pareti inospiti, più avventate a rischio,
dove
ti toglie sempre più respiro
la
desolazione attonita nei doveri assidui,
rimani
tu fin tanto,
non
perderti, non devi,
che
nella sordità cordiale, riassimilato al calco,
di
quello che in te preme ed urge, e si dispera,
non resti che (di) ripulire dove tu c'eri.
23-
25 novembre 1997
Sono sempre più morte le loro carni,
Sono
sempre più morte le loro carni,
non
sente il mio sentore,
in
assenza di desiderio, di un mio risveglio,
la
luce di marzo mi illumina il giorno,
quand'
anche il loro volo a ritrarsi
è
un' ombra in fuga al di là dei veli,
nel
timore, presago,
della
cura che accudisce il solo superstite.
Ed
ai tasti, impaziente,
la
parola si detta solo per essere l'ultima.
1
marzo 1998
Che
divenga poi un sogno
(Leggendo
Novalis)
|
Che
divenga poi un sogno anche lo scempio,
una
incisione di alabastro la gola tagliata,
e
la parola la Fenice dei cari defunti
è
lo stame della luce di favola del giorno di marzo,
anche
della bocca che dilacera il filo
della
pupilla che allucina sui trespoli le morte visioni
è
l' incantesimo d'oro nell' arnia del miele.
2
marzo - 2 aprile 1998[1]
Poche
parole ancora
Non
parlarmene, poverino", sono le parole in cui non ho potuto evitare di
trattenere lo strazio, quando mia madre nell' udire Maria Callas in "
Ombra leggera" , ha detto che vi spaziava nel canto come il mio uccellino
defunto.
Parlandone
tuttavia come di un intrattenimento dismesso.
Intanto
che tra mio fratello e mia sorella ci rispecchiavamo l'uno il fallimento dell'
altro, nel silenzio, unanime, sul capo di imputazione che grava per questo
sull' ombra di mio padre, al loro agguato tesomi di fronte a mia madre, per
denunciarle che lei e mio padre in me avevano amato più di ogni altro, tra i
loro figli, il più mostruoso e incapace dei tre.
Confortandomi
che almeno nel giorno del giudizio, talmente sono inaridito in ogni altra
capacità di amore e di affetto, e sono incapace anche solo di prospettarmi un
seguito sessuale o di amicizie nella mia esistenza, sarà allora l' affetto di
cui sono stato capace per i miei uccellini, la memoria che non vuole procedere
oltre il morticino congelato del mio canarino - l' altra sera, giovedì, è
bastato che saltasse la corrente per quasi un' ora, perché disperassi anche
di conservarne almeno la salma nel freezer-, che costituiranno la sola
ricchezza, della mia miseria, che potrò portare di fronte al tribunale di una
vita che seguito irrevocabilmente a disperdere, senza remissione di sorta
fallimentare.
E'
per la disperazione
E'
per
la disperazione che non le valichi nessuno
che
ti accanisci a pulire le soglie,
è
perché tutto si insudicia, in quello che ti accade,
che
togli il riapparire dello sporco,
insistendo
nello sforzo, in ogni cosa che fai,
anche
se ogni cosa che fai è inutile cosa,
e
tenti, ancora, che finisca in un' arca
ciò
che riformuli,
di
riconvertire lo sguardo
di
chi si rifà un avvoltoio
alle
ferite ch' esulceri,
quand'
anche la parola più calda
non
è che l' estraniarsi più ravvicinato,
ed
il grido agli elementi
non
lancina che la miseria
del
tuo ridicolo che ansima.
Lasciandosi
in una corsia,- indisturbata-,
che ti annienti solo
l'angoscia.
Or
anche tu, nel sole di marzo
|
Or
anche tu, nel sole di marzo,
ti
vieni estinguendo primuletta gentile,
tu
che sorgendo a stento, tra le foglie già secche,
ne
onorasti l' immagine
distolta
dal canto,
nel
sole sempre più attenuandoti nei tuoi colori già languidi
sempre
più minima nei griniziti tuoi petali.
Intanto
che sopravvengono le viole di fronte ai defunti,
le
lacrime ai cigli di una memoria che seguita.
18
marzo 1998
Un
giorno di maggio, senza più lui
|
Nel
tardo pomeriggio presso di lei, ieri, di una domenica di maggio di cui si era
smorzata la calura, -il cielo solatio e incerto ventilato di fresco,- mia
madre per farmi vedere meglio le infiorescenze rigogliose, quasi fossero
ortensie, dei gerani che le avevo regalato, sollevando le persiane mi ha fatto
accedere al balcone dove li tiene: e ci siamo ritrovati nella ariosa vista
della città che mio padre amava tanto, che dà sul duomo,( sul)la piazza
Grande, l' Accademia, la vicina piazza di Sant'Agostino ed i tetti intorno e
le altre chiese del centro storico, ove poteva spaziare quel poco d'agio ch'
egli infine aveva acquisito, nella bella dimora ch'è divenuta ora quasi
sconfinata per mia madre soltanto.
V'era
una sedia a sdraio con dei cuscini presso la soglia del balcone, sul cui muro
di fondo mia madre mi ha mostrato l' illuminazione esterna che vi ha
installato, e che le consente, da che le sere si sono fatte calde, di
trascorrervi delle ore di
conforto tra il verde diramato di luce.
Quale
piacere così riposando al fresco, il farsi sera potrebbe ora costituire anche
per mio padre, mi sono detto, nella sua predisposizione che manifestava tra
noi, isolandosi in disparte, di
godersi finalmente in pace la dimensione fisica della propria vecchiezza,
intanto che come il primo giorno che sono ritornato in quei vani, dopo la sua
morte, la vista mi è corsa alla finestra accanto di quella che non è più la
sua ultima stanza, ove tutto è stato altrimenti ricomposto, e campeggia
soltanto, dei ricordi della sua agonia, la riproduzione appesavi al muro dell'
articolo, che gli avevo letto, sulle imprese di Marco Pantani all' ultimo
Tour.
"
Ieri è cominciato il Giro d'Italia- mi aveva ricordato poco prima mia madre-,
e mi è venuta una tale tristezza nel pensare a tuo padre, poveretto, che ci
teneva tanto a seguirlo..."
Di
lui avevamo parlato a più riprese, in precedenza, ma per le pratiche di
successione, per le richieste di rimborso degli Istituti pensionistici, a cui
mia madre aveva dovuto far fronte per gli ultimi suoi mesi di vita, a seguito
di quanto da parte di questo o quell' Ente, o Ufficio pubblico, si pretendeva
ancora nei confronti di mio padre, il cui interpellarcerne, era come se per il
tramite evocativo di noi coeredi, e legatari, lo riesumasse in vita per
chiamarlo ancora a rispondere, a dover versare e rendere conto.
Nelle
parole con le quali difficoltosamente riusciva a dirmene, mi ha riferito di
come per parte sua, sollecitata dai sindacati, intenda farsi riconoscere l'
indennità di accompagnamento che non ci è stata accreditata per gli ultimi
mesi di vita di mio padre, quando aveva perso l' uso degli arti, e nelle
ultime settimane, ci informò un medico, solo perché la circolazione del
sangue non doveva irrorarne la stazione eretta, egli poteva sopravvivere alle
crisi che gli sopravvenivano nel letto dov'era immobilizzato, perdutesi
intanto anche le sue giunture ossee.
"
E' perché adesso non ho altro da fare, che posso sostenere tutte le pratiche
che sono richieste...Occorre la documentazione di tutto, dell' esito di ogni
chemiotertapia, anche di ogni volta che la Croce verde è venuta qui a
prenderlo a casa... Prima l' indennità te la riconoscevano sempre, mi hanno
detto, adesso quasi mai...
Basta
che il malato possa raggiungere da solo la tavola da pranzo e non ne hai più
diritto...
"
E per lavarsi? E la cura della propria persona?"
"
Se solo penso a che sforzi mi richiedeva in bagno allora sorreggerlo, anche
quando non aveva ancora perso l'uso degli arti..."
Io
mi sono venuto ricordando come allora, di questi giorni, fosse per lui uno
strazio la stessa *propria magrezza cui doveva assistere, prima ancora dell'
introduzione della carrozzella che potè usare poco, e poi del letto
ospedaliero, nella sua stanza, quando già si correva il Giro di Francia .
"
Ma c' è ancora? mi chiedono adesso-E' ancora vivo? Ma Se è morto,
allora...", mi hanno detto e fatto capire più di una volta".
Così,
riferendomene, mia madre nemmeno si è indignata.
Quando
invece per le detrazioni, e le rese delle spettanze che ha già dovuto
versare...
Ma
che ci importava, più di tanto...
Ci
eravamo ritrovati ancora insieme, ecco che contava, e lei mi aveva ritrovato
che non ero più prostrato nell' affrontare la vita, mentr'io, insieme a lei,
ero venuto ritrovando la vita comune, l'esistenza generale, nel rinvenire
ancora il modo, rispetto a quel che ci capita, di farvi fronte nel ricorso a
degli altri, dei quali, tramite lei, in virtù del conforto che mi recava, si
era interrotta l'estraneità, nel cui blocco che mi esilia da me stesso e
dall' altrui sentire, ogni altro non mi è, generalmente, che una vane
esistenza dispersa nell' opinare comune, su cui sopraelevarmi con la scrittura
nel vuoto impotente di idealità irreali, io e lei riuniti insieme dopo
che domenica scorsa, e martedì, invano mi aveva atteso, allarmandosi e
telefonandomi già per questo, e che io, ieri l'altro, come poco prima mi
aveva fatto sentire nella segreteria telefonica, avevo trovato il modo di
farle pervenire la voce della mia angoscia, - la mia solitudine confortandosi
in lei già a pranzo, quando i tortellini
di ricotta che mi ha servito insieme con una specialità garfagnina, i
testaroli, mi ha detto che me li aveva preparati
invano la domenica prima, e la mia angoscia riconciliandosi con la mia
vita, continuamente a una stretta, tramite il suo dare tempo al tempo, a ogni
giorno la sua pena e il suo conforto, che prima o poi tutto di quello che mi
angustiava si sarebbe risolto, come era già stato altre volte...
E
senza ch'io debba trasmetterle il mio disperarmi in affanno, quanti sonni
agitati già turbano di notte la sua solitudine, come mi ha detto all'
andarmene, in cui i morti e chi è ancora vivo ritornano a tormentarla, nelle
situazioni opprimenti, del suo passato in famiglia,in cui seguita a trovarsi
coinvolta in mezzo, ad esservi presa senza potervi reagire, risvegliandosi che
non è ancora giorno tutta agitata.-
"
Almeno sogni anche mio padre? A me è
capitato più di una volta di sognarlo vivo, e mi ha fatto tanto
piacere..."
Almeno
egli potesse così ritornare vivo, essere ancora fra noi, anzichè doversi
ripresentare come il congiunto defunto, con ancora il suo codice fiscale, che
figurava negli atti notarili di cui mi trasmetteva mia madre una copia, perché
la mia quota di possesso della nostra casa già ceduta in affitto, figurasse
nel modulo della mia dichiarazione dei redditi, benchè non ne tragga
godimento di sorta.
Mi
ha accennato che sì, qualche volta le era capitato, ma in situazioni così
intollerabili, così penose..."
Ma
come altrimenti può essere ancora qualcosa, almeno in noi, quel caro, povero
spirito, altrimenti del tutto inesistente, più nient' altro che una salma fra
le infinite altre, laggiù allineate, nella oscurità che ritornava a calare,
poco distante, fra i loculi del cimitero dove ieri non sono ritornato a
trovarlo, ricordandomene quando era già tardi, benchè fossero solo le
quattro del pomeriggio, e mia madre mi ha sollecitato che restassi piuttosto
con lei, che mi chiedeva, fra le altre cose, se conservo ancora nel freezer
l'uccellino ch'è morto.
Eppure
successivamente, solo poco prima che mia madre mi parlasse dei suoi incubi,
mentre accudiva al cane ed io ero uscito sul balcone dei gerani, ho
risistemato su quella seggiola i cuscini maldisposti, quasi che così
agevolassi ch'egli potesse adagiarvisi meglio, a godervi il frescolino della
sera senza doverci restare a sentire in soggiorno .
Era
poi il verde ch' è cresciuto sterminato, i fiammanti papaveri tra le siepi
risorte di millefoglie, all' approssimarsi in treno della mia città fra i
campi, nel rigoglio ancora della primavera, della vita che seguita
ed ancora si inoltra, a ripeterla, nella
stagione estiva che di mio padre, come niente, ha assimilato e
conosciuto e ne oltrepassa la morte.
Ancora,
tra la spettralità dei morti
|
E
nelle
stanze riaccendi le luci, rifai giorno,
tra
la spettralità dei morti e l' irrealtà dei vivi,
nell'
invaso cieco della tua segregazione
ogni
tua forma una carenza tragica,
la
memoria che vi si scialba in un' avidità avara
quando
il deposito dei pegni non si fa vincolo,
nel
tramando, invano,
di
voci e di gesti
che
non si dimentichi.
Poesie
per il secondo mio uccellino superstite
15
giugno 1998
Io
cerco
Io
cerco se un' altra penna ti è caduta,
con
lo sguardo tu mi chiedi cosa cerco,
quando
o mio piccolo adorato
che
cosa cerco è se imminente
non sia il tuo strazio che ti è ignoto-
Haiku
1
Soffio
di vento,
l'
uccellino vi canta
l'
anima trema.
Haiku
2
Dall'
Ecclesiaste
Riso
di sciocchi,
crepitare
di ciocchi
sotto
la pentola.
Haiku
3
Svetta,
poi a sera
più
quieto l'uccellino
sul
ramo più alto.
Haiku
4. Suoni svanenti
Suoni
svanenti
siamo
e dileguiamo
nel
Tuo discorso.
Da
Agostino, Confessioni IV, 10
Al
volto sanguinante
Al
volto sanguinante
nell'
ilarità mortale
quale
ancora è il barlume ?
Ma
Che gridano i frantumi?
l'
erba madida di gelo,
quando
tu ancora non sai
avere
lacrime di pietra.[2]
gennaio
1998
Stenti, Arsa erba,
Stenti,
arsa erba,
d'amar
cosa mortale,
Che
altro, in Te?
19
marzo 1999
Neve
di pesco
Neve
di pesco
-fiorisce
il tuo incanto
ed
io m’acceco
(
variante: ed io che vedo?).
Che
divenga poi un sogno
Leggendo
Novalis
|
Che
divenga poi un sogno anche lo scempio,
una
incisione di alabastro la gola tagliata,
e
(che) la parola sia la Fenice dei cari defunti,
è
lo stame della luce di favola del giorno di marzo,
anche
della bocca che dilacera il filo
della
pupilla che allucina sui trespoli le morte visioni
è
l' incantesimo d'oro nell' arnia del miele.
2
marzo - 2 aprile 1998
Primo
haiku tra l' uomo e il suo secondo uccellino
I
Si
volge muto:
"
Mi distrae dall' eterno
quel
tuo affetto".
Secondo
haiku tra l' uomo e l'uccellino
II
Poi
in un volo:
"eccomi
ridisceso
con
te quaggiù".
Soffio
di vento Haiku 1
soffio
di vento,
l'
uccellino vi canta
l'
anima trema.
E
tu che non sai
E
tu che non sai
mirabile
a ogni alba
torni
a cantare.
Canti,
che non sai
Canti,
che non sai
che
anche tu avrai fine
prima
o poi.
E
torni al seme
E
torni al seme,
riassetti
le piume,
nulla
prima o poi.
Ritorni
in volo
Mi
giungi in volo,
se
mi assentai nel morbo
è
nube scorsa.
Che
assonnarti, uscendo
se
solo tu rispondi
al
mio richiamo.
Varianti
Che
lo lasci, vai,
se
solo lui risponde
al
tuo richiamo.
Che
vai, lo lasci,
...................
.............
Che
assonnarti, uscendo
Che
assonnarti, uscendo,
se
solo tu rispondi
al
mio richiamo.
Solo
soletto
Solo
soletto
sei
tu il mio ritrattino
chiuso
in gabbia.
Piume
d' uccello
Piume
d'uccello
del
visir trovarono
ladri
nel forziere.
Donde
non esci
Donde
non esci
dal
mio vano ritardo
tu
mi riaccogli.
Come
io al destino
Come
io al destino
tremi
alla mia mano
che
si addentra in gabbia.
13
luglio 1999.
Tremo
di gioia
Tremo
di gioia:
per
il taglio delle unghie
già
non me ne vuoi.
Lei,
su in alto
Lei,
su in alto.
nell'
incanto
delle
sue bianche piume,
intanto
che lui al fondo
la
pastura lo intride nella morte.
.
Non
ti sia gelido, caro,
Non
ti sia gelido, caro,
il
gelo che ti brina
a
preservarti.
Stanotte
Sei,
della luna,
nel
chiarore diffuso
mia
anima morta.
Nota:
l'anima morta è il mio diletto uccellino.
Che
altro io sono mai
Che
altro io sono mai
Al
fondo del volto
che
Te che amai.
Disvela
un raggio
Disvela
un raggio
nel
vuoto giorno
ch'io
sono morto in te.
Ci
sei, ancora
Tu
ci sei, ancora,
se
ti trattengo o caro
nell'
anima mia.
Senza
più foglie
Senza
più foglie
gli
alberi, la mia casa
senza
i tuoi voli.
5/12/99
Come,
non ci sei
Come,
non ci sei,
quando
se nel mio rimpianto
ti
ho vivo tanto.
20
dicembre 1999
In
quella foto
I
In
quella foto
a
che ti protendi
che
non sai...
Pochi
giorni, poi
II
Pochi
giorni, poi,
la
luce che ti specchia
della
tua morte.
Variante:
Di
lì a giorni,
la
luce che ti specchia
della
tua morte.
Nella
notte più limpida d'inverno
Nella
notte più limpida d'inverno
traluce
una croce in ogni stella
sulle
soglie all' ansito di ritrovarti assente,
nel
subentro del vuoto alle tue pupille
in
che sereno lunare di invetriate lacrime
diradatasi
la nebbia di infermità di affanni,
a
che la marcita solatia, il gremitìo,
non
siano su di te, sulle tue scarnite piume,
zolla
su zolla del dimenticarti.
Qui,
nello stesso alito, in silenzio,
del
gelo del Cocito che ti brina i resti.
Natale
1999
Il
più bel verso
No,
il più bel verso!...
a
costo della pena
della
tua morte.
Di
te a Natale
Come
di un gioco
che
si è rotto, più neanche
di
te si parla
Natale 1999
Nebbia
di gennaio
Nebbia
di gennaio,
ma
senza più voli d'ali,
brama
di semi,
ovunque,
io sia distante,
lì
ovunque io ti ritrovo.
Quando
cessasti
Quando
cessasti,
all'
atto dello schianto
nella
mia mano,
dimmi,
come trovasti,
tu
così piccolo e solo
le
Vie del cielo...
Sogno,
o è vero
Sogno,
o è vero?
che
nel duomo, sul metrò,
io
sono già con Voi.
Difetta
il verso
Difetta
ancora, il verso,
che
siate morti
per
salvarmi.
Di
che la mente
Di
che la mente
è
incapace, di vederVi
o
farne a meno?
Pure
nel dirsi
Tanto
più nel dirsi
che
non sei più niente
parlo
a Te vivo!
18
gennaio 2000
Al
margine di Attar
Il
verbo degli uccelli.
Prima
serie di dialoghi, alla conclusione.
E'
forse il vento
del
Tuo respiro, che dilegua
per
le Vie d'Amore?
Piangendo
il mio uccellino morto tra le pagine di Attar.
L'
evanescenza che disincarna le rose,
la
morte del canto, in un istante attimo,
alla
cessazione del battito di piume,
l'
orrore di cui spasimi della tua decapitazione,
ne
spasimi tanto che ti è respiro(,)
nel
gusto sapido che sopravanza.
redazione
ritrovata e riscritta il 30 gennaio 2000
Piangendo
il mio uccellino tra le pagine di Attar.
L'
evanescenza che disincarna le rose,
l'
orrore di cui spasimi della decapitazione,
ne
spasimi tanto che ti è respiro(,)
nel
gusto sapido che sopravanza.
redazione
ritrovata e riscritta il 30 gennaio 2000
Urqalya
Se
ora sei Luce,
resti
per me l'incanto
delle
tue piume.
5
febbraio 2000
Di
che, fosti ombra
Poichè
ombra sono i nostri giorni sulla tera
Giobbe,
8.9
Di
che, fosti ombra,
se
tanto mi eri in volo
luce
d'incanto.
Come,
fosti ombra
Poichè
ombra sono i nostri giorni sulla terra
Giobbe,
8.9
Come,
fosti ombra,
se
tanto mi eri in volo
luce
d'incanto.
26
febbraio 2000
Oltre
ogni cerchia
Oltre
le cerchia
mi
spezza l'andare oltre
le
tue morte ali.
A
un vivo canto
A
un vivo canto
sei
tu, che spengo al fondo
se
accendo l'audio[3]
Se
vivo, rido
Se
vivo, rido
io
solo che ti penso
è
te che uccido.
Del
volo d'ali
Del
volo d'ali/ dei voli d'ali
m'
atterra lo schianto
che
non è più il tuo.
Variante
Del
volo d'ali
mi
schianta precipite
che
non è più il tuo.
A
mio padre
Tra
noi a Natale
chi
a cederti il posto
di
una parola...
1999
Povero
padre
Povero
padre
che
miseri tuoi resti
a
farti vivo.
17
gennaio 2000
Ora,
a chi è dei morti
Leggendo
Mandel'stam
Dai Quaderni di Voronez,
Mi
sono perso nel cielo,- che fare?
Ora,
a chi è dei morti,
di
farsi amico
della
vita dei vivi.
O.
Bergamaschi
Caro
Magris,
anche
il mio secondo uccellino, poverino... Debbo dirLe questo nel trasmetterle
questi miei scarni testi, perché è Lui, il mio diletto, che commemora il
corpo delle poesie che Le invio.
E'
dunque destino che le vicende letterarie dei cantori delle mie contrade, come
dal compianto di Ser Blacatz trassero origini neoromanze, trovino una
fine di millennio nel mio compianto del mio canarino, per quanto io posso
avere in esse voce in capitolo.
Se
può andare a ulteriore memoria di quel caro esserino...
I
mottetti di Bach che per Santo Stefano sono andato ad ascoltare in una chiesa
della mia Città, è la prima musica che ho riudito da che non c'è più.
In
quanto esprimo, in tali componimenti, mi è grato, almeno, di continuare il
sentire d' un grande poeta mio conterraneo che è deceduto quest'autunno,
Umberto Bellintani:
Qui
è l'inferno
Ho
sentito un passero stridere
ghermito
da una civetta
e
ho maledetto Dio con tutta la mia anima
Gesù
Gesù perché sei crocefisso?
Perché
io sono nato?
Qui
è l'inferno.
(
Da " Canto autunnale")
Se
uccidi un grillo, quale strada
può
accogliere il tuo piede, quale cielo
il
tuo occhio?
......................(
ibidem, da " Continuare")
Del
poeta anziano può vederNe l' immagine nelle scene conclusive di " Voci
nel tempo", il gran bel film di Franco Piavoli.
Il
raccontino che allego, " Storia di una morte", è invece uno dei
primi che ho composto, nello scorso decennio, e l' ho "rivisitato",
con non molti aggiustamenti, per un premio al quale non manco mai di
concorrere inutilmente, siccome gentilmente i suoi organizzatori mi rinnovano
ogni anno l' invito a parteciparvi.
Spero
davvero così di recarLe il piacere di qualcosa di vero e di intenso, in
questo fine anno imbalordito di millenarismi vaneggianti.
Comunquesia
le mie più vive felicitazioni augurali
Odorico
Bergamaschi
Buchner
"
Il minimo fremito di dolore fors'anche soltanto in un atomo, apre uno squarcio
da cima a fondo nella creazione".
Buchner,
( Danton, III, 1)
Transito |
O.
Bergamaschi
Poesie
e versioni da rivedere
Lo
stesso conforto
Lo
stesso conforto, che in un sorso di vino,
ti
inoltra già al di là della sua fine,
l'
attesa e il desiderio, con la sua morte,
di
liberarti per la vita bella che continua
di
essere libero dall' assisterne la pena,
ti
conforta, che un giorno,
saranno
di liberazione per gli altri dalla tua
fine.
E
torna
E
torna in sogno
beccheggiando:
"
Nel tuo amore
tu
mi lasciasti deperire
ah,
maledetto!
maledetto!
maledetto!"
me
poverino... che /(oh)/ poverino...".
Non
canto
Non
canto,
non
musica, non voci,
dove
cessata è la sua allegria di voli,
non
il conforto di pianto
nella
trafittura che a ogni respiro
ti
è l’imperdonabile.
L'
evanescenza che disincarnano le rose
L'
evanescenza
che
disincarnano le rose,
la
decapitazione che tu spasimi tanto,
ne
spasimi tanto che ne trai respiro,
nel gusto sapido che sopravanza.
Alla
cessazione
Alla
cessazione del suo battito di piume,
con
il compiersi dello strazio
che
in lui ne facesti
è
la morte della grazia,
per
tua colpa,
che
in te sopravvive quale che sia l'istante.
(ne
facesti : strazio della grazia.)
Alla
cessazione
Alla
cessazione del suo battito di piume
con
il compiersi dello strazio
che
in lui ne facesti
è
la morte della grazia, che per tua colpa,
in
te sopravvive quale (che) sia l'istante.
Che
spasimo, le fiamme
miei
uccellini morti,
ad
ardermi in sogno
con
gli esserini vostri.
(var:
con i cadaverini vostri).
(varianti
miei
uccellini spenti)
Che
spasimo, le fiamme,
miei
uccellini morti,
con
le mie ad ardere
le
vostre carni.
Crematio
Ah
felicità
con
le mie ad ardere
le
vostre carni.
Fine
della raccolta
Transito |
fINE
1
8 novembre 1994, martedì
Addizione
( in una versione personalizzata)
...
.................
una
viva e morta silhouette.
All'
ottenebrarti, così tu precorri il verminaio,
la
sua assenza che ti invoca inaudita controvento (nel vento),
nello
strazio degli anni e anni che sopravviveranno
accanto
all' impagliatura nella tua vuota stanza dell' uccellino.
Egli
è stato il ferale dono che le sue mani
ti
recarono a conforto e compagnia.
Dalle
sue mani esumando l' amore che intride il pastoncino,
la
dedita cura al tuo idoletto,
che
sventi la morte anticipante.
Brevior
Nell'
autunno che dispiove caligine e barbagli
è
uno lo schianto a dirotto di anima e cielo-
quando
allo suo stacco dal dondolino
lo
sguardo rimira nel volteggio
una
viva e morta silhouette.
8
novembre 1994, martedì
Nell'
autunno che dispiove
quando
allo stacco dal dondolino
lo
sguardo rimira nel volteggio
una
viva e morta silhouette
2
Macchie oculari
Ora
che non ho più che macchie oculari,
che
sensori del tratto ancora di mortificazione del vilipendio da cui difendermi,
nel
ripercorrere lo stesso tratto di mortificazione
fra
i vigilantes, insonni,
anche
sull' accorrere di sparuti uccellini
al
mio balcone deserto,
al
balcone deserto,
desolata
di ospiti anche la quella piccola ciotola,
eppure
affranto dall'incombenza negli umani riguardi,
di
schianto in schianto di esagitati affanni,
nell'eccesso
ferito sui doveri degli atti,
senza
più rotte a uno squarcio di miraggi di varchi nei cieli,
senza
più il lascito, ancora,
per
ancora altri popoli e vestigia e miseria,
ricurvo,
ogni giorno di nuovo,
su
altri rifiuti e polvere di pochi metri quadri,
vita
e morte, ogni splendore glorioso,
eppure
risorgono in limpidità d'incanto,
sono
la luce che sfolgora ancora nella magnificenza dell'alba, nell'alba che
infresca,
se
madida di essa i suoi si riaccingono quegli
atti dimes/si,
non
sono più per la mia vita che un canto volatile,
vita
e morte riattinte riattinte, oltre l'oltraggio e la vanità del tempo, se
madido ne è l' esserino inesausto di inebriarsi
che
nella sua gabbia è quanto futuro ancora mi resta,
nel
becchettio riattinte che ne sostenti il suo canto volatile,
nel
nutrirlo ancora di miscelati grani,
nell'esserino
che è il tutto nella sua gabbia del futuro che resta,
per
pietà chiedendo ancora all' Angelo soccorso di vita
finchè
concorso di vita vi sia nel suo anelare alla luce nel canto,
nel
suo trascorrere quieto di semente in semente indorato di luce,
ma
soccorso io di vita fino a quando, soltanto,
la
mia sospensione del canto possa ancora confortarsi ancora
di
suoi suoni d'acqua,
per
pietà ma chiedendo allora soccorso di identici battiti, di morte,
non
un solo istante attimo, di più,
come
quando il capo sotto l'ali in lui reclini nel niente sonno per sempre,
per sempre
dispento
l'esserino per sempre alla quietudine ed al moto.
Fino
ad allora Esaudendo(mi) il sostento (possibile)
della sua grazia soltanto, di quietudine e moto,
il
mio cammino ancora di polvere e rovi fra gli uomini.
Che
resta, esaudendo il sostento della sua grazia soltanto,
in
di quietudine e moto,
del
cammino di polvere e rovi fra gli uomini.
Esaudendo
il sostento della sua grazia soltanto
in
di quietudine e moto,
che
mi resta del cammino di polvere e rovi fra gli uomini.
3
Potendomi esaudire
4
varianti.
è
mia la più tremante, favolosa ricchezza.
e
mia la più trepida ricchezza
una
favolosa ricchezza.
tengo
testa a ogni
fronteggio/
fronteggi più ricco ogni tesoriere del mondo.4
a
giungerti in aiuto, per portarti via
non
vi è più chi tuo padre e cane fedele
in
lui chi ti riappaia in lui,
in
chi era lui il solo lui( chi era fosse) il solo a giungerti a giungere a
recarti un in aiuto, a portarti via,
sempre
ove ora (sempre) più prigioniero di pareti inospiti, più avventate a
rischio,
Nei
turbini
Leggendo
"Il codice dell' anima".
:
Quando tu anneri, di schianto,
odi
l'altro, come puoi,
che
ancora a sventarti ti canta dal ramo:
"
Sopporta, ancora, in questo mondo che non vuoi più vivere,
accudendo
morti di cui non hai più sentore,
non
accecarti la luce dei giorni
se
vi sopravvivi tra le fitte di una resistenza atroce,
muoviti
ancora, nel tormento del torto,
tra
i rami e l'aria di un cielo riaperto,
anche
se l'uccellino che vi canta non è più la sua anima,
ed
oltre la porta, ove il via vai si affaccenda,
non
vi è più chi ti ricompaia padre e cane fedele
tra
pareti inospiti, più avventate a rischio,
ove
ti dà da vivere e ti toglie sempre più respiro
la
desolazione attonita nei doveri assidui,
rimani
tu fin tanto,
non
perderti, non devi,
che
nella sordità cordiale, riassimilato al calco,
ad
altri, di quello che in te preme ed urge e si dispera
non
resti che di ripulire
dove
tu c'eri.
(Variante:
(rimani
ancora tu fin tanto,
non
perderti, non devi.,
(lasciare)
che nella sordità banale, per l' incapacità a valere,
quel
che preme ed urge, e si dispera
sia
vanificato nella vanità cordiale.
Fin
ché alla riassimilazione del
calco
giace
ancora in te disfatto disperso
da
seguitare e compiersi il un tuo lascito.)
(
variando su " Il grande Gatsby":
non
perderti, non devi,
che
nella sordità banale, per la incapacità a valere,
quel
che preme ed urge, e si dispera
si
annienti nel refluo cordiale e indifferente.
Di
giorno, in giorno, nella riassimilazione del calco
disfacendosi
l'adempiersi del/ di un / lascito.
Il
Grande Gatsby, IX: " Ma volevo lasciare tutto in ordine e non dovermi
fidare che il mare cortese e indifferente spazzasse via le mie scorie".)
5
1
quando
( essi) non ne siano hanno occhiceruli artigli
a
dilaniarti anche nel sonno,
anche
interdetto, come tutti nel volto,
l'
andartene andarsene straniero tra stranieri,
eppure
è così
che
resta ancora da vivere,
tra
i tracciati residui, tra le residue tracce, in assenza d'eterno, alla brezza
alla
brezza d'azzurro nel verde.
1
1Vedi
Attar
[1]
Leggendo
Novalis
Che
sia poi un sogno anche lo scempio,
una
incisione di alabastro
la
stessa gola tagliata,
e
la parola la Fenice dei cari defunti
è
lo stame della luce di favola del giorno di marzo,
anche
della bocca che dilacera il filo
della
pupilla che allucina sui trespoli le morte visioni
è
l' incantesimo d'oro nell' arnia del miele.
Al
volto sanguinante
nell'
ilarità mortale
quale
ancora è il barlume ?
Ma
Che gridano i frantumi?
Senza
il Nome di un Volto
come
non credere che ai rovi,
l'
erba madida di gelo,
quando
tu ancora non sai
avere lacrime di pietra