10 agosto, Hampi Dopo Belur, lasciato il Karnataka meridionale, si č schiarito in Hampi il cielo del mio viaggio.Anche ieri sera il cielo splendeva gremito di stelle sul villaggio precipitato nel buio, in assenza di energia elettrica, sull'immensa mole oscura del gopura del tempio Virupaksha, protesa a toccare il cielo oltre i latrati dei cani, le ultime voci umane che infrangevano il silenzio. I massi di fulgida roccia ovunque intorno sospesi frananti, il fiume ingrossato dalla piena che vi scorre tra il vivido verde dei palmizi, fertilizzando le piantagioni di banani e di mais, sono lo scenario in cui sono disseminate le sterminate rovine della capitale di un impero: ove templi hindi e jain, antichi bazaar, muri di cinta, corti, portali, piattaforme, colonnati circostanti i bacini di piscine, nei loro altissimi ingressi o nella loro recinzioni elevate, trabeati nei soli inarcamenti di inflessioni indoislamiche,, evocano il fantasma di agorā e podi e palestre di una cittā imperiale ellenistica, trascorsa ancora da armenti e greggie genti migranti come una cittā morta siriaca. Ma alla devastazone islamica ben poco sopravvive, della civiltā vijianagara, che abbia la la preziositā e i pregi delle vestigia hoysala: anche il tempio Vittala, nelle sue sculture architettoniche, vi ha eminentemente il fascino dell'ampliarsi espansionistico degli equilibri di grazia del tempio hindu. |