La festa nuziale

 

 

 

 

 

 

 

Come insistentemente, i giorni innanzi, lo sposo lo aveva invitato ad una così originale festa nuziale, che avrebbe condecentemente celebrato il vincolo delle due maggiorenti famiglie agrarie del paese, di rispecchiatissima fama democristiana. Un grande banchetto a svolgersi anziché nel chiuso afoso di un ristorante, nella nuova stalla fresca di cemento della sposa, aperta per la circostanza a tutti gli abitanti della frazione e del circondario, spersi nel rigoglio del cuore cerealicolo della Bassa Padania.

Un'autentica festa con balli, orchestra, vino, succulente braciole e salamelle, ed ulteriori cibarie e leccornie.

Nel bello di una calda e stellata sera a mezza estate.

Allorché il giovane poeta vi giunse, la festa nuziale già da un'ora era inoltrata. Ma gli bastò, nella vasta stalla inaugurale, vedere e udire confusamente tanto fervere di luci e di voci, come per inebriarsene all'istante. Che brulicante oltre l'atrio antistante, per l'occasione adibito a pista di danze, lungo le navate ancora vuote di bestiame tutto il paese era a sedere ai tavoli festante. Chiassoso e avvinazzato, i musi già unti e bisunti di intingolo.

Tra i resti di salsicce e di braciole scarnificate, e bicchieri di plastica e tovaglioli di carta, in piatti pur essi innumerevoli di plastica, affiancati già da quante sgolate bottiglie di bibite e di vino, ora toccava alle più appetitose fette di anguria e di melone, di essere sottoposte alle ridenti chiostre di quei rustici denti, inesorabili come a roderle voraci, tra uno squittio di gridii e il tinnulo di ilari chiacchiere; nel clamore contrappuntate da fragorose risate, precipitantivi scroscianti come cascate.

Quanta gioia, quanta gaiezza vi ferveva nell'aria!

" Che anch'io sia già parte della festa! Senza più indugi o remore di sorta!", il giovane poeta si risolse già entusiasta, e con quale eccitazione si fece largo sino al banco, a ritrarne anch'egli una fiammeggiante fetta di anguria, il cui divorarla si riprometteva non fosse che il primo rivelarsi di una memorabile ingluvie.

" Che vedano, i miei agresti compaesani, quale ilare crapulone anch'io so essere, quale gaudente beone in una così bella festa! Com'io so rivelarmi tutt'altro che uno sdegnoso asceta solitario! E non v'abbia ad essere, in quel di Leccardia, la predestinata comparsa di un triste poeta malinconico!"

Così ripromettendosi egli si sentiva già più amico a tutti quanti, più aperto alla vita e ad ogni caso, e gli era già più naturale

salutare e sorridere a chiunque, a chicche fosse tributare fugace uno sguardo radioso!

" Che bella è qui la festa! Quanta sapienza eppure è nel popolo e nel vino!", tra sé giubilava in un crescendo d'estasi, intento a sgranare frattanto la dolce polpa goduriosa di un'altra anguria appetitosa, intanto che all'esaltazione del fervore, delle luminarie e delle voci, si mescolava l'inebriamento del vino bianco degustato.

" Che bello, ch'io già sui libri chiuso in stanza, ora sia già così facile, plebeo, ad aprirmi alla crapula e al godereccio! Che vedano bene, or dunque, gli spiriti grami, com'io so essere in tutto un dotto e delicato poeta, quanto un sano spirito pantagruelico!".

Al ricordo, tra sé si schermiva frattanto di avere già assunto, nell'inverno dell'anima, i gelidi panni del demone terrorista, o nei delicati incanti di un'aprile d'amore, di avere modulato per ore, innanzi allo specchio, l'incantevole aria del ritratto di Tamino, sognando allora di essere ermafrodito, per potere così apparire sulle ribalte liriche tanto nei panni di un tenore di grazia, che nelle vesti di un soprano di coloratura mozartiani, trapassando, a piacere, dagli acuti accenti di vendetta di Donna Anna, infatuata e moralista, al canto dell'estatica bellezza, senza forza, dell'idolo suo don Ottavio.

E come avrebbe allora voluto, rubizzo e lustro, essere un onorato castrato del Settecento, per potere così intonare, dell'Alcina di Handel, le più sublimi arie di Ruggero!

Ora invece era in tutto un empio Margutte, un Falstaff, un Osmino da serraglio!

" Fa' ch'io rida, ... buffone!..." tra sé veniva egli intanto cantarellando, centellinandosi un ulteriore bicchierino, dal vinello in volto congestionato. E come di sé celiando, finanche faceva il verso a sue fresche intenzioni di suicidio, ai rigati fogli stessi sul tavolo a inumidire i postumi. Cosa mai dicevano, se ben ricordava? ah, sì:

"Da giovinetto, pur se infelice, non avrei mai supposto che la mia vita, avrebbe conosciuto il termine che le porrò fra poche ore! L'atto estremo, tuttora, mi pare un atroce destino che le infliggo! Io quanto ancora innamorato della vita! Ma la vita non si lascia da me vivere, ed io ne muoio per troppo amore, qual è di un amante che non l'ha delibata! Che così almeno un cadavere ancora inappassito, sia di me interrato nella buia fossa. Non ho più anelito, disilluso, di vivere ancora e di sentire, non ho più anelito, stremato, di albe e di tramonti. Etcetera etcetera..." Ah, ah, che follie da pazzi! Come a svanire, ora ridicole, nella baldoria sfrenata della festa!

Intanto il suo appartarsi discreto, come egli si riproponeva, gli conquistava già attenzione e sguardi affettuosi, con gli inviti ad unirsi a schiere di eletti amici. Ch'egli puntualmente declinava, con che affabilissimo disdegno superbo, dal bicchiere alzando vieppiù a fatica lo sguardo dintorno.

Davvero la festa gli pareva frattanto unire i cuori, e tutti, accalorati, vedeva che si parlavano e mischiavano amichevoli, in che trepestio frenetico di passi, nel perpetuo trascorrere di tutti quanti sovreccitati.

Quale unanime grondare felice di sudore, quanta fervida carnalità!

" Viva Bacco! Viva Bachtin" -  esultò tra sé il nostro- " E che provi a rimproverarmi di alcunché qualche serioso! Ho ancora il pedigree culturale in perfetta regola, io!..."

Mentre si affrettava ad assicurarsi una terza fetta di anguria, lo veniva tuttavia turbando lo sguardo del brigadiere lì presente. Per un attimo, infatti, gli era parso lampeggiarlo, quanto mai perplesso e sconcertato.

Era forse perché sorpreso che il "dottò", come lo chiamava affabilmente, gli si palesasse un siffatto gozzoviglione? Ma per uno sguardo di perplessità, quanti volti sorridenti, a lui  amabili e cortesi, quanti sguardi già innanzi affilati quali lame, solidarizzavano ora fraterni e inteneriti!

E che luci strane, impudiche, balenavano negli occhi maliziose! Come le bocche si richiamavano sensuose! Ed i corpi, nell'incrociarsi, anziché evitarsi come si toccavano senza ritegno...

Non più argini morali, o freni inibitori, ma il trascorrere sotto la pelle di una vogliolina...

Ah, come ora tutto, nella festa, era pruriginoso ed eccitante! Il nostro poeta stesso, scapestrato, nel salutare un ragazzetto e fargli festa, poco mancò se lo baciasse.

Intanto la folla si era raccolta intorno alla pista, a seguirvi le esibizioni di danza di graziose coppie di miniballerini.

E nel poeta la gioia, così attingendo il culmine, venne per l'appunto incrinandosi nel suo rimpianto superstite.

" Oh, se anche ci fosse qui il mio amico- egli si strusse- come felici berremmo e rideremmo insieme!".

Ma le minidanze erano presto cessate, ed il disk-jokey oramai propalava invano, dal suo palco, freddure inaudite nel deserto, la gente che n'era in ascolto, a lui ora del tutto indifferente, essendo già ritornata a sedere ai tavoli, in vista dei dolci e dello spumante finale.

" E' tutto qui sempre più bello- si felicitò il poeta- sempre, più bello... Tutto qui unanime è festa e tripudio di cuori! Oh, se anche vi fosse qui il mio amico! Come allora felici berremmo e rideremmo insieme!...

Di quella festa, di antecedente risonanza, eppure quanto egli lo aveva sollecitamente avvertito... Di tanto in tanto, nel vario clamore, egli volgeva pertanto lo sguardo intorno, ma in cerca invano del suo amico.

Quindi si alzò incontro al giovane Ganimede intraveduto  nella festa, che scherzevole porgeva ovunque lo spumante.

E cui più volte, brindando, egli allungò risvuotato il proprio bicchiere di carta, deliziandosi il palato, in schiocchi, di un vino così frizzante e così secco.

E fu allora che gli si avvicinò lo sposo, e che gli battè la mano sulla spalla felicitandosi. " Oh, bravo... Hai fatto giusto ciò che da te mi aspettavo ora a venire... Ma ora divertiti pure, liberamente..."

Fu come a un gelido vento, d'improvviso, o ad una merda fracidatasi sulle sue spalle...

Al suo sbiancare, nondimeno interiore, in lui in un barlume

che trasaliva mai?

Ma un giovane garzone, comunista, che lì accanto aveva udito tutto, furtivo gli ammiccò ridendo. Ed il nostro credette che così gli si rivelasse della festa il vero risvolto, e ne fu di molto risollevato.

" Eh, sì,- ridacchiò fra sé,- sarà meglio una buona volta sfruttarli, questi padroni, se noi servi e oppositori abbiamo infine a farci furbi! Ostentino pure quel che possono, tutta la loro ricchezza ed abbondanza! Noi mangeremo e berremo ugualmente tutto quanto! E domani, all'alba, non gli resteranno che i festoni sfatti, e scorze di anguria e di meloni. E noi, di loro, nemici taglienti più di prima!".

Incandescente, la sua euforia ebbra era d'amore, per un popolo che sapeva essere tanto vorace, e così cinico e pagano!

Come adesso vedeva davvero tutto meglio!

Chi infilava bottiglie in una sporta, chi insaccava invece vivande, e nell'ombra se ne andava e ritornava. In un canto, leccornioso, c'era un tale che favoleggiava di essersi rimpinzato di  cinque spiedini di salsicce, mentre un altro magnificava come di più braciole di maiale che aveva ripulito sino all'osso, non una non fosse più che squisita.

Mentre il poeta faceva proprio un altro meloncello, gli si fece incontro accaldato pure il padre della sposa:" Che fai ? I gusci di melone non li getterai mica via?- gli gridò ugualmente ridendo- Oh, mangia, mangia pure, ma poi le scorze gettale negli appositi bidoni. Che quindi le diamo ai maiali in pasto. Occorre evitare l' inutile spreco".

" Toh, chi si rivede- disse il poeta- Il maresciallo di cucina sotto sembianze paesane!" Nell'esercito, infatti, era stato onorato per il suo alto valore letterario dalle gerarchie militari, con il relegarlo quale rimestaverdure tra gli scimuniti in cucina, " quale io stesso in tutto apparivo e sono" si diceva ora ridendo, quanto orgoglioso, non se lo nascondeva, della superiorità spirituale della propria ebete idiozia...

Al colmo dell'ebbrezza, " E a me che me n'importa degli sposi" - venne ripetendo forte ai convitati; con ilare furore vendicativo, squartando un ulteriore quarto di melone. " Penso a mangiare e bere il più che posso, io, altroché!...". Ed a chi si felicitava del felice aspetto della sposa " Vedrai domattina...," soggiungeva in un presunto fare bieco, affondando nel bignè una bianca cucchiaiata di plastica, con indelicatezza pari alla "vis coeundi" dello sposo, infoiato nello sverginarsi dalla castità retrograda ...E rideva... Come rideva...

Ma intanto intorno la festa, come quel fracido dolce che si squagliava in panna e zabaione, dentro di lui andava sciogliendosi in un liquame sempre più lurido di voci e luci. E la grande stalla, a splendere nell'ombra della notte, nei suoi laterizi di cemento e canali di scolo, e divisori e mangiatoie, fra livide sbarre soggioganti, arca immane di quanta gente, come in un'anamnesi resipiscente, vertiginosamente gli si veniva trasformando in una sordida spelonca, per la precisione nell'antro di Circe illuminato; sicché, dove appena un istante prima erano tanti uomini, ora gli apparivano altrettanti porci.

Come adesso gli si disvelava, tutto, definitivamente nella luce finale!

E dire che bastava solo vedere, quel che gli era ora così evidente: quelle due maggiorenti famiglie, troppo stupide per risapersi tanto feroci e intelligenti, a onore e gloria della loro unione, avevano condotto l'intero paese ad imbestiarsi nella loro stalla. Ove felice come grugniva, satollo di vino e salamelle.

E davvero tutti quanti, le autorità per prime- il prete, il geometra, il sindaco e la giunta al gran completo, con l'ingegnere e sua moglie e le sue elette figlie, le maestre nessuna esclusa, il medico condotto insieme con il farmacista e il veterinario, il brigadiere dell' arma dei Carabinieri ed il signor poeta- quella sera prontamente vi erano accorsi unanimi, gaudiosi ora a voltolarcisi satolli nelle sazie pance...

Tutti, famelicamente, eccetto il freddo fratello del nostro poeta, cittadino egli di studi e di mentalità, che il poeta, come commiserandolo, aveva intravisto richiudersi in silenzio dietro le finestre, a disdegno sprezzante della villica paesaneria in festa; con che partecipe vergogna del poeta stesso, ora stordita di ritorno alle sue case, ripiena farcita e umiliatissima...

Il volto congestionato di vino, egli si guardò ancora d'intorno, ritroso, senza vedere all'orizzonte quel suo amico, che oramai, era certo, non sarebbe più venuto. Ed a tal punto ne fu risollevato. Ma bastò che la sposa biancofiorita, tra un  nugolo intorno di damigelle, cortese gli si accostasse e lo salutasse, perché nel suo cuore già quell'incubo svanisse, e più radiose le luci della festa ritornassero a brillare.

Una delle damigelle, per divertirsi, vedendolo così fradicio e loquace, gli vuotò di nuovo vino.

" Ecco l'Ebe che versa...", le si rivolse allora gentile, intanto che quella ridendo già correva via; egli rotolando, indi il capo, in tanta sua felicità.  

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