Ah, ah, ah, non vi inganni il mio tono
di voce canterino, od il mio aspetto di tenero cucciolo, la finzione più
riuscita fra i tanti miei commoventi camuffamenti.
Mentre bambineggio, incanto,
favoleggio, o amenamente io cicaleggio, siate certi che nel mio petto è il
male, trionfante, che sta
celebrando i suoi più rigogliosi fasti.
Se per una triste fatalità sono inetto
ad essere virulentemente malefico, eccettuato il veleno che devo pur secernere
per sopravvivere, la mia impotenza trova purtuttavia almeno uno sfogo, me
inerme, godendo che almeno per altrui mano il male avvenga.
L'infelicità degli altri, infatti, al
postutto essendo il bene che più
bramo.
Nella mia vita, oramai al suo minimo,
che brivido di eccitazione mi coglie, in spasmodica attesa, ogni qualvolta mia
madre, più che mai premurosa, con che aria frenetica e contristata amorosamente
mi informa: " Ma lo sai chi è morto?".
" Chi, chi?", chiedo io
allora sovreccitato, avvertendo tuttavia che già scema la mia esaltazione,
allorché il nome dell'estinto è formulato.
Se ciò si verifica, puntualmente, io
credo che mi capiti solo perché la mia esultanza perde allora quasi tutta la
sua ampiezza, circoscrivendosi ad un solo limitato caso individuale.
Ugualmente una vertigine piacevole mi
fa suo, allorché seduto comodamente in poltrona, sorbendomi il caffè che la
mamma mi prepara e mi somministra, ad un annunciatore televisivo vedo pervenire
trafelatamente una velina, per cui egli si oscura subito in volto: " Ci
giunge ora un'improvvisa, gravissima notizia..." " Quale? Quale?
" comincia a chiedersi il mio cuore. "Non può essere l'ennesimo
attentato ad un poliziotto, a un magistrato, ma qualcosa di più, di molto più
atroce, una strage senza precedenti di incalcolabile orrore... No, non una
catastrofe naturale, lontano, nei paesi d'Africa o d'Asia, il solito ciclone o
monsone, di un numero elevatissimo di vittime apatiche, la cui entità enorme
non lo fa differire da un moschicidio, ma qui, nella nostra comunità nazionale,
qualcosa di mostruoso e che
potrebbe davvero un giorno o l'altro capitare a chiunque, nel momento stesso in
cui più intensamente gode la vita, anche a me, magari, ma dal quale per una
felice casualità mi sono salvato per un pelo, sì che sono qui sano e integro a
felicitarmene, mentre altri, là, giacciono inermi senza più vita, mutilati
brutalmente, forse nemmeno più riconoscibili, neanche più ricomponibili, non
più che tranci e lembi di nervi e carne...". Ed ecco che la radio e la televisione, provvide, offrono
giusto la notizia tanto sospirata: " Oggi, 2 Agosto, a Bologna..."
Poi che compiaciuto spettacolo, i
familiari delle vittime, vederli invocare negli anni invano giustizia, mentre le
autorità ne esortano le rivendicazione ed occultano le tracce...
Quasi che il diavolo nel fare a regola
d'arte le pentole senza i coperchi, non sapesse come nettare le proprie mani di
Presidente del Consiglio, della pece che lorda quelle di sicari e di mandanti...
Ah,
chi l' ha mai detto, che la realtà delude inevitabilmente le umane aspettative?
La realtà, almeno per quanto mi riguarda, corrisponde sempre, generosa, ai miei
più letali desideri. Essa infatti è un essere dalla complessione troppo
robusta rispetto a quella degli uomini, che troppo è alimentata dalla loro
nequizia, per poter evitare di calpestarne e infrangere i più delicati sogni, o
le più fulgide speranze, e non provocare le più immani sciagure, o scatenare i
disordini più sconvolgenti!
Oh, in che tempo felice vivo per i miei
istinti! Nel pio esercizio del sempiterno male, i miei istinti di che vecchia
data...
Ero ancora un tenero piccino,
amorosissimo, che già vivaci, ineludibili, essi davano evidenti segni di una
precoce esistenza.
Ricordo indelebilmente, di quand'ero
così bambino, che nei più solatii pomeriggi d'estate la nonna mi voleva sempre
accanto a sé, quando intraprendeva a leggere all'aperto il giornale di
provincia, mentre nella calura le mosche ci infestavano immancabili.
Insieme ne sfogliavamo in fretta le
grandi pagine, seduti sui piccoli sgabelli ravvicinati, per indugiare e
soffermarci partecipi solo sull'ultimo foglio della gazzetta, ove contornati in
un bell'ordine di stampa, in tanti trafiletti stavano allineati i tanti
necrologi, inconsolabili, ognuno come una tomba con una croce nera e la
fotografia del morto.
Certo non potevamo esimerci, dolenti,
dall'intonare i più convenzionali accenti di commiserazione: ma nell'intimo
nostro, necrofilo, oh, che piacevole stimolazione, quale euforico aumento di
vitalità, alla vista di quegli annunci subentrava all'apatia dei pomeriggi;
un'ineffabile ebbrezza, di sé inconsapevole, che ci faceva più capaci di
divertirci, infrescandoci come il vento, se serpeggiava nell' afa tra i tremuli
pioppi.
E quanto mi uggiava, il più delle
volte, constatare che al numero delle croci non corrispondeva un uguale numero
di morti; a un solo defunto, il più delle volte, tra partecipazioni e
compartecipazioni, essendo riservata anche più di una colonna di spazi
funerari.
Cara nonna... E la mamma, per parte
sua, che voleva sempre che la accompagnassi a rendere visita ai morti! Quanta
mia paura timida prima di accedere alla soglia funebre, quando poi, tra i ceri e
gli addobbi, era così delizioso fare il chiacchierino ed agitarsi sulla sedia,
di fronte alla silenziosa immobilità del morto cereo, quel baccalà di stucco,
mentre il compunto dolore dei suoi cari, per irritati che ne fossero,
doveva pur farmi buonviso lacrimevole...
Oh, si sa , tutto è perdonato ai
pargoli...
Ma l'illusione, allora, che i defunti
sopravvivessero alla loro fine animale in un al di là chiesastico, mi rovinava
la pienezza di tale esaltarmi.
Ora, beghino necrofago, simulando
afflizione e dolore del tutto fasulli, eccomici nei pressi, appena ne ho
notizia, che mi aggiro contrito ove incomba imminente una disgrazia, degli animi
affranti perscrutando ogni residuo barlume di speranza, ravvivandola sino a
infervidarla con commozione partecipe, perché poi il disinganno, la sventura
terrificante, più di schianto su di loro precipitino atroci...
Emunto il volto, tremulo il labbro, la
pupilla inumidita commossa, il cuore in balbettii di aritmie di una sfrenata
libidine...
Di tanta mia voluttà dell'altrui male,
io non credo esista spiegazione possibile. In me persiste senza origine certa. E
questo è quanto. In ogni caso, se ne pensi quel che si voglia, le mie
necrofilie non sono più delle signorine timide, che per uscire di casa, o per
vivere la vita, hanno bisogno di un'autorizzazione superiore; esse sono, e ciò
mi basta a legittimarle.
Oh, sanno benissimo, che se io cercassi
una loro origine, anche solo una qualche genealogia , sarebbe soltanto
per giustificarne infamie che mi
pesano. Ed esse non vogliono sentirsi affatto delle bastarde. Fossero anche,
come sono, delle inermi sanguinarie.
Miei signori Voi consideratele pure, se
volete, delle senz'anima disumane. Esse sappiano che tanto più per questo
godranno sempre, e comunque, della mia totale condiscendenza personale, ch'io
mai e poi mai le ripudierò.
Esse infatti, insuperabili, sono la mia
nuda e cruda verità.
Pertanto non invocherò, a
legittimarle, l'evidenza ch'io sia un infelice; né mi lamenterò, con accenti
che strazino, che perdurino insoddisfatti i miei appetiti carnali.
Che anche se io fossi il più esaudito
degli uomini nelle sue implacabili voglie, e tutto potessi ottenere di ciò che
il denaro può consentire, io non differirei in nulla da me stesso.
Onori, ricchezze, piaceri, le più
sublimi fruizioni spirituali, non sono valse, né varrebbero mai, a mutare
l'animo delle mie attitudini. Talmente sono ostili ad ogni pietà, nel loro
atteggiarsi nell'arte e nella politica.
Inquantoché come cittadino comune, nel
conflitto tra le forze della legge e quelle del crimine, io sono per la libertà
di un ordine perennemente ingiusto e della illegalità che vi è affiliata,
inclusavi ovviamente, di necessità, la sanguinarietà spettacolare di chi
presume di sovvertire e semina morte, così scatenando la sola reattività, a
tutela del potere dei forti, in cui la "giustizia" degli uomini non si
riveli impotente, insomma per ogni violenza "tout court", da qualsiasi
parte provenga inaudita. Sia per quella dell'eversione, che per quella della
repressione mai definitiva. Così come nei processi della civilizzazione
distruttrice, sono per tutto ciò che nel suo sviluppo riconduce sempre più,
fatalmente, sull'orlo dell'abisso
il genere umano.
L'arte, adunque, della cui retorica più
mi compiaccio, non è che un cogliere ed intessere i fiori e i crimini, è la
fatua magia che consente alla mano, che ha vibrato il colpo, poi di carezzare,
arrischiati all' insulto, più ancora delicate chiome o tremuli petali; l'animo
nell'aspergerli tremante, come già incline alla trama, sospiroso, di una più
tremenda ingiuria a quel fiore e a quel bambino.
L'arte, che mi strugge, è dunque la
promessa di un'incolpevole atrocità. Di efferati crimini compiuti con animo più
lieve di un volo di colombe.
Mentre di ogni umanesimo che celebra la
dignità del bipede, mi schifa l'alito dolciastro, quel suo cuore nobile grande
così...
Se si è così inteso il mio senso
artistico, il sangue ha dunque da effondersi dell'oltraggio, ov'io non spargo
che parole.
Per cui in ogni petalo di rosa di un
mio bel verso, è un crimine mancato che si stinge.
Ed in tanta mia disperazione di nato di
donna, di non potere compiere, a
loro scempio, quanto vorrei perpetrare dei corpi e delle menti dei miei simili,
che mi fa sentire ancora di esistere non è più che la constatazione
definitiva, leggendo i giornali, d'avere in me ucciso ogni pietà. Eppure, nello sfogliarne tutt' ora le
pagine patinate, ove lusso e torture si susseguono nei servizi illustrati, quale
idea mi perturba anche in tale consolarmi. Il sospetto ch'io sia
diventato, così, nient'altro che uno di Voi.