La fiera di paese

 

 

 

 

 Con l'eterno ritorno delle stesse cose sotto le più sfavillanti stelle, puntualmente anche nel cuore dell'estate, di quegli anni Ottanta, ritornano le più abitudinarie fiere di paese. Quale artista vi cercherebbe mai ancora ispirazione? Chi, se non il giovane ed infelice nostro poeta, che bello, ma inetto a vivere, se ne sta inerte ai bordi dell' autoscontro, fissandovi la gente che da ore seguita ad ostentarsi. Da ore instancabilmente avanti e indietro, lungo la pubblica piazza del paese. E' oltre un pugnometro affollato, che leva ora un suo sguardo a fissarsi sullo sciame di luci intermittente della giostra dei piccoli, come a rotearvi imbambolati e attoniti, su che pretenziosi simulacri di missili e di astronavi galattiche, di diligenze e di corriere variopinte d'altri tempi, dentro clacsonanti autovetture o camionette della polizia a sirene dispiegate...

E al di là delle bancarelle dei giocattoli e dei dolciumi, su di un'apposita pista di legno recintata, mentre da un carro agricolo, adibito a palco, nella piazza degli amplificatori diffondono friggenti ballabili, gaie e leggere osserva torneare delle agili coppie; lievi scorrendovi, esilarate, come sprizzante spumante stappato di fresco; d'intorno la folla a sedere accalcantesi ai bordi.

Come scorrono, ilari danzando, su stragi attentati e sfasci incombenti, egli si dice, non più mobilitabili che, irresistibile, da un solo amabile suadente richiamo:"Valsons! Valsons!".

Nella piazza la marea, ai suoi occhi, della folla fluente e rifluente, in ondate susseguenti si scontra con la risacca delle antecedenti ondate umane, che si increspano in che incresciosi frangenti di " oh, mi scusi", "ma si figuri..."; il marame dei deprecati ragazzacci, con le pistole ad acqua, immancabile provocandovi le creste dei marosi più rilevanti.

 

 

 

Innanzi ai bar, convenevole, a sedere ai tavolini la gente trattasi in secca, per ultimare il giro di metafore che al giovane poeta sa già di stantio.

E di lontano, assordante, oltre la confusione della folla, il gridore più ancora confuso degli altoparlanti, dei diffusori delle giostre e del dancing; su tutte, sovradominanti, le prepotenti frequenze della pesca di beneficenza parrocchiale, a calamitarvi irresistibile, sotto le sue arche, le più devolventi anime assidue; infervorate nell'evolvervi, in capannelli, quali infinite, quanto vane, serie di "serie" srotolate...

Come Romeo sull'instabile Luna, sospira il giovane, chi poi imprecando, in vani giuramenti, di né più mai rimettervi i propri "schèi", mai e poi mai...

Ma è lì, lui li ammonisce, che stazionano micidiali Scilla e Cariddi; quale passante può asserire di esserci passato incolume? Chi, allorquando è l'arciprete stesso che si pone al microfono, e umilmente e penosamente invita i passanti, insinuando la concomitanza delle più allettanti possibilità di vincita terrena e di redenzione celeste: che quando la fede manca, solo le opere che si compiono per la Chiesa di Dio e per i suoi ministri salvano l'anima, egli ripete; come Scilla, con voce di un cucciolo ancora lattante; ed invece è un mostro gigantesco maligno e nefasto, rielabora il Nostro, sua neoparafrasi di Omero.

" Non li conosci forse i preti?- sente per l'appunto arguire un signore, rivolto in materia a un suo compagno.

" I democristiani, poi!-, soggiunge l'altro, a sua conoscenza un socialista.

"Oh, i democristiani e i preti! quelli sono il male medesimo fatto immortalità- interloquisce amaro il giovane, scalciando irato un'attigua balla di fieno, superstite residuo del guard- rail della corsa di cicloamatori.

"Ma voi socialisti siete nondimanco peggio!", poi incontrovertibile sibila e ammuta.

Refoli di folla, intanto, entrano ed escono dalle scuole elementari a lui di fronte, ove "una mostra di soggetti su tela di un volenteroso espositore locale", come li illustrava la presentazione ricusata del nostro poeta, ed un'attigua esposizione di modellini di auto da corsa- entrambi i generi di articoli esposti in vendita- è il tutto, o per essere ancora dei critici dell'esistente, il nulla dell'attività culturale promossa dal Comitato Fiera, nella più stretta subordinazione agli Amministratori locali "competenti".

Nella folla astante, ch'egli fissa vacuo, ecco che quasi a confermare ciò che è senso comune nel senso più comune del termine, come per un'invisibile regia prestabilita, ora ognuno gli appare impersonare scrupolosamente, e senza scampo, una propria parte sociale rispettabilissima: ed il farmacista è il farmacista inamidato, il sindaco il sindaco impettito, l'avvocato l' avvocato riverito, l'insegnante l'insegnante edotto, all'apparenza ciascuno assai onorato ed ossequiato, nel suo sfilare con decenza e con decoro.

"Macché trasgressioni, in una fiera, o limiti umani ancora da eccedere, - egli recalcitra ora di nuovo - quali mai eccessi sconvolgenti, o violazioni da rischiare della propria integrità! Oh, queste stolidità, la rispettabile fiera, le riserva al becero ed ingenuo carnevale, all'indecenza della sua vana presunzione, la presunzione delirante di rovesciare un mondo! Lo scoronamento! Si, per un solo beffardo giorno di regno! Poi la cenere e la polvere... No, la fiera erge le più invisibili e dunque le più rigide barriere, spalanca i più invalicabili abissi, fra gli umani, del decoro e della cortesia, del rispetto riguardoso e dell'ossequio reciproco, in che continuo sorridersi e quali trepidi convenevoli, perché i numi tutelari della realtà comune, in giochi e giostre di che facile effetto, celebrino il loro trionfo fisico sul Sogno, sulle Visioni Romantiche, sulla Malinconia ed il Rimpianto più struggenti. E se vi circola infamato così come loro dicono  "uno di quelli", beh, è l'eccezione ridicola di cui si diverte la regola".

Così, sempre di più incupendosi, si duole e rampogna il giovane poeta con amaritudine.    

"Oh, ma che ci fa, si chiede, che ci fa, ancora indugiantevi, l'Anima di un poeta in una fiera? Tutto, anonimo, qui è soltanto genere e specie... Per quanto io volga i sensi e l'immaginazione intorno, ogni mia facoltà vi resta rattrappita senza lavoro... Nell' Olimpo della mia testa, ceree le Muse sbadigliano dal tedio; e Apollo e Dioniso si scrutano esterrefatti, senza più la Forma né la Forza... Ohi,! Non un' Imago, ansiosa di vita, che *ne sprizzi luminosa dalle fucine efestie delle mie cervici. Tanto varrebbe porre Vulcano e le sue maestranze in lista d'attesa... Che qui non v'è davvero più nulla da cogliere in flagrante...Che servono le loro reti d'oro? E se qualcuno protestasse, scriveremo sprezzanti sulle fucine chiuse: " Serrata per mancata fornitura di idoletti e di fantasmi...".

" Almeno io vi fossi un mosaicista bizantino- seguita a dolersi- davvero vi sarei nel mio mondo ideale! Quanto più mi adeguassi ai più rigidi canoni, sublimando costoro a delle vuote figure su di un fondo piatto, tanto più stuccherei nelle tessere il reale! Quale mai demiurgo ha forgiato questa malta! Usando per archetipi i più logori ed abusati degli stereotipi! Anche il genere comico vi è troppo elevato, troppo, troppo sublime! Davvero non meriti nessun stile, quale che sia, tu o fiera con i tuoi fieraiuoli! Nemmanco quello semplicione dei bamboccianti!".

A tal punto , momentaneamente si ritrova soddisfatto, il nostro giovane, di tanto suo cosmico disprezzo; ma la soddisfazione non può essergli ragione che di un'insoddisfazione più grande, per cui inveendo egli rincara:

" O fiera, o fiera, in verità ti dico: saranno forse meno severamente trattati dall'Arte gli stessi Festival dell'Unità, ove "Bandiera rossa", oramai, non è più che un'ilare marcetta tra salamelle e cicciole, che tanta tua sciocca vanità fasulla! E la gente che vi trascorre! Come vi respira soddisfatta, senza più ricercare se ancora nel mondo esistano vie di fuga... Mentre com'è soffocante, per me, quest'aria nella sua limpidezza! O fiera, fiera, vacua animazione di vacua gente! Più vana al mondo che vile! Sei tu, è vero, l'effettuale Realtà, ma in altre vene e in altri flussi, inesausta pulsa la Vita..."

Il nostro giovane ora si esalta infervorato. Sente Gli pare d'avere così posto la fiera in ginocchio definitivamente.

" O feste di fiere e sagre riciclate, in voi così è la morte, non più la vita che si celebra! Sì la morte, la morte che in voi si perpetua..."

Egli trema pure un po', sovreccitato.

Sospira, sconsolato, e quindi riprende l'invettiva, aprendo il suo orizzonte a nuove inquietudini:

" Oh, come tutti vi vagano leziosi ridenti, quasi che un siffatto mondo di luminarie e di rispettabilità, di torrone e di ossequiosi sorrisi, davvero bastasse a felicitarli! Ma non è così. Non è così per nessuno. Tutto non è che un fatuo inganno d'apparenze! Ah, quelle signore in abiti freschi e leggere... Quelle chiamate dee... Nella notte, poi... Altro che mandorlato e zucchero filato! Che il bearsi del fresco sotto le stelle, al gre gré di rane e raganelle! O che l'incanto della Luna al gridio dei grilli...le esangui piacevolezzze che dovrebbero deliziare il mio animo artistico, quando quest'aria fragrante e bambina, come mi esaspera nella mia inutilità sessuale. Mentre costoro che disprezzo tanto!..."

Oltre le case, lancia intanto un'occhiata astiosa verso la Luna, divenuto ostile al suo immoto incanto, quindi riprende a guatare la folla, assorto in più tetri pensieri.

" Ed io, proprio io, mi arrogo il disdegno di chiamare costoro morta gente!

"Le bambine di un tempo,- sospira,- sono già queste mature spose e madri, e che solleciti padri di famiglia, quei balordi ragazzi così smaniosi di vivere; gli anziani di allora, oramai, da quanti anni rinsecchiscono in cimitero, e già che vecchi bianchi e tremanti, onusti di vita, sono gli adulti già così vigorosi. Ed io nel frattempo nella mia natura diversa- soggiunge in un tremito- io non ho ancora incominciato a vivere!..."

Vide solo allora il suo solo amico, che di lui era più giovane di dieci anni, un adolescente ancora, lì accanto con altri a giocare a palla.

" Oh, lui, quant'è più giovane di me, e quanto è già più uomo! Lui non ha, davanti, solo un tempo di cui disperare; a lui senz'altro tutto è facile, consapevole che ha soltanto da attendere.  

Con la sua natura forte e gentile, con la sua bellezza virile e luminosa, quale fanciulla può resistergli? Che incanto a lui è la fiera, anche così... Che dolce attesa di incontri certi..."

E il suo sguardo si vela già di lacrime.

" Io non ho altrimenti la sua forza maschile- egli pensa-. Per questo le donne che per davvero mi amano, e che non mi disprezzano così tanto, come le altre, per la mia a loro inutile bellezza, in fondo mi amano solo come amiche, e non mi desiderano mai davvero come un uomo. O forse sono delicatezze che invano mi tendono le braccia, a loro io per sempre irraggiungibile.

Ma forse, fossi nato donna, tutto mi sarebbe più facile nella mia debolezza. Oh, anziché una fallita natura maschile, essere allora la donna del mio amico! E lui, se gliene parlo, come solo ne sorride!"

Guarda allora sconsolato il suo amico, per lui come alto, e bello, e luminosamente sorridente. A sua volta gli sorride dolorosamente. Quegli in risposta ancor più si illumina e lascia il gioco, d'appresso gli titilla ora il lobo di un orecchio, sussurrandogli piano delle delicate parole amiche; ma tanta gentilezza a nulla serve, a rischiararlo, poiché il giovane poeta in sé rimane ugualmente muto.

Solo il silenzio, sente, può dire quanto è il suo dolore. L'altro allora comprende e lo lascia con lievità, per ritornare intento a quel suo gioco, mentre il nostro ancora più si rigira nel suo tormento ad acuminarlo. Come un frullo d'ali vortica allora nella sua mente un'intuizione poetica: estrae una sua penna biro mordicchiata, raccoglie da terra un foglio di carta sporco, e vi inizia a scrivere tali suoi versi:

" Fortunato è chi è potente.

Fortunata, dote divina,

è la bellezza che soggioga.

E tu, mia bellezza senza forza,

non dirti

umana delicatezza.

Ma sperdi a gemito d'obbrobrio

il tuo inane canto desolato".

Come egli ha scritto e riletto i versi," Eccolo almeno composto- si dice- nella sua desueta forma il mio epitaffio. Così, chi trascorrerà accanto al mio tumulo fetido, e quanti mi sopravviveranno commiserandomi, o denigrandomi, non mi annienteranno ulteriormente, pensando ch'io non abbia amato che le cose più sublimi ed innocenti!.."

Oltre i coppi ed i colmigni, alta sui paesi e i campi intorno, indi leva egli di nuovo lo sguardo in odio verso la Luna, inalterata a splendere nel cielo. E la luna, nel suo incanto, di nuovo lo seduce come sempre.

" O luna, come sono infelice, nella mia sinistra vita, così di rivolgermi sempre a te di nuovo, perché alla (loro) umana bellezza io di nuovo anelo invano! O luna- soggiunge contrito- ma s'io ora t'invocassi a farmi nuovamente tuo nel tuo silenzio, tu nella fredda bellezza assorta della tua ritrosia, le nubi a velarti nei pepli ora di una pallida dea notturna, cui esalano humus i fumidi campi intorno, ed io nelle ambascie di un antico e giovane poeta, incapace di far fronte agli altri uomini ed all'attuale, atto solo a perdersi fra i campi sempre più lontano, forse che non sconteremmo così una assai più logora, e vinta vicenda, di questi sordi clamori festaioli?

Più indugio solitario ai bordi dell'autoscontro, e più tra questa folla festante non consisto che in una parte trascorsa! Inetto a vivere, personificando la figura più frusta dell'artista canonico, così come più nemmeno si finge di ammirarlo e invece lo si disprezza tanto! O luna! A dirti il vero, io non sono che l'ermafrodita impotente di un desiderio di donna in un corpo maschile, che anche se l'arte è una vicenda per il mondo conclusa, ancora si sogna un artista e non è nemmeno un vivente! Mentre costoro ch'io disprezzo tanto, come vivono ovvi, loro che almeno sono uomini e donne!".  

Ma poi nel volgersi succube alla folla passante, ecco che il suo bel volto s'illumina a consolarsi di ciò che l'oscura:

" O luna, pure se non sei una forma divina, pure se tu non sei che un freddo astro, che non splende nemmeno di sua luce, e non hai un'anima alla quale rivolgermi, che possa mai intendere i miei affetti, eppure, nel mio umano disastro, io non so affisarmi alle tue inerti rocce, che rimirando il sembiante di un'eterna dea. Per me tu non sei solo un piacere esangue, mia luminosa amica, sul mio pianto a risorgere sempre più bella, pallente su di un mondo che mi è sempre più vano.

E pure se le mie parole cadono nel vuoto infinito di questo clamore d'intorno, poiché nella tua imago il mio dolore di nuovo ha rifluito l'incanto, è mio delirio, senza più scampo,  seguitare a inesistere per tramutarti nel canto".

E porge quindi le dita alle labbra, a schiudere verso l'astro un lieve bacio.

" E anche tu sali sulle mie giostre, punta alle mie lotterie, non tentare fortune celesti; che il tuo sogno non ha altra realtà all'infuori di me, che sono pur sempre tuo malgrado il Mondo;" così la fiera, ribalda, ch'egli già s'illudeva per sempre debellata e vinta, già in sé riattraendolo più forte e inconsistente che prima, gli sembra che incessante si rivolga a ogni passante:

 

 

" Che insegui fantastiche visioni o desideri ossessivi? Chimere vaneggianti e disdicevoli che mirano a tanto, spregiative, e non hanno nemmeno l'attributo innegabile della effettività reale delle mie giostre, o dei tanti miei baracconi multicolori a tirasegno, con i più singolari effetti speciali di luci e suoni... Qui ci sono tombole giganti, e spettacolari artifici pirotecnici. Vieni... Vieni qui a sperdere infine vani sogni e rimpianti, ogni nostalgica ricordanza di infanzie perdute, qui cessa le tue malinconie di mondi inesistenti, solo allora tu rivivrai, e ti sentirai appieno nel Presente", che già l'intorpida gradevole, egli stupefatto dal vago sentore misto a quello caramelloso, e quanto mai acre, di salnitro e zolfo sospesi dintorno; prima di assuefarsi al flusso e riflusso del viavai,  abbandonando infine la piazza.

" E tu ripeti pure il tuo ritornello, o vecchia fiera, e illudi e disilludimi pur sempre" si accomiata. " E voi spaziate pure magnificamente per la piazza, o fieraiuoli, e invisibilizzandomi seguitate a scansarmi, giustamente, con il più cortese e amabile disprezzo.

Siate pure tutti quanti... Come sia ora il mio desolarmi sotto la Luna, nella deserta notte per i vuoti campi... Che davvero tutto è inevitabile, ed eternamente ritornano, sotto le stelle, le medesime fiere ed i presunti poeti più inattuali...ad inoltrarsi di nuovo perduti, ad inesistere pur sempre, loro medesimi gli artefici del loro Inferno, se sono talmente incapaci d'essere come quanti, di costoro, delle spugne che solo assorbono il mare che ogni giorno le imbeve...

Ma pure se il mio destino è d'elezione, nondimeno che orrore se un altro, che il loro, è il fato morto che mi segna..."

"Amalo il tuo fato!" sentì come palpitargli un moto nell'anima.

Ed egli per allora chinò il capo a quel richiamo, a che cos'è il mondo ed a che cos'è ogni cosa, a che cos'è una fiera di paese.

Alla densa nube, che tenebrosa, in lui già oscurava la schiarita di quella tremula stella.

 

Alla pagina d'accesso

A inizio pagina