Al racconto di viaggio

Schede templari di Kadwaha - Tempio 1 e Tempio 2 Pacchali Marghat -

(Templi  3 e 1 secondo Krishna Deva) - Templi del gruppo Talao

marzo 2015

 

 

 


 


 

L'armonia di proporzioni del tempio 1 Pacchali Maghat di cui mi era precluso l’accesso, era l'equilibrio  del suo solo comporsi di  portico, anticamera e cella del garbagriha, mentre in elevazione ne erano rimasti superstiti il basamento dell'adhishthana  di soli kura, kumba, kalasa, non che di un  kapotika ornamentato di takarikas,  le pareti del jangha e il varandika, che ad un kapota e ad un fregio  nel recesso di rombi diamantini sopravanzava  un pattika istoriato di musici e di danzatori,  senza più che una lastra ulteriore di copertura finale.. Presumibilmente era triratha il sikhara del santuario, in quanto al bhadra centrale si affiancavano due upabhadras rientranti,  ove un'apsara ad ambo i lati celebrava la divinità insediata nell’edicola del badhra,  non già due pratirathas separate e distinte da un recesso,  quanto lo erano invece i  karnas,  rispetto ai quali si interponeva un vyala rampante. 

 

 
   


 

Ad eccezione degli upabhadras, sia nel bhadra che nei karnas sorgeva un' edicola albergante una sua divinità, che era come di norma un  dikpala in  quelle dei karnas, aggraziata di due colonnine cinte di anulari e collari e da una grondaia o chadya nervata.
 
   

Ciascuna delle nicchie, a guisa di templi, era sormontata da un udgama di archi carenati sovraornamentato, che nel badhra, per giunta, a guisa di antefissa sukanasika si stagliava su tre nicchie ove stavano insediati una divinità al centro ed ai  lati dei musici danzanti, su cui altresì risaltava il simha mala di  un corso di teste leonine. Una fascia intermedia, di raccordo, con i fregi vegetali di una tamala patra, - a imitazione delle foglie di xantochymus pictorius- separava in due sezioni gli upabhadras ed i recessi contigui dei salilantara, dando così luogo ad un comparto superiore in cui sorvolavano vidhyadharas, al suono di musici gandarvas  Nel suo seguito tale madhya bandha riconnetteva l'apparato del jangha del santuario a quello della kapili dell'antarala, ove compariva il gran sfarzo della sua  nicchia ulteriore di  una divinità. Essa era  simile alle precedenti solo nella foggia delle colonnine e solo fino all’altezza della tornitura  del capitello, su cui si ergevano i kutas di due nicchioline cubiche sormontate, quali dei microtempli , da dei  sikhara tri-rathas.  Da esse,  in luogo della gronda, si infletteva un torana, quanto mai flamboyant, a protezione superna della divinità   Ai suoi lati,  due funambolici gandharvas si atteggiavano ad eseguire musica e danze, oltre l’amalaka e il kalasa dei due sikharikas che affiancavano lo stacco iniziale del torana,

 I pilastri del portico, su basamento identico, ma ribassato,  tra due vasi dell’abbondanza, o ghata-pallava,  arcaicamente traboccanti della fluenza tracimante di un ricco fogliame, su una sfaccettatura poligonale presentavano campane pendule di kirtimukkas. Costoro facevano capolino tra fasci di ghirlande che facevano capo a loro volta  a campanelle minute. Torniture anulari  distanziavano il secondo dei ghata-pallava,  mentre capitelli bharani con doppia scanalatura precedevano le volute fregiate di kirtimukkas, il cui ritorno ornamentale era sancito nella trabeazione sovrastante.
 
   


 

 
   
 
   

Nelle nicchie dei bhadras erani albergati Ganesha a sud,
 
   

 

 

Harihara-Hiranyagharba ad Est,
 
   

 


 

e a Nord Chamunda.

 
   

 

 Avessi avuto accesso all’interno,  secondo quanto ne dice Krishna Deva ,  che lo rubricava come il tempio di Kadwaha  numero 3, nel suo portale avrei scorto Shiva Kalyanasundara al centro della trabeazione del lalata bimba, Brahma Savitri e Laksmi-Narayana alle estremità, le serie dei Navagrahas e delle Sapta Matrikas nei recessi, gli 11 rudras nell’architrave.

 

 
   

 

Nel secondo dei templi Pacchali Marghat che visitavamo, il tempio numero 1 della catalogazione di Krishna Deva ,  la solita suite architettonica di ascendenze Pratihara  di portico, vestibolo e santuario, ossia di mukamandapa, antarala, garbagriha, a differenza del primo era sopraelevata su di una piattaforma, il jaghata,

 
   

che ne esaltava  splendidamente la solennità monumentale, in virtù anche dell'imponenza brevilinea dei pilastri antistanti, e della tensione ad essi prominente degli atlanti bhara- putrakas che li sovrastavano.

 
   

E solo che ci si orientasse di lato, risalendo  oltre il corso terminale dei kirtimukkas in cui aveva  fine la piattaforma,
 
   

ed alla base del tempio oltre la nudità di kura, kumba,  kalasa e kapota con takarikas  dell’adhishthana,  il jangha del vestibolo e del prasada del santuario, quest’ultimo pancha-ratha, scandito dalle proiezioni del bhadra centrale, di due prati-rathas laterali nettamente separate e distinte,  e di  karnas d'angolo, mostrava d’acchito una mutazione sostanziale ch'era intercorsa rispetto agli antecedenti dei templi Pratihara:

 

 

 

 

 
 
   

in ogni aggettanza e nei recessi comparivano statue, ed in duplice ordine, cui faceva seguito una terza schiera di effigi statuarie,  dei vidhyadharas intenti alla musica e alla danze, che figuravano nel pattika superiore del  varandika ed in tre nicchie sovrastanti il bhadra rathika. E tale affoltamento era possibile in quanto soltanto il bhadra  e la kapili dell’antarala conservavano  le immagini  allocate entro  nicchie, con il risalto focale di loro spettanza, in quanto divinità  di culto superiori,  per quanto ne emergevano profondamente internate , come nella bhadra-rathika settentrionale trapelava alla luce quella dell’avatar vishnuita di Narashima,  mentre di tutte gli altri esseri celesti, posizionati su piedistalli, assurgevano a rango divino solo i dikpalas  delle proiezioni dei karnas. E dato ulteriormente eclatante, la statuarizzazione del tempio aveva comportato una recessione estrema degli udgamas di chaityas,  che facevano la loro residua comparsa solo al di sopra delle gronde della nicchia inferiore del bhadra centrale e di quella dell’antarala.

Di grande bellezza era il tempietto del bhadra rathika,
 
   

 prominente quanto i rilievi statuari:  nei due minimi pilastri laterali due vasi dell’abbondanza, o gatha-pallava, pur comprendevano un bhadraka con i rilievi di due ladies attendenti,  o altrimenti figuranti  come  guardiane dvarapalas delle porte, racchiudendo uno stretto portale in cui non mancavano di ricorrere la soglia sottostante dell' udumbara,  dove facevano la loro brava comparsa due  leoncini ai lati del mandaraka centrale,  a guisa di loto, e gli stipiti in cui erano miniaturizzate le dee fluviali  Yanga e Yamuna, e per giunta due sakas apparivano sbozzati, mentre  un Garuda era forse l'essere oltremondano al centro del profilo superiore del latata bimba. Oltre il portale si internava il recesso del garba-griha, al cui centro  il predetto Narashima incombeva sullo sviscerato Hiranyakashipu .

 
 
 

Nella nicchia del bhadra meridionale campeggiava invece Varaha, replicato al pari di Narashima e di Vamana in quella soggiacente radiante dal vedibandha, mentre nelle edicole della kapili erano di stanza  Vishnu Vaikunta in quella Nord, la forma del dio con il triplice sembiante umano, leonino e  di cinghiale, a prefigurazione delle incarnazioni  nei bhadras seguenti di Narashima e Varaha,

 
   

e Vamana in quella Sud,

 

 

 

 

 
 
   

 

 
 
   

 
   

un'immagine di Parvati in Panchagnitapa apparendo in posizione quanto mai ribassata nel bhadra meridionale, in una sua edicola templare di assoluto prestigio che stava addossata al plinto dell'adhishthana, con pilastrini fregiati di ghirlande di campane nel kutha del devakoshta del sanctum, ed un amalaka a coronamento dei ripiani del tilaka piramidale posto a sua copertura.

 
 
   

 

 

Di ritorno al portico d’accesso dalla pradakshina deambulatoria, incantavano la vista i suoi splendidi pilastri,

 
 
   

ove i due vasi dell’abbondanza comprendevano una sfaccettatura in sedici lati su cui ricadevano delle campane da dei cordoni che facevano capo ad una ghirlanda di pushpa-mala,  sovrastata da un collare tra degli anuli . Il capitello, a differenza di quelli bharani,  presentava  il solo echino scanalato, mentre l’abaco soggiacente era a guisa di karnika affilata.

I pilastri interni erano una sezione di quelli esterni, ma li maggioravano degli dvarapalas in rilievo sulle loro sfaccettature.

 
   


 

Nel portale d’accesso, oltre gli stipiti di sei bande di sakas, aveva assoluto risalto lo stagliarsi plastico quasi a tutto tondo della Trimurti, in cui insolitamente, rispetto a Vishnu al centro, Brahma figurava alla sua sinistra,  lasciando a Shiva di presidiare il lato destro, sul loro sfondo allineandosi, gli uni sovrastanti gli altri, i Navagrahas e le Saptamatrikas,  sormontando ogni effige  gli avatars di Vishnu, a ricapitolazione delle manifestazioni  del dio di cui il tempio è emanazione esterna.
 
   

 

 

Ed eccoci quindi di fronte al tempio A del gruppo Talao, il tempio denominato localmente Murayat , presumibilmente una forma corrotta del termine Mattamayura, ed un prezioso indizio della sua affiliazione alla setta tantrica shivaita.

Con esso accedevamo ad un esempio mirabile della terza fase templare in Kadhwaha, e già a prima vista, nella maggiore integrità dei suoi resti che ne aveva preservato il sikhara e la restante sovrastruzione, manifestava la sua ispirazione agli stessi templi sommi di Khajuraho, cui era ben posteriore, risalendo al 1075 d.C

 
   

 

Tale mutazione clamorosa rispetto ai paradigmi esemplari antecedenti dei templi sorti in Kadwaha era flagrante già nella sopraelevazione imponente, su di una piattaforma, di una successione di interni che tra il portico e l’anticamera dell’ antarala d’accesso al santuario si articolava in un mandapa intermedio,  la cui finestra balconata,  così come l’atrio, era schiusa alla luce nelle guise di un rangamandapa. Tale mandapa evidenziava inoltre una  propria copertura piramidale distinta da quella del portico e dal sikhara del gharbha.-griha, in una gradazione di culmini che dei templi di Khajuraho rievocava, l’ascendere e il calare e il risalire, ancora per picchi, a  guisa simbolica delle sommità del monte Kailash, dimora di Shiva, o del mont Meru che è l’asse del cosmo e la sede di tutte le divinità celesti.

 
   

 

Era addirittura saptaratha, articolato in sette proiezioni, il culmine ogivale del sikhara, (secondo la sua rideterminazione sintattica avvenuta in Khajuraho con il tempio Kandarya Mahadeva, per rendere possibile la corrispondenza delle aggettanze dei  suoi latas con le proiezioni di una jangha del sanctum in cui l'espansione a finestra balcone del bhadra centrale non avvenisse a discapito della sussistenza ulteriore dei due prati-rathas mediani, come si era verificato nei templi Lakshmana e Vishvanath).

 

 cui risalivano i sikharikas e gli udgamas di chaitya-gavakshas, terminali, delle corrispondenti prominenze aggettanti, in forma di pilastri statuari, o stambha- kutas, delle pareti della jangha del santuario e della kapili dell'antarala, non senza essersi meravigliosamente dilatate in un' altro corso di statue all'altezza del varandika

 
   

- una corrispondenza, tra le proiezioni parietali e quelle emanative fascianti il sikhara,  assicurata, non senza una certa confusione sovrappositiva, dalla integrazione di due prati-rathas con i profili rientranti di due upa-pratirathas. A complicare più ancora le vicissitudinoi architettoniche era la configurazione nelle guise di venu koshas della prime pratirathas intermedie, in cui trovavano una replica gli amalakas che scandivano i bhumi del sikhara, comporimendo tra i loro ricorsi kapotikas con  gavakshas aggettanti. Appigliata al centro del sikhara  si stagliava l'uro-manjari di una possente replica miniaturizzata, e pancharatha, del mula manjari dell'intero sikhara, la cui  imponenza di molea dire il vero, anche per dare luogo a tali e tante proiezioni interne, ed ai loro stacchi, non appariva un portento di svettante agilità ascensionale

 

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Le pareti da cui il sikhara si staccava oltre una serie assai variegata di modanature e la varandika, presentavano due ordini di statue,
 
   

come era prammatica minima nella esemplare Khajuraho , le quali, e lo si era già visto nel secondo dei templi antecedenti, poggiavano su ridottissimi piedistalli ad eccezione di quelle del bhadhra centrale e dell'antarala, che erano poste in rilievo, nella divinità che effigiavano, dal loro inserto in nicchie di prestigio. Impreziosivano tali edicole pilastri illegiadriti da collari plurimi e arcanamente affiancati all'esterno da sardulas, uno per lato,  nonché da una pattika sottostante di roselline e dal fregio  ad essa soggiacente di una  parni-bhanda fogliare.
 
   

 Attornivaa le edicole  un’alternanza esterna di surasundaris nelle proiezioni dei sottili pilastri prati-rathas, e di demoni sardulas negli stretti recessi, ai dikpalas protettori essendo riservato lo stallo di rito dei karnas seguenti. Un  terzo ordine di statue, come si è già ammirato, secondo un aspetto dei templi di Kadhwaha attestato già nella loro prima fase (stando a quanto si era già visto nel tempio numero 3, secondo la catalogazione di Krishna Deva), era anticipato o ripreso nell’alto del cieli delle nicchie, ora una per ogni proiezione, di un varandika che ne era dilatato meravigliosamente a rallentare ed enfatizzare  la corsa ascensionale, aprendo alla vista la luminosità scultorea di un diaframma incantevole di divinità e beltà celestiali,  come in precedenza, e in Khajuraho, non era ancora stato dato e non sarebbe stato concesso di vedere. 

Alle fondamenta di tutto, nell’adhisthana il vedibhanda di kura, kumbha e kalasha si sopraelevava, all’altezza del piano di calpestio delle sale antecedenti, su di uno zoccolo e di un plinto soggiacenti, come era già il canone invalso nello svolgimento esplicativo delle  modanature in Khajuraho, o in quelle concordatarie dei templi Kalachuri

 
   

 

Nel loro profilarsi, al primo corso di un bitha con rombi diamantini, facevano seguito un jadhya kumba in cui defluivano petali di loto, poi  un karnika, una modanatura fregiata di rosette e petali di loto, un pattika ancora di rosette e di rombi diamantini floreali, un ulteriore karnika, ancora un jadhya kumbha ove ai petali di loto sottostavano altre rosette, di nuovo un karnika e alfine un grasa pattika terminale.

In mukamandapa e mandapa al vedibhanda corrispondevano, a ornamentarne i balconi,  un corso di fregi diamantini, un rajasena  di nicchie di divinità con pilastrini fiancheggiati da sardulas, un vedika di paraste di volute fogliari fra le quali campeggiava una nicchia che macroscopizzava quelle del rajasena, quel che restava dell'asanapatta superiore.

 
   

Il phamsana , concluso  da un amalaka, della copertura a gradoni piramidali del mandapa, si stagliava oltre una serie mirabile di tempietti che a corononamento di nicchie che ponevano le proprie divinità al riparo di gronde, del phamsana replicavano e miniaturizzavno in tilakas i piani ascendenti, nel loro profilarsi su di un frontoncino di udgamas od un microcorso di pilastrini  e di nicchie,  a fianco di una terna centrale di edicole la cui templificazione contemplava un mirabile sukanasa, le cui volute erano animate da makaras e animali in sembianze di scimmie

 
 
   
   

 

L'interno era di una magnificenza assoluta: oltre il mukamandapa, con i suoi corti pilastri risolti nel fregio circolare di un jalika o in quello di un vaso dell'abbondanza, poi al di sopra, nel mandapa, di una serie di nicchie che erano dei mini.tempietti delle divinità albergativi,

 
   

 

lo sguardo poteva levarsi ad  un soffitto mirabile,  in cui al cuore di una serie di incorniciature,  tra dei kirtimukkas agli angoli promanava lo schiudersi triplice delle corolle di un fiore di loto,

 
   

 

replicato, tra mithunas, oltre i bordi retrostante e frontale della sua inquadratura.

 
   


 

Il portale che ci si prospettava,

 
   

 

nei profili dei sakas e delle statue alla base delle divinità fluviali, delle loro attendenti e di dvarapalas  in confidenza amorosa

 
   

 

quanto all'incorniciatura degli stipiti conferiva appieno risalto alla splendida  tornitura spiraliforme e scannellata delle stamba-sakas circolari e dei loro capitelli bharani,

 

 
   

mentre nel lalata bimba il rilievo plastico era  tutto dei gruppi statuari delle divinità della Trimurti che vi stavano insieme con le loro consorti, Shiva e Parvati al centro, il loro compound  essendo rimarcato dalle rientranze e sporgenze, profuse di pendenti, delle modanature a sostegno delle edicole del loro amore.
 
   


 

Di meno gli restava da dirci a suo malgrado il secondo tempio Talao shivaita,

 
   

talmente era sbrecciato e amputato, benchè il prasada del santuario, al di sotto di un sikhara  impeccabilmente pancharatha e preservato  fino all'amalaka conclusiva, su una sontuosa adhishthana dal ricorso ossessivo a bande di rombi diamantini, prelusivo a quello dei jalikas della gradinata d'accesso

 
   

.presentasse gli ingressi a due garbagriha,

 
   

 di uno soltanto dei quali, stretto e verticalizzato, si conservavano il mukamandapa ed il mandapa, una anomalia duale di "case dell utero divino", che nel circondario avevo ritrovata attestata solo in un tempio Chandella di Dudhai.

 
   


 

In una delle due edicole dei badhras , che costituivano i soli rathas ornati di sculture, nonostante il doppio registro della bipartizione delle pareti, campeggiava uno Shiva Bhairava sfrenato nelle danze,  con una ghirlanda di teschi a contenerne la crocchia del jata-mukuta,  e nella pienezza integra dei suoi attributi, il trisul, un tamburello damaru, un cobra ed un bastone katvanga teschiuto.

 
   

 

Nella edicola sottostante, sovrapposta alla vedibandha era invece visibile una Parvati in panchagnitapas, rigidamente impettita nel suo dimesso regime penitenziale.
 
   


 

 

 
 

 

Ed eccoci di fronte al tempio A del gruppo Talao, il tempio denominato localmente  Murayat ,  presumibilmente una forma corrotta del termine Mattamayura, ed un prezioso indizio della sua affiliazione alla setta tantrica shivaita.

Con esso accedevamo ad un esempio mirabile della terza fase della costruttività templare in kadwaha, e già a prima vista, nella maggiore integrità dei suoi resti che ne aveva preservato il sikhara e la restante sovrastruzione,  manifestava un distacco ulteriormente avanzato dai templi Pratihara, ed una prossimità quanto mai ravvicinata ai templi sommi di Khajuraho.

Tale mutazione clamorosa era flagrante già nella sopraelevazione su di una piattaforma,  di una successione di interni che tra il portico e l’anticamera dell’ antarala d’accesso al santuario,si articolava  in un mandapa intermedio , che con la sua finestra balconata  come l’atrio era  schiuso alla luce nelle guise di  un ranghmandapa, e con una sua  propria copertura piramidale distinta da quella del portico e dal sikhara del gharbha.-griha, che dei templi di Khajuraho preannunciava o rievocava l’ascendere e il calare e il risalire ancora per picchi delle sommità del monte Kailash, dimora di Shiva, o del mont Meru che  è l’asse del cosmo e la sede di tutte le divinità celesti.

Era addirittura saptaratha il culmine ogivale del sikhara, cui risalivano i sikarikas e i gavakshash terminali delle corrispondenti prominenze aggettanti in forma  di pilastri, o stambha*, delle pareti della jangha del santuario e dell’antarala, - una corrispondenza assicurata, non senza  una certa confusione sovrappositiva,  dalla integrazione delle due prati-rathas con i profili supporti rientranti di due upa-pratirathas-, con Appigliata al centro si stagliava l uro-manjari di una  possente replica  miniaturizzata e pancharatha del mula manjari dell intero sikhara, la cui  una imponenza possanza di mole che a a dire il vero, anche per dare luogo a tali e tante proiezioni interne e ai loro  stacchi, non appariva un portento architettonico di svettante agilità ascensionale .

Tali pareti  presentavano  due ordini di statue, come è prammatica minima in Khajuraho , le quali, come già nel secondo dei templi antecedenti, poggiavano su piedestalli e solo nella badhra centrale e nell antarala figuravano essere divinità poste in rilievo dal loro inserto in  nicchie di prestigio, impreziosite da pilastri con collari plurimi e sardula che li affiancavano all’ esterno, nonché da una pattika di roselline e dal fregio fogliare sottostante ad essa di una parni-bhanda fogliare, in un’alternanza esterna di surasìundari nelle proiezioni dei sottili pilastri e di demoni sardulas negli stretti recessi, ai dikpalas  protettori essendo riservato lo stallo di rito dei karnas.

Nell’adhisthana su cui si sopraelevava la jangha, la vedibhanda di kura, kumbha e kalasha  si sopraelevava a sua volta, all’altezza del piano di calpestio delle  sale antecedenti,  su di uno zoccolo e un plinto soggiacenti,  come era già la regola o sarebbe stato il canone invalso nello svolgimento esplicativo delle sue modanature in Khajuraho, mentre un suo terzo ordine di statue , secondo uno stilema dei templi di Kadwaha attestato già nella loro prima fase ( come si è visto nel tempio numero 3 secondo Krishna Deva), era anticipato o ripreso nell’alto del cieli delle nicchie di una varandika  che la dilatava  meravigliosamente  a rallentare la corsa ascensionale come in precedenza, e in Khajuraho, non era ancora stato dato e non sarebbe stato concesso di vedere , nell’aprirsi alla vista della luminosità scultorea di un diaframma incantevole di divinità e beltà celestiali.

Adhisthana, al primo corso bitha con rombi diamantini, facevano una jadhya kumba in  cui  defluivano petali di loto, una karnika, una kapota di rosette e petali di loto , una pattina di rosette e rombi diamantini floreali, un.ulteriore karnika, una jadhya kumbha ove ai petali di loto sottostavano rosette, una karnika, una grasa pattika.