In Kottayam |
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Il boat scorreva in enormi canali, solcati da barche, da zattere intercorrenti da una sponda all'altra, con carichi di uomini e vetture ed animali, da battelli e boat houses dalle curvature imponenti, in slarghi immensi d'acqua, glissando tra i bilancieri delle reti cinesi lungo le rive e i palmizi delle terre emerse, le loro propaggini ora contigue all'entroterra, alle risaie, come lasciava intendere lo scorrere del traffico tra le dimore lungo le rive, ora esili lembi tra una distesa e l'altra d'acque, raggiunti dai pali dell'elettrificazione ovunque fosse stabilito un insediamento, il boat ora distanziandosi dalla costa marina nella vastità delle canalizzazioni e delle distese lacustri lagunari, ora conducendoci ove una striscia di terra soltanto ci separava dai flutti marini, in prossimità della breccia aperta dallo tsunami. Di dieci metri l'onda aveva scavalcato le palme, ci ripeteva il capitano del battello. E lungo le prode, case in muratura, capanne, scuole e chiese, moli ed approdi, il mondo di vita della popolazione locale intenta alla vita d'ogni giorno, a prendere il largo per la pesca o per il trasporto di derrate da una riva all'altra, ad allestire le reti tra le noci di cocco ammonticellate, uomini e donne a lavarsi nelle acque o a lavarvi le stoviglie metalliche e i panni che venivano stesi al sole lattiginoso, i bambini incamminati in fila verso le scuole. Nei passaggi più incantevoli le sponde si approssimavano formando canali più stretti, creando verdi gallerie frondose intervallate da ponticelli, in cui erano immerse le residenze più confortevoli. Tra Aleppey e Kottayam ho viaggiato in vie d'acqua ancora più sconfinate, in canali più enormi, nella regolarità interminabile del loro percorso. A Kottayam, regolate le necessità di cambiare valuta e di accedere ad internet, mi sono fatto condurre in autoricksaw ove la convulsione del centro aveva termine nella pace dell'altura di Thazhathangadi e delle sue chiese, candide di un immacolato biancore: la Valiyapalli e la Cheriapalli, le chiese sommitali di rito siriaco-ortodosso, tra altri luoghi di culto di confessione cattolica, lungo i declivi Nella Valiyapalli, la " Grande Chiesa" , che si eleva al termine di una ripida scalinata, c'erano due croci nestoriane: la più antica, con iscrizioni in palhavi, attestava l'insediamento in Kottayam di cristiani-nestoriani fin dal VII, VIII secolo, sulle orme dell'apostolo Tommaso. Nel Cotai indiano del Malabar Kerala così reperivo l'ulteriore reliquia della diffusione in Asia del nestorianesimo, dopo che in Taskent, nello Xinjiang, in Xian. In un arcone due pavoni affrontati ai lati della Croce, al pari di due elefanti nella banda opposta, glorificavano l' universalità del simbolo della Resurrezione. Lo stesso simbolo ricorreva nell'arco, sovrastato da una veranda, che immette nella Cheriapalli, la piccola chiesa, nelle sue dimensioni più ridotte assai più bella che la precedente nella sua facciata barocca. L'accompagnatore, di una gentilezza perfino superiore a quella del giovane universitario cortese che l'aveva preceduto in tale compito, nella chiesa precedente, quando è sopraggiunto nella Valiyapalli ove ero da tempo una presenza solitaria, in un fregio di un altro accesso mi mostrava un esempio della commistione di simboli cristiani e induisti che ispira la devozione in Kerala: infatti vi comparivano due mostri marini che avevano la testa del cinghiale Varaha, l'avatar di Vishnu. All' interno era toccante l'attestazione remota, e sbiadita dal tempo, della diffusione del Cristianesimo in India che era testimoniata dagli affreschi della Passione di Cristo, nel presbiterio, vagamente attribuiti ad un anonimo pittore portoghese. " No idea" di chi potesse essere l'autore dell'affresco, mi confidava il mio accompagnatore. Poi, ai piedi del colle, lambito anch'esso da un canale del kuttanad, nel Thirunakkara shivaita, in prossimità del centro, mi sono attardato finché non è iniziato il darshan , talmente la bellezza degli affreschi mitologici della cella del garbagriha mi ha incantato a deambularle intorno. Come nei dipinti murali della stanza della meditazione di Padmanabhapuram,- delle quali non ho visto che le copie nel Museo-, le figure umane erano le incarnazioni, sottilmente delineate ,di colori schiariti nei toni, che conferivano ad esse una parvenza di masse che evocava Matisse, Leger, nelle loro gamme cromatiche ocra e metalloidi. Intanto la pioggia , che gocciolava dalle tegole dei tetti, aveva assunto lo stesso sentore, e frescore, di quella che mi aveva impregnato in Pechino, nei dintorni del Palazzo imperiale, stillando dall' umidore di similari parvenze.
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