Un antefatto | ||
In Dyarbakir, luglio 2002
Tardo pomeriggio-, a Dyarbakir-. allorché di ritorno nella
Yenikapi caddesi, all' angolo della via, sulla sinistra, che provenendo dal centro è poco oltre il "minareto a quattro zampe", ove nel quartiere si fa più alto il clangore delle botteghe dei
fabbri, è stato lo stesso anziano custode della Chiesa dei Caldei ad intravedere tra la folla chi poteva essere interessato a visitarla, a farmi segno che potevo seguirlo, facendo risuonare in tasca le
chiavi di cui era depositario.
Oltre la cinta muraria che aveva integrato nel suo
complesso la stessa facciata della chiesa, l'uomo mi ha schiuso un cortile spoglio e silenzioso, intorniato dalle alte rovine del palazzo e degli edifici annessi, che furono un tempo una residenza
patriarcale.
Varcate le soglie della chiesa, non poteva deludermi maggiormente il suo interno, come la devozione avesse rinfrescato di tinta celestiale, e gremito di immagini sacre, le cinque absidi in cui si dilatavano le spoglie navate.
l'immagine è stata desunta da:
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Ero cattolico anch'io? Felice anche in questo, o comunque, di
potermi stringere la mano. Parlavo francese? Ciò agevolava i nostri colloqui.
Potevo ora fargli tutte le domande che volevo, quaderno di
appunti alla mano.
In Dyarbakir
vivono tutt'ora 50 famiglie di cristiani di Oriente, 50 di caldei, 15 di giacobiti, 5 di armeni gregoriani.
Tutte le settimane si riuniscono in una sola Chiesa per la
Santa Messa, ch'è officiata dal solo prete delle loro Comunità, quello giacobita.
Se era a tutti gli effetti un cattolico, in quanto caldeo? Si,
stando ai cenni ed ai suoi borbottii d'assenso, non c'erano differenze nei dogmi a differenziare i caldei, a differenziare i caldei era solo la intermediazione del Patriarca di Istanbul nella loro
subordinazione all' autorità di Roma. Del resto, le immagini che infittivano nelle conche delle absidi erano le icone della devozione cattolica più tradizionale, del Sacro cuore di Gesù, della dolcezza
virginea di Maria intercedente per noi, un Sant' Antonio da Padova, la Trasfigurazione di Raffaello.
Se ne distaccava, nella sua sanguinosità, solo un Cristo che
si erigeva dal Sepolcro in tutto l'umano dolore della sua passione e morte.
Ma i giacobiti ortodossi non riconoscevano di certo l'autorità di Roma, no? Bien sur. E ciononostante, la messa di un loro prete officiante poteva valere anche per i Caldei di osservanza cattolica? Senza dubbio.
Lui era sempre vissuto in Dyarbakir, ove dai suoi genitori
aveva ereditato la fede caldea.
E come erano ora al presente i rapporti con le autorità
turche? Buoni, mi assicurava l'uomo, stranito, all' apparenza, da una domanda così singolare.
Forse erano migliorati nel tempo, soggiungevo, giacché avevo
avuto modo di leggere che in un passato non certo remoto...
Erano sempre stati buoni, egli ribadiva incrollabilmente.
Potevano dunque ora distribuire pubblicamente i testi del
Vangelo, tra la gente ch'è al mercato, per esempio? Il vecchio è inorridito della stessa concepibilità del fatto.
E tenere conferenze sul cristianesimo? Nemmeno, era stupefatto
che potessi immaginare che in Turchia si commettessero empietà del genere...
Ma tra loro cristiani d'Oriente era possibile dir liberamente
Messa, e tanto poteva e doveva bastare d'avanzo.
La sua soddisfazione faceva davvero il paio con la lacunosità
scostante degli asserti monosillabi del prete giacobita in mattinata, tanto più in presenza di quel mio accompagnatore turco.
Lo lasciavo all' angolo della via, grato e commosso dell'
offerta che avevo a lui effettuato per la Chiesa, perché potesse fronteggiare le sue difficoltà personali.
Nel pieno pomeriggio avevo ancora tutto il tempo davanti per
riavviarmi nella più grande via successiva, in direzione della mura romane, da cui svoltavo a destra, nella mia ricerca insoddisfatta delle chiese Armene di Dyarbakir.
Ne chiedevo conto a un vecchio, un giovane ne ribadiva i cenni
sulla direzione che avrei dovuto assumere ritornando sui miei passi, ma già mi sbagliavo in capo solo a qualche secondo, nello svoltare a sinistra troppo immediatamente, ed il ragazzo mi veniva affidato
dal vecchio, perché potesse guidarmi nel mio smarrirmi.
Il giovane, curdo, gli occhi due neri tizzoni ardenti di
simpatia viva, mi riconduceva giusto dove mi aveva portato quel bellissimo adlescente turco, in mattinata, all' ingresso che avevamo trovato sbarrato d fronte all' Esma Ocak Evi, nel viottolo stesso che
reca alla chiesa caldea, poco oltre la svolta a destra che vi conduce.
L'ingresso era stato lasciato aperto, questa volta: e con mia
meraviglia attonita dava adito immediato ad una chiesa stupefacente, segregatavi a rovina, vastissima e grandiosa: a cielo aperto, sotto la copertura che era crollata, s'inseguivano le arcate di 5
navate di 6 campate ciascuna, che già appartennero ad una basilica di ascendenze siriache, oltre le quali si aprivano in oculi le murature dei blocchi superstiti.
Nelle pareti laterali -ho la vaga impressione che all' esterno
vi si aprissero arconi- restavano delle nicchie dalla finissima decorazione gremita di muqarnas,-una meraviglia, di cui sapevano tutti i bambini e i ragazzi dei quartieri curdi, di cui non faceva menzione
alcuna guida, ben altro, architettonicamente, che i luoghi di culto accessibili delle altre Cristianità d'Oriente...
Una testimonianza, inoppugnabile, di quanti dovessero essere
gli Armeni in Dyarbakir, ancora all'inizio del Novecento, finiti nel buco nero ufficiale di ciò ne fu il genocidio, se i loro culti erano officiati in una basilica di tale enormità.
Il nostro sopraggiungere stava intanto ponendo in apprensione
le donne che vivevano nlle case poste all' interno del muro di cinta che delimitava l'area, una più delle altre insisteva energicamente con il ragazzo che quanto prima ce ne andassimo via, mi vietava ed
impediva di scattare una qualsiasi foto, seguitandomi in ogni mio tentativo di distanziarla, ed eluderla per poterne effettuarne anche una sola, furtivamente,
quando svoltavo sul lato a sinistra della facciata.
Una siffatta chiesa armena lasciata in rovina tra i caseggiati
incombenti, in Turchia ha dunque tuttora la tutela gelosa di un segreto militare?
( sarebbe stato lo stesso l'indomani, sarebbe risultata
inesistente per l'uomo dell' Ufficio di Informazioni turistiche, un uomo che vi viveva in una delle case all' interno del muro di cinta della chiesa e che aveva un bancodi frutta in una via attigua, me ne
avrebbe impedito l'ingresso, con fare intimidatorio, portando con se le chiavi che me ne serravano l'accesso).
Non c'era niente da fare,
ero costretto ad allontanarmi con il ragazzo che insisteva perchè lo seguissi, di ritorno da dove ci eravamo mossi, e quindi più oltre, verso la porta delle antiche mura romane di basalto che a
Sud recano a Mardin, finchè tra quei quartieri di una miseria irrespirabile, il campanile che mi additava preludeva ad un'altra chiesa armena lasciata cadere in rovina.
Era meno grande e meno bella della precedente, ma le sue vestigia potevo visitarle e fotografarle liberamente, mi lasciavano procedere indisturbato le donne che vi erano intente ai lavori domestici tra i fichi che crescevano rigogliosi nelle navate, mentre il ragazzo, insieme con un altro che si era unito a noi, mi accompagnava nel vano superiore di uno dei due pastoforia absidali, ove a sgravare lo scarico delle volte, comparivano inseriti dei tubi fittili cavi.
Erano invece presso che similari a quelle della grandiosa chiesa precedente, le pregevoli e sbrecciate ornamentazioni di diaconicon e e protesis, ridotte a deprimenti rottamai, dalle famiglie che vivevano entro la cinta dell' antico edificio liturgico.
In un vano retrostante, dei resti di rivestimenti in ceramica.
I due ragazzi che permanevano al mio seguito erano sempre più partecipi,
coinvolti dal mio fare, solidali, ben consapevoli di che cosa significasse il mio sforzo, di quali fossero i risvolti per loro dei miei intenti, mentre mi aiutavano /nell' aiutarmi a risalire e
discendere per le rovine superstiti, a scattare le immagini che ne attestavano il degrado.
"Before the Armenians, after the Kurdish..."
Usciti dalla chiesa mi lasciavo condurre da essi dove volevano
recarmi, lasciavo che il nostro itinerario lo concludessero oltre le vie soffocanti della loro miseria, di polvere e sterrato e fognature a cielo aperto, in cui il lavoro di una risistemazione
interminabile apriva al tanfo continue voragini, avventurandoci in un' avventura temeraria ai bordi degli squarci, fino all' approdo nel gran caravanserraglio trasformato in hotel.
Che bello offrire loro quel Paradiso in terra, un te sotto le
fronde degli alberi e fra il mormorio delle fontane nel cortile interno, la quiete calma intorno di quell'ostentazione d'agi.
Alle loro spalle,l'acqua di una fontana ricadeva nelle forme
incise ed evacuate di alcune mastodontiche angurie, la primizia di Dyarbakir.
Al che è riafforato il ricordo di altri giovani curdi, come i miei due amici che avevo di fronte, che alcune settimane or sono, alla vana ricerca della libertà in Occidente di un lavoro, hanno trovato la morte in un camion dalla Grecia sbarcato in Italia, di cui le angurie erano il carico le esalazioni del quale li ha soffocati.
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Un'immagine della Chiesa Armena che mi è stato precluso di fotografare, ritrovata nel sito :
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