Nell'aria più
luminosa di primavera, al volgere del maggio solatio andava gaio e leggero il
giovane filosofo-poeta, errabondo per la remota strada, a perdersi fra i campi,
che oltre le ultime case del paese divagava verso la dimora del suo giovane
amico; quando da lontano già gli sorrise, incontro festante, del ragazzo la
radiosa presenza.
Si salutarono allora scherzevoli con
gioia, indi presero a incamminarsi ridenti, inoltrandosi fra i campi nei
sentieri frappostivi. Finché si riposarono storditi all'ombra di un alto
albero. Intorno l'erba soffice e fresca, i fiori e i grilli canterini.
Ranuncoli, margherite e soffioni, gli umili fiori tra gli steli d'intorno. Una
aliare lieve nell'aria di cavolaie.
Respirarono piano, lungamente, senza
dire ancora parole, poi il ragazzo proruppe rompendo il silenzio:
" Pensiamo una grande questione,
che mi hanno posto a scuola in filosofia ?"
" E quale mai?"
" Che significhi essere
uomini"
" E' l' argomento per eccellenza -
osservò sorridendogli il suo giovane amico; per un po' si schernì, per
prendere tempo, quindi risoltosi gli rispose:
" Essere uomini, vedi, secondo la
generalità delle filosofie più elevate, fatte le debite eccezioni, ha
significato necessariamente essere qualcosa in sé di ben diverso da un gatto,
da una nuvola o da un fiore, magari un'esile e fragile cosa, fragile anche più
di un filuscello, ma con una sua natura della quale decidere, con una chiara
coscienza e una dignità da difendere, dei propri lucidi fini e dei precisi
intenti, un' entità che deve conferire un senso alla propria vita, elevandosi
ad artefice della propria natura; che importa, a che si ispiri, purché non
vagoli dove il vento lo sospinga, e non si lasci impollinare da qualsiasi ape si
posi sulle sue corolle, libero l'uomo anche di non volere più volere, purché
sia buddista o schopenhaueriano, pur anche di non scegliere ragionevolmente,
purché si professi anarchico o sia militarista".
" Ma così che mi vieni dicendo
con ironia ?
Forse che ..."
"Sto dicendoti che l'uomo, secondo
ogni filosofia classica, deve determinare lui stesso la sua specifica essenza,
altrimenti è una brutalità animale o un abominio. Or' io, ciò non di meno,
non sono finora mai riuscito a qualificarmi in tal senso, finora non sono stato
capace di essere un uomo. E questo significa...
" Che sei un mostro...
" E un idiota. O il prodigio di un
portento. E' così, secondo l' altitudine dei loro principi.
Mi è infatti pur sempre irreperibile
un senso, che orienti e dipani il mio svolgermi nel labirinto. Se scavo per
rinvenire le fondamenta del tempio, ove sacrificare sull'ara al solo dio certo,
ritrovo invece un pantheon di infiniti dei, l'uno l'altro irriducibilmente
antagonisti, poggiantesi sulla vertigine di abissi senza fondo...
Ed ogni mio sentimento ed idea, nel
pandemonio, sente e pensa come il suo contrario. Come tafano e mosca, nel
ronzio, non posso mai posarmi sulle brattee di un'orchidea, senza che già una
vertigine, irresistibile, abbassi il mio volo a lordarmi di sterco. E come il
cibo più appetitoso se non è assimilato si fa
sterco, così l' ebbrezza dei cieli, delusa, mi eccita alle turpitudini
nei vicoli, nell' attentarsi alle quali, riavutasi, si
annienta a vile materia, dinnanzi allo spirito che in lei sopravviene...
La mia anima che è mai se non un cielo
mutevole e vario, la crespa superficie che impreviste passioni e correnti, dal
profondo, istantaneamente obnubilano e rischiarano... Pensieri e fini nascono e
s'intrecciano, molteplici, come gli steli d'erba di questo campo, mossi da un
vento senza volto ed incessante, ora lieve, ora tremendo; o come nuvole del
cielo, se si formano,
già si disciolgono e si riaddensano...
E quando credo di essere io, quale artefice, che lamino in parole la mia anima,
sento che invece è un dio od un
intero coro di dèi inconsci, che in me si pronuncia
con la mia voce ... Le mie idee vive non sono che una folgorazione
scoccata che mi squarcia, e le conseguenze in me maturano di concerto con le
premesse, inturgidando insieme come le auree sfere dei chicchi nel grappolo
d'uva.
Così, quando la mia parola è
un'illuminazione che già è dileguata, ho chiaro che in me è riarso un rogo più
vasto, cui non ho predisposto che gli sterpi; e se raggiungo un altro corpo- e
tu ben sai che mi è la cosa più difficile al mondo-, sento che non già la mia
volontà, non già i miei sforzi poterono tanto, ma il disprigionarsi di una
concatenazione senza volto e senza mente...
Ch'io dunque non sono mai altro, come
un fiore, una nuvola, od un gatto, che pura natura senza senso..."
" Il tuo discorso è molto
suggestionante..." interloquì il giovane cingendogli il collo .
" Potrei dirti ancora, se mi
intendi, che l'essere uomini, è musicalmente, come un andante o un largo
incompiuto dissonante; nelle pause, o nei silenzi, con anticipazione crescente
della dissoluzione finale; che davvero è di tutto, fuorché un 'essenza che si
emancipi in natura, per decidere così liberamente di se stessa; e potrei
concludere con la bizzarria che più ti aggrada, purché tu comprenda almeno
questo: che l'intelligenza, se è ancora tale, non ha più ragione di porsi tali
domande".
Del sottinteso, di questa conclusione,
risero entrambi alquanto divertiti; ma stavano già per rialzarsi, intenzionati
a procedere ancora per i campi, senza mete, che un'improvvisa sollecitudine
incupì il volto del giovane filosofo-poeta, sino ad oscurarne tutto l'aspetto.
Si accostò ad un tralcio in silenzio,
poi chinò il viso, vergognoso, verso una zolla gremita di formiche, quindi
gemendo, e senza fissarlo in volto, così si dolse con il suo amico:
" Ecco, ancora nel vento vibrano
le mie parole, che già ne sento un'eco immonda di menzogna. E mi appaio il più
malefico demone della tua cara anima. Non credermi, ragazzo mio, te ne scongiuro
per quanto mi sei caro. Oh, anima mia, dimentica le mie parole nefaste.
Maliosissime esse ti incantavano a non scegliere, a lasciarti trasportare dalla
vita come un'onda di fiume, quasi brulicato da ogni istinto che urge,
sospingendoti ad essere dunque nient'altro che una cosa irresponsabile, di cui
declina il caos l'erratico corso, in un vuoto infinito senza più mete...
In esse t'insidiava un mio discorso di
seduzione, che annidato intendeva ghermirti...No, tu devi vivere, invece, e
assunta la tua vocazione, secondo la più interiore tua necessità fatale,
fortificandoti del comando su te stesso che te l'impose, obbedire al tuo volere
tenace. Senza che l' anelito al piacere, con le sue lusinghe, mai avvilisca la
tua delicatissima forza.
Ecco, forse, se essere uomini ha ancora
un senso, è il senso stesso di questa mia angoscia: è l'umano senso, anima
cara, che siamo le impronte di dolore e di luce, delle tracce negli altri che di
noi resteranno".
" E' il senso stesso di ciò che
io aspiro ad essere per te" soggiunse il ragazzo nell'atto squisito di
odorare un fiore,
"quand' intendo, per te, serbarmi
una tua promessa di felicità ".
Un morto sorriso contrasse il viso del
filosofo poeta, nella fredda luce riflessa di un suo distanziarsi precipite .
Del ragazzo, per schermirsi, colse il fiore a riodorarlo.
E il fiore non aveva nessun sentore.
" Tu per me saresti dunque come la
linea dell' orizzonte,- allora gli chiese,- che sempre è nello sguardo e non è
mai raggiungibile?"
E il ragazzo non accennò che la
sfumatura di un sorriso.
" Ma per chi non è come te, già
capace di cogliere, no, l'essere uomini, forse, è solo di sé la inevitabile
perdita negli altri.
E chi più ricalca, è chi più l'
impronta la deforma".
Nel mentre in un'eco finta di grazia e
di dedizione, anche tali parole si declinavano altrimenti per lui ed il giovane.