Antichi
templi hindu in Barwa Sagar,
nei distretti di Shivpuri e di Ashokanagar
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marzo 2015 |
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Primo giorno
All’arrivo in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, mi sono mosso per Garkhudar secondo quanto mi era stato confermato, dell'itinerario d'accesso , da un addetto all’ufficio turistico ch’è dislocato nella stazione ferroviaria, e dopo che ho preso un autorickshaw per quella degli autobus, come vi sono arrivato nei percorsi di scorrimento antistanti vi ho chiesto del pullman che fosse in partenza per Barwa Sagar, per iniziarve da tale antico centro la mia vera e propria escursione a Garhkudar, il primo dei grandi palazzi e forti dei sovrani Bundela, antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha. In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso, senza un orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a chiedere se era in grado di condurmici, con il suo tuk tuk, ad uno dei conducenti di autorickshaw che erano in sosta in un vialetto, ombreggiato da piante, che si dipartiva dal punto in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva verso Niwari, in direzione sia di Chattarpur e di Khajuraho, che di Mahoba. Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina, e per soddisfare la quale avanzasse o prefigurasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto all ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva fosse di 36-38 chilometri, circa, e Garhkundar mi fosse stato preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario, e cosa non indifferente a risolvermi di accettare di li a poco di mettermi in moto con lui, l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, che partiva di filato in direzione di Niwari. Nella splendida giornata solatia, traboccavano di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati della strada, la frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar. La loro vegetatività traboccante faceva seguito alla pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha, ravvivata a tratti solo dallo splendore a chiazze delle bouganville, in un' alternanza di aridità abbacinante e di vivide fioragioni attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima del dilatarsi della vista sul corso della Betwa, del succedersi della profusione di orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l'indomani. Lasciando pure che il conducente trasformasse il servizio a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima, mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi peripli ferroviari e stradali, e pervenivamo di lì a poco alla successiva borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata secondaria che ci inoltrava tra campi e villaggi, intraprendendo ad un bivio la diramazione, di nuovo sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate che si erano già profilate all'orizzonte, e che il percorso finiva per affiancare addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre sulla sinistra non ci portasse al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante e imponente, sommità tra le altre sommità collinari. Il tempo di posteggiare l’autorickshaw
ai piedi della scalinata che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello,
e la sua entrata in salita, che il guardiano del forte si era già caricato il mio
bagaglio in spalla, per iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non
mi restava che assecondarlo, nella sua mistura di sincerità e di artificio,
perché anche il conducente risaliva l'erta al seguito di entrambi fino all’
interno del palazzo.
La sua mole prefigurava il tipico assetto dei manieri Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento, quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri ottagonali, ed un avancorpo al centro delle mura, in cui si faceva prospiciente l’alto portale. L’ arcata d’ingresso era compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone cieco, nel cui grembo si apriva l' umile grazia di una finestrella, giusto all’altezza della parte centrale della trabeazione sommitale del portone d’accesso, tale myse in abyme stagliandosi tra le triplici seriedi due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l interruzione della successione, secondo gli stilemi che sono tipici , nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo ultraterreno d’epoca Lodi, delle moschee coeve o risalenti all’ interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato, oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano, per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il portale, . Semplici ballatoi mensolati raccordavano il portale alle torri laterali, a suggello della severità marziale del forte schiva di ogni adornamento, o decorazione, che non fossero i superstiti modesti chattri, connessi da un bengaldar, che erano rimasti a coronamento di una soltanto delle torri d’angolo, Il cortile interno, sopraelevato come negli altri
palazzi Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi
sarebbe apparso il più vasto e immensificante
di ogni altro di loro, per la serratura entro la schermatura
di una galleria e dei cortiletti pensili al piano superiore,
della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte, dei corpi
d’angolo e centrali, un’alternanza di vani chiusi ed aperti ch’era una
prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva dei palazzi
mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai
parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno, incantevolmente, per la
modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due altiforni, o ciminiere
che fossero, sfidavano impunemente verso nord ovest, mentre
nell’opposta direzione. tra dei monticelli. si schiudeva la vista di un
laghetto e del biancore di un tempio sulle sue rive, il sito di preghiera e
di culto delle regine d’un tempo del palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi era rivolto dai piani alti, secondo quanto si
sforzava di dirmi e mi faceva intendere il guardiano, tentando in hindi di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo, quando eravamo più soli e più in alto, di estorcermi un ammontare spropositato per i suoi servigi impostimi, e che da parte mia non gli avevo richiesto, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in Garhkundar, gli propiziava quando ci siamo ritrovati nel cortile poco più di un centinaio di rupie, di cui avrebbe avuto modo di ringraziarmi con i più ossequiosi degli omaggi servili, dopo che un intervento al cellulare di Kailash l’aveva ricondotto ad un ridimensionamento delle sue pretese in termini interni ai parametri del mondo indiano. La sera si era fatta già oscura quanto la notte al rientro in Barwa Sagar, di cui fiochi lumi illuminavano solo a tratti le strade, esponendomi al rischio ricorrente di essere investito da motocicli od autovetture. Troppo a lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra Orchha e Jhansi ,prescegliere per il pernottamento, apparendomi troppo esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in autorickshaw per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi, senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per Jhansi arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire nessuno. Finalmente ne sopravveniva uno che non aveva ancora raggiunto la soglia del proprio traffico limitato e che mi faceva salire. Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna, e malauguratamente, ancora una volta: perchè ancora una volta vi avrei sperimentato l'imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni, i cui seguiti e cortei ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed hotel. Così solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel, ben deciso, l ,indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orccha. Avendovi per meta la rivisitazione particolareggiatissima del tempio Jarai Math prima di Barwa Sagar
Secondo giorno
Il
secondo giorno mi trasferivo già
di primo mattino da Jhansi in Orchha, presso il Gampati hotel
che avevo visionato con Kailash già
anni addietro. A ricevermi c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma
dell’accoglienza domestica che l'hotel vantava di assicurare, mi accordava
anche l’uso del computer nella sua stanza, il che, grazie al sito puratattva.in,
mi dava modo di ragguagliare per il tramite di internet le mie informazioni
librarie,- non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi
sarebbe ccorso in Kadwaha i
giorni seguenti.
Per
duecento rupie, in luogo delle
trecento richiestemi qualora avessi inteso recarmi fino a Barwa Sagar ed esserne di ritorno,
al parcheggio in Orchha degli autorisckshaw pattuivo una sola corsa di andata
fino al tempio Jarai Math,
volendo io evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe
trasceso le supposizioni di ogni aspettativa. Di li a mezzora ,
in un giorno incerto di marzo, potevo così già ritrovarmi di
fronte alla meravigliosa vista del tempio,
su di un'altura oltre una cinta muraria che raccoglieva i resti anche di due
piccoli santuari adiacenti, laddove emergendo da una nebbia fittissima, tre
mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in
compagnia del caro mister Dipak, che non era
parso particolarmente interessato al complesso.
Anche
allora c'era venuto appresso il guardiano e custode, che sembrava
ora riconoscermi ed illuminarsi nuovamente alla vista, come quando gli
avevo fatto allora cenno che era per ragioni da me indipendenti che non
potevo prolungare oltre la sosta con il mio ospite.
La
grandiosità della magnificenza frontale del tempio cui tornavo al cospetto,
era un effetto fors’anche
di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che
aveva lasciato in vista l’ornamentazione che era adombrata al suo
interno insieme con quella che lo trascendeva all’esterno, in un continuum
splendido, outdoor, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa,
contro il superstite fondale reticolato di gavakshas del sikhara,
che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature ritrovavo arcuati gli udgamas delle nicchie che si
stagliavano sul vedibhanda, delle coronature dei tempietti delle proiezioni centrali di
ogni parete, dei pratirathas laterali che le fiancheggiavano
a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate a templi da tali loro
sovrastrutture nei recessi e nelle proiezioni d’angolo dei karnas e del vestibolo dell'antarala, dove gli udgamas si dilatavano, e si duplicavano, nel
loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era
luminescente la parte superstite del sikhara originario.
Da uno scatto fotografico all'altro
Raffrenava
le mie deambulazioni estatiche intorno al tempio lo scollarsi della
tomaia di una mia scarpa, così non mi restava che procedere in calzini
sulla sua piattaforma, tra il terriccio del giardino intorno, nell'
incognita di come potessi procedere più oltre, fino al rientro in Orchha, quindi in Orchha fino
ad un negozio di calzature,o fino ad un
calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia. Ero così di ritorno alla facciata dal mio periplo
deambulatorio, quando sopraggiungevano due giovani studenti, di Jhansi, che
mi chiedevano, o intendevano mettervi a prova, nella mia valentia conseguita
di indagatore e conoscitore straniero del tempio. In che intrico confuso, prestandomi, finivo così per
cacciarmi tra shivaismo o vishnuismo del culto tantrico alla Devi
ch'era alle origini del tempio. Ma , era la loro questione, perchè
non avrebbe potuto essere semplicemente un tempio dedicato a Laxmi, data la sua natura eminentemente vishnuita. Ed io ad annaspare rifacendomi a quante vi
proliferassero le immagini delle più varie manifestazioni della dea, nella
sua trascendenza di ognuna di esse, perchè il
tempio potesse rifarsi originariamente alla sola sua forma divina di Sakti di Vishnu. Con il custode che assisteva ammirato, assentendo
o annuendo, pur senza essere sempre convinto alle mie
delucidazioni e identificazioni dei gruppi statuari, pronto ad
assegnarmi quello che poteva risultare il colpo di grazia,. Insieme con
lui mi addentravi nella cella del tempio, ed alla sortita, per trarre da lui
lumi in tal senso, da lui ch'era l' incarnazione vivente di una tradizione di
devozione millenaria locale e nel vicinato, gli chiedevo a quale divinità,
secondo il culto vigente, dovesse ritenersi dedicato il tempio " Laxmi e Ganesha" mi
ribatteva imperterritio, sorridendo di come fosse
in dissonanza con tutto quello che avevo detto " Laxmi? punto e a capo
di ogni velleitarietà di farne un tempo tantrico
alla Devi. Ma Ganesha? " Ma di Ganesha non c'è alcuna immagine nel tempio..." I due giovani raccoglievano sorridendone la mia
perplessità, lo sconcerto per la risposta dell'uomo che se presa
per valida e vera, era l' azzeramento di ogni sforzo e discorso
iconologico intrapreso con loro Uno dei due giovani era stato il mio interlocutore
costante, mentre l'altro si era limitato in silenzio a confermare le
mie illazioni o richiami ad altri templi, o a chiarire il senso delle
mie parole e dei miei usi tecnici, azzardati, di un lessico architettonico
risalente al sanscrito. Che mi avessero sottoposto ad esame, in virtù delle
conoscenze umanistiche o del sanscrito del secondo dei due, incuriositi
di verificare la mia attendibilità di studioso e ricercatore straniero? Il .vecchio, apparentemente di me più anziano,
quando rimanevamo soli, aveva la gentilezza e il riguardo di cercarmi un
legaccio, con cui provava a tenere insieme suola e tomaia della mia scarpa
scollatasi. Una premura che gli valeva la mancia che forse
aveva inteso assicurarsi con tale suo gesto. Potevo cosi procedere fino al vicino villaggio, per
vedervi i resti del Jaraho- ki-
Marhia, dove ritrovavo il custode e da
lui mi congedavo con rinnovato calore , essere di ritorno alla strada che
recava a Jhansi, salire su un autorichshaw, adibito
a savari, nella postazione davanti a mio rischio e pericolo, fino alla
deviazione per Orchha, ed al mio arrivo nel
suo abitato con un altro tuk tuk,
acquistarvi un paio di snackers nel primo negozio
di scarpe che incontravo lungo la via che recava alla Betwa,
fare riparare a dovere la scarpa che era finita in disuso, che insieme
con l'altra era stata attrezzata di una cordatura di raccordo di suola e
tomaia .
La sera, fino al far della notte, trascorrendola tra le locande sulla via per il palazzo di Jahangir e l interno del tempio di Rama, in cui mi sono recato in preghiera con un offerta in denaro, senza trarne le dovute avvertenze sulle interdizioni interne al tempio di Rama, come avrei inteso mettendo a rischio tutto l ultimo giorno di viaggio, quando un agente del tempio pretendeva di consegnarmi furibondo alla sua guardia armata, per il mio rifiuto di cancellare le fotografie ch'era proibito che vi avessi scattato all interno.
Terzo giorno
L’indomani ritardavo fino a sera tarda la partenza per Shivpuri. In mattinata ero di ritorno in Barwa Sagar, non senza una breve sosta al Jarahi Math, lungo il percorso, per esperire quanto potesse riservare una visita del forte , nel corso del tragitto da Khajuraho ad Orchha, dopo essersi soffermati in Dhubela, Mau Shuhania, avere deviato per Garkhurar. Che bella la vista del talab, con le sue emergenze rocciose, il lungolago sottostante fino a un tempio recente, che arieggiava grazie rivierasche del settecento europeo. Introvabile il Gugua math, in direzione di Nivari. Era già pomeriggio inoltrato, al ritorno, ma non intendevo saperne di lasciare Orchha senza aver rivisitato il Palazzo di Jahangir, dopo che di primo mattino aveva ripercorso il villaggio sino alla Betwa , godendone la vista che offre per chi vi viene da Tikamgarh, con i suoi cenotafi svettanti in shikhara ed i suoi palazzi coronati di cupole e di chattri. Un vento pulverulento preannunciava un temporale imminente, mentre mi attardavo ancora a rivisitare il grandioso tempio Chhatarbuja, inducendo i negozianti del complesso del tempio di Rama a mettersi al riparo con banchi e banchetti. La pioggia avrebbe imperversato quando già mi sarei ritrovato all’ingresso del palazzo di Jahangir, che non avrebbe mancato di incantarmi di nuovo, nell’alternarsi ascendente dei chattri tra le rientranze dei torrioni d’angolo e centrali, le proiezioni inwards, tra la leggiadria di vani aperti. Mi consentivo anche di stare in ascolto dei discorsi affascinanti di una guida locale, che all’altezza della porta degli elefanti, vi narrava di come si fossero arresati prima della rampa d’accesso elefanti di dignitari e cammelli di dame che non vi erano mai pervenuti, dalla finestra superiore fosse scesa una pioggia di fiori e dalle torrette laterali avessero risuonato le trombe di musici ad un passaggio che non vi era mai avvenuto, nell’evocare un pernottamento del gran moghul Jahangir che non vi sarebbe mai stato. Facevo così tardi che non mi potevo consentire di
aspettare l’arrivo di un altro autobus per Jhansi, dopo che già un
primo era arrivato così carico da non farmi salire, così raggiungevo la città
con un tuk tuk,
trovando un autobus in partenza di li a poco per Shivpuri
quando erano già trascorse le sette di sera. E vincevo la scommessa che
mi ero dato, il fondo stradale insolitamente buono consentiva che l autobus
percorresse gli oltre Era deserta e spenta di luci l’autostazione all’arrivo, ma per un giovane poliziotto cordiale quanto ammaliante, bastava che pronunciassi quanto mi ricordavo del nome dell’hotel che mi ero prefissato, “ Sochi…”, perché me lo indicasse per intero e mi avviasse dove avrei potuto trovare un autorickshaw che mi ci portasse. “ Ah, Hotel Sochiraia…” pronunciato in modi così confortanti, da lasciarmi intendere che ero orientato verso la scelta più indicata. A condurmici sopraggiungeva alle mie spalle un autorickshaw che mi conduceva in condivisione. Era un hotel vasto, con un ampio cortile fin anche troppo consono ad ospitare feste nuziali. L’accoglienza la più premurosa, in una città dell'India dove uno straniero è ancora un ospite raro, confortevole e pulita la cameretta, buonissimo il kaju curry, che mi veniva cucinato e imbandito benché fossero già trascorse le undici. La buonanotte un esito certo.
Quarto giorno
Di rientro dalla mia ricerca di un bancomat lungo la via dissestata che si sarebbe rivelata essere il seguito dell’arteria principale di Shivpuri, avevo la mala idea di assecondare la sollecitazione di un vistoso cartello segnaletico che a due km di distanza sulla destra segnalava un centro di orientamento e informazioni turistiche, prima del villaggio turistico che era ben più lontano. Avrei finito per ritrovarmi invece in questo resort, condottovi di sua iniziativa da un giovane sulla sua motocicletta, che mi aveva intercettato all ingresso dell hotel, dopo che avevo desistito dal proposito di pervenirvi con l autorickshaw guidato da un ragazzo che era ben più avvenente di quanto fosse informato sulla meta che mi ero prefissato. Solo che colà giunto il giovane mi invitava ad avvalermi del direttore inoltrandomi nel suo ufficio, per poi sparire e farsi irreperibile. Chiedere conto di siti archeologici a un funzionario turistico del Madhya Pradesh era la cosa più invisa e che più potesse incollerirmi cui mi si potesse obbligare, essendo per me scontato, per l esperienza pregressa, nonostante l arricciatura di baffi,l’ eleganza di portamento e di tratto e e la profumatezza agghindata, che cosa potesse riservarmi la cortesia formale dell uomo cui ero di fronte. “Mahua, Terahi?, … forse i siti che lei cerca sono nel distretto di Gwalior… Sarebbero dunque vicino a Renod? Perché non ci si dirige da Chanderi? “ quando rientravano ben all interno del distretto di sua competenza. “ Vedo che non serve a niente che ci parliamo ancora”
mi congedavo con comune sollievo e senza Capivano alfine, dopo che simulavo che la mia ricerca di un contatto con Kailash fosse una mia telefonata alla polizia, nello spirito di chi li si ritrovava in stato di sequestro di persona, la sola cosa che era conveniente fare: accompagnarmi in macchina senza richieste di denaro , che li mi ero ritrovato contro la mia volontà, fino all hotel da cui mi ero malauguratamente mosso per finire li malcapitato. Sbollitomi dei miei furori alla reception, mi facevo condurre all autostazione, per poter visitare nella frazione di giornata restante il solo tempio che mi restasse visitabile nel corto raggio, oltre Surawaya, di cui intendevo associare la visita a quella dei chattri Scindhia di Shivpuri, il tempio di Sesai, con una mandapika assai prossima, che la cartina indicava nelle vicinanze, a non più di dodici chilometri di distanza secondo il testo di Sri Trivedi. Era lungo la stessa arteria di larga percorrenza che da Shivpuri reca a Guna, lungo la quale un autobus mi avviava di li a poco, per ritrovarmi in sesai di li a neanche mezzora, Vi avrei trascorso un intero pomeriggio in stato d’incanto, solo con il mio tempietto umile ed alto nella sua compiutezza perfetta, a portata di mano sino all'altezza dei deliziosi tempietti dei suoi badhra, cui non mancava di ricorrere miniaturizzata neanche la chandrasila. Vi ero al riparo del portico sotto gli scrosci di pioggia, leggendovi le pagine e pagine di descrizione, da parte di R.D. di Trivedi, della minuzia completa in tutto e per tutto di ogni sua parte o modanatura o rilievo dettaglio , suscitando l interesse dei passanti per strada, che si fermavano a guardarmi, accennavano o contraccambiavano il saluto, riprendevano il cammino con in mente la novita del giorno. Richiedeva invece una indagine più rapida la mandapika, sul cui basamento erano affastellati fasci dì erbame. Ero in Shivpuri sul far della sera, scendendovi da un tuk tuk che avevo preso dove la strada fronteggiava dei casolari di Sesai, oltre la qila o kotla che ne rinserrava casamenti e rustici. Dovevo faticare parecchio perché un mio accompagnatore troppo solerte intendesse che potevo cavarmela da solo, che prima di ritrovarmi in hotel volevo ritrovare un qualche centro possibile di Shivpuri dove mi fosse possibile ritrovare una varietà di negozi, per comperare le cose che mi servivano, un’altra card fotografica, dei sandali per non scivolare nel bagno, una cartella rigida dove raccogliere le fotocopie evitandone lo sciupio, penne e matite, Si, andava bene che li lasciassi come stavo facendo per procedere avanti, mi si confermava a cenni da parte sua e di un interpellato, cessando di considerarmi sotto le loro cure, avrei potuto trovare più oltre un bazar, con i negozi di tutto l’occorrente che mi serviva. Prima, tuttavia, stranendoli, dopo avere ricaricato il cellulare, ritornavo sui miei passi per consumare una gugià in una locanda, e bermi qualche bibita, per la contentezza del suo gioviale gestore dai modi accesi e coloriti. L’acquisto dei sandali nel secondo dei negozi di calzature che si succedeva, era l occasione per trarre dalla conversazione che avviava con me il suo esercente, la richiesta di informazioni che mi era utile per sapere se l indomani, facendo già il gran passo, era preferibile cercare di raggiungere i villaggi di Mahua e Terahi via Kanya , come mi aveva consigliato il direttore del museo di panna, in un foglietto che avevo miracolosamente conservato e trascritto al computer, salvandone i resti in cui si era piegato, o non piuttosto dalla più vicina Renod, come mi suggeriva il ricorso di Trivedi a tale località di riferimento, per giungervi, , nel suo volume che li descriveva integralmente.
Quale delle due località mi era consigliabile, per essere meglio fornita di servizi., detto altrimenti civilizzata. L’accordo dei presenti era unanime quanto a Renod E che Renod fosse, mi risolvevo, nel congedarmi da interlocutori così riguardosi, con un visitatore straniero svanito e discordante nei modi. La pioggia si intensificava mentre raggiungevo il presumibile centro, di quello che mi ero parso in precedenza un agglomerato che aveva capo solo nelle sue circonvallazioni, le pasticcerie e i negozi di frutta e succhi di frutta< che precedevano un tempio hindu e i suoi mendicanti immancabili, che come a loro mi offriva un riparo dagli scrosci di pioggia fattisi a dirotto . Quando riprendevo il cammino, l’avrei ripreso oltre il chiosco tra negozi e ristoranti oramai per lo più chiusi, tra i quali mi era inimmaginabile trovare ancora aperta qualche cartoleria. Meglio seguitare il cammino fino in hotel, poco oltre, predisponendomi per l indomani alla tappa cruciale del mio itinerario nel distretto di Shivpuri, quella in cui avrei tentato di raggiungere le località sulla carta più difficilmente raggiungibili: Mahua, Terahi, ed oltre Kadwaha, anche per questo per me le più intriganti/ ammalianti.
Quinto giorno
L’indomani, una
domenica, arrivavo all’autostazione giusto in coincidenza con la partenza
dell'autobus per Renod delle 10, 30. Ripercorsa la
stessa strada per Guna fino a Sesai,
la si seguitava oltre il grosso borgo di P.* fino all'incrocio di Derda, svoltando sulla sinistra per intraprendere la
strada che reca ad Ashoknagar, e quindi una
deviazione ulteriore, a destra, che dopo circa due ore di viaggio si
risolveva nell'imbocco del villaggio di Renod. Le abitazioni ed i negozi tinteggiati di bianco lungo
la strada principale me ne nascondevano le vestigia islamiche, che i giorni
seguenti mi avrebbero indotto a reputarla una piccola Chanderi, mentre più che a guardarmi intorno contemplativamente,
ero intento a cercare punti di riferimento , in viveri e mezzi, per la mia
escursione in Mahua e Terahi,
se era possibile fino a Kadwaha. L’animazione più viva di botteghe e locande non faceva
capo ad alcun tuk tuk ,
così, facendo ricorso ai principi dettatimi dalla mia esperienza in india che
faceva al caso, mi indirizzavo al primo esercente che vi vedessi all opera da cui potessi attendermi una certa levatura
intellettuale, un farmacista quanto mai coinvolto dalla sua clientela. La sua cordialità gentile era pari alla sua disponibile
prontezza e rilevanza sociale, perché in capo a mezz’ora poteva affidarmi a
un giovane in motocicletta, perché per 500 rupie mi conducesse ai templi di Mahua e Terhai, a Kadwaha, nella remota ipotesi che restasse del tempo. Se volevamo essere di ritorno per l ultimo autobus per Shivpuri avremmo dovuto fare rientro entro le tre, il
giovane mi faceva intendere che potevo confidare anche in un autobus in partenza
alle cinque, una dilazione dei tempi di rientro cui prestavo fede assai
limitatamente. In ogni caso per 800 rupie avrei potuto farmi condurre in auto
fino al bivio di Derida, dove prima o poi un autobus destinato a Shivpuri l’avrei potuto far fermare. Seguitavamo lungo l’arteria di provenienza, in
direzione opposta, fino a svoltare a destra dopo qualche chilometro, per una
viottola in larga misura asfaltata o dallo sterrato in buono stato. Si ripresentava intorno il paesaggio che mi era apparso
circostante fin dalla deviazione di Derda, una
distesa sconfinata di pietraie aride,ove emergeva
la roccia lavica, cui subentravano o si affiancavano all'altro lato della strada distese sconfinate di campi verdeggianti, di grano
solare, in cui singole piante dispiegavano la bellezza solitaria della chioma
grandiosa. Era Terahi,
l’antica Teramvi,
il primo
villaggio a comparirci, rispetto a Mahua, nelle sue
casipole di pietra. ocra. Defilato sulla destra raggiungevamo il primo dei templi ubicativi, il tempio Mohajmatha fatto edificare dai Kachchhapaghata , signori di Gwalior, sotto i quali vi si insediò la setta tantrica sivaita, dei Mattamaurya. Il tempio era preceduto dal biancore del suo torana grandemente restaurato, come dalla sua aura demoniaca di tempio alla dea Durga, con la ridda al seguito di preta e kankala che avrei visto sfrenarsi nel suo secondo ordine di statue parietali. Esso mi si sarebbe caratterizzato come un tempio Kachchhapaghata per il suo consistere di portico, entrata, santuario in un ordinamento pancharata, sopraselevati sulla pitha di un basso plinto, i pilastri brevilinei del portico d’entrata ornamentati con ghata pallavas , i vasi dell’abbondanza di remota ascendenze Gupta, un portale con stipiti di 5 sakhas, i due ordini di statue separate da una madhyabandha che ricorrevano lungo le pareti laterali, in proiezioni e recessi, un fregio di tulas o testate di sardulas, di matrice lignea, che intercorre nella varandika sovrapposta alle proiezioni del muro del jangha, su cui si elevava il sikhara che è andato totalmente perduto e che era da supporre di media altezza, come è usuale nei templi Kachchapagatha, eccezion fatta per il tempio di Suhanya . ed in Kadwaha per il solo sikhara del tempio Murayat, (e con riserva, in quanto avrei visto il suo esplicarsi in rathas trattenerne lo slancio ascendente). …………………………………………………………… Era tra le case del villaggio, a ridosso di un monastero e in un verde divallamento il tempio Pratihara di Shiva. .............................................................
Come, lasciata Terahi, ci siamo ritrovati
in strada per raggiungere Mahua, l'antica
Madhunati, sede anch'essa come Terahi e quanto
Kadambaghua, l'attuale Kadwaha,
della setta
tantrica sivaita dei Mattamaurya, ecco che
dopo solo qualche
chilometro, data la vicinanza di Terahi a Mahua, alla mia esaltazione contratta a raccogliere nel breve
tempo disponibile quante più percezioni cognitive e immaginative possibile,
è venuto comparendo il fascinoso tempio shivaita del secondo villagio, assai più antico di quello di Terahi, dal cui amalaka mi era preannunciato il situarsi del tempio ai lati della strada
quando vi giungevamo, Il tempo incalzava, mi affannavo a chiedere che raggiungessimo dapprima il tempio di Chamunda, presumendo che fosse il più importante degli altri due situati in Mahua, cercavo pertanto di fare intendere al mio giovane motociclista che non mi prefiggevo più di essere in Renod per l 'ultimo autobus pomeridiano diretto a Shivpuri, ciononostante ero condotto invece al mandapika di Shiva, ch'era nelle immediate vicinanze, mentre si addensavano all'orizzonte nembi cupi gravidi di pioggia. Era stata poco più che una ricognizione la visita del
tempietto, non potevo nella mia concitazione affascinata esporre ad un
nubifragio il mio accompagnatore, così cedevo alle sue sollecitazioni ad un
immediato rientro ed alle esortazioni in tal senso del custode del tempio,
riavviandomi verso Renod in una scommessa contro
l'approssimarsi, d L'acquazzone si scatenava quando ero già al riparo dell'autovettura che il farmacista mi aveva assicurato
per trasferirmi in Derda, dove non avevo modo di
raccogliere al telefono la pretesa non sapevo se avanzata dal farmacista
stesso, o dal proprietario dell'automobile, che pagassi un importo di 1000
rupie, perchè i due ragazzi che erano alla guida erano troppo presi
dall'assicurarmi un posto sull'autobus che era appena sopraggiunto, diretto a Shivpuri, per intendere che cosa volessi loro mai dire,
mostrando loro il mio portafoglio aperto nell'atto di estrarne rupie. Nell'hotel il cortile era occupato dai tendaggi e
tendoni e festoni di un festino di nozze, i cui partecipanti insieme con il
loro disordine avevano prodotto sporco e tanfo dappertutto, al punto che dopo
qualche assaggio al buffet, senza più gusto ordinavo e cenavo in un
ristorante pervaso nelle sue latrine dal fetore recatovi, e non pensavo ad
altro che di assopirmi al più presto.
Sesto giorno L' indomani interponevo la escursione al tempio di Keldar, rispetto ad un mio ritorno in Renod
per terminare di visitare Mahua e recarmi a Kadwaha, poi in Indor. Tra candide
nuvole il sole era tornato a risplendere nel varco dei cieli, ed in autobus
procedevo oltre Derda fino al
villaggio ch'era prossimo di Lukwasa, la cui confusione fragorosa
allineata ai bordi del fragore del traffici stradale di passaggio, resa più
insostenibile dalla vista dei cadaveri animali le cui viscere si contendevano
i corvi, ero ben lieto di lasciare quanto prima, sul furgoncino fuoristrada
che seguitando verso Guna mi conduceva
al
sito di Keldar, ad oltre 12 km di distanza in aperta
campagna nel suo infoltirsi boscoso, la
disponibilità del cui conducente a trasportarmici a pagamento mi era stata assicurata
da un commerciante eminente del villaggio che l'aveva intercettato di
passaggio. Con ben altro animo sarei stato contento di li a poco di lasciare
invece quel poco di buono, infischiandomene che gridandogli di
andarsene pure via via, lo
inducessi ad abbandonarmi li a, in tutta solitudine, pur di non sentirlo
già lamentarsi del tempo
intercorso, e richiedermi a viso torto un balzello più esoso,
non appena sono giunto a scorgere giù nel greto di un rivolo il sospirato
tempietto, dopo avere divagato, tra i templi più recenti, per la distesa circostante della
radura che s'apriva entro il folto del bosco di Keldhar, per la sua stessa inesperienza del luogo. Ma trovavo di li a poco di che confortarmi nella
amenità graziosa del tempietto e nella rusticità scultorea delle sue statue
coperte di impiastri, nella ammirata accoglienza di una sadhu
e di sua moglie e di un altro monaco accolito, che avevano la loro dimora
appresso il mandir. Baldeo Bab mahatma,
così si chiamava, era ammirato della mia cognizione e dei miei interessi,
appariva curioso del libro che stavo utilizzando, sicché, dopo
essermi venuto appresso con discrezione estrema lungo le mie peregrinazioni
brevi intorno alla piccola
mole dell' edificio, mi chiedeva di sfogliarlo. Chiamava a raccolta l altro sadhu e la moglie, nel visionarne le pagine e trarne appunti, mentr'io mi aggiravo nella radura ove traluceva e s'oscurava il sole fra gli alberi , e andavo fotografandone l incanto .
Sarei scivolato poi nella malta e nello
sterco, ad un primo tentativo di transitare il rivo, e sarei stato di
lì a poco di ritorno dall uomo, perchè mi detergesse i pantaloni con l'acqua ed un panno.
Risalito al tempio ed ai chattri sovrastanti, avevo
modo di non lasciare a lungo nelle ambasce Kailash
che con me era in contatto, su come potessi fare rientro a Lukwasa, per una strada tra i campi lungo la quale
sorgeva solo un villaggio qualche chilometro distante ( "ferma per strada ogni
mezzo possibile, portati oltre anche salendo su dei carri" al cellulare il suo
consiglio trepidante) Sopraggiungeva di li a poco un trattore carico di passeggeri, che erano venuti a prendere l'acqua ad una fonte sacra , seguitati da un giovane in motocicletta , ed il passaggio fino a Lukwasa era assicurato. Avessi disatteso di chiedere al conducente di recarmi fino a Lukwasa, per prendere l autobus ove in un primo tempo egli intendeva lasciarmi, al punto in cui la via di campagna defluiva in quella di raccordo di Guna e Shivpuri, avrei evitato l'ammorbamento ed il tanfo, il luridume e gli avanzi di resti animali per strada che avrei ritrovato nel villaggio. L'arrivato anticipato in Shivpuri mi consentiva di ritrovare a piedi le strade che passando accanto a scoli di liquami, un parco immerso nel verde fitto degli alberi di cui era denso ed il prato di un campo sportivo dove immancabilmente dei ragazzi e dei giuovani giocavano a cricket, raccordavano la stazione degli autobus al centro, dove mi consentivo infine di inebriarmi con una birra.
L' indomani di ritorno a Renod,
il farmacista mi assicurava un altro giovane come driver, per recarmi a Kadwaha, Indor, raccomandandomi
che visitassi in precedenza il monastero di Renod,
al margine dei campi oltre un rivo e meravigliosi boschetti. Un monastero dei
Mattamayuras? Per raggiungere Kadwaha il giovane, che si era mostrato di grande cortesia durante l'escursione al monastero, alla mia richiesta del suo aiuto quando mi sono impantanato nel fondo melmoso di una viottola presso il transito del rio, ha intrapreso la stessa via campestre già trascorsa in precedenza che recava a Terahi e Mahua, fornendomi così l'occasione per recuperare la mancata visita del tempio Chamunda. Ma come ho cominciato a insistere perchè ci arrestassimo, si è mostrato sordo a ogni mia richiesta, in un frangente in cui non me la sentivo di farmi valere attraverso Kailash. al telefono. Alle prese in Rajnagar con la burocrazia indiana per il rilascio del certificato di nascita di Poorti ed Ajay, era talmente contrariato, ed esasperato, che non voleva saperne che di rispondermi come un impiegato d'ufficio. Evitavo di fare scene, confidando che potessi farvi sosta sulla via del rientro, ma quando pervenivamo a Kadwaha dopo avere svoltato a destra e tenuto sempre la destra all' ingresso di un precedente villaggio, sono rimasto talmente condizionato dalla irremovibilità del suo diniego, che dopo il primo gruppo di templi che si è presentato all'ingresso nel borgo, il complesso Pacchali Marghat, come avrei appreso tardivamente, riconsultando al rientro dal viaggio il sito www.puratatwa.in, che mi lasciava intendere come tale complesso fosse comprensivo dei templi 1 (l'a) e 3 (il b) della classificazione di Kishna Deva, mi sarei limitato a chiedergli di visitare solo il gruppo dei templi Talao, per la particolare rilevanza del tempio A, il Murayat, la cui denominazione stessa ne richiamava l'affiliazione alla setta Mattamayuras. Al punto di sosta dell
incrocio ch' è all ingresso del villaggio per
chi vi provenga da Chanderi, via Isagarh,
Non mi venivano
tuttavia meno la determinazione
e la fermezza di strappargli la
conferma dell impegno a raggiungere il villaggio di
Indor, per visitarvi il tempio
shivaita Pratihara,
un unicum, tra i templi coevi dell India centrale,
per la configurazione stellare del prasad intorno
al garbaghriha. L'ingresso del villaggio ne presentava i casolari bianco-celesti sopraelevati amenamente su alture in successione, da cui ci si distaccava sulla destra, per inoltrarci fino all'estremità del villaggio, dove uno slargo anticipava la costipazione del tempio tra le case infitte nelle sue coste. Sostenuto dalla cordialità dei giovani e degli uomini
del villaggio, attratti dalla mia assoluta novità, che mi aiutavano a
risalire i terrazzi da cui la vista di certe statue e dettagli del tempio era
la migliore, imponevo al giovane l osservanza dei tempi richiestimi dalla visita
esterna del tempio, ma non avevo la forza di fare altrettanto, quando
sulla via del rientro che non era più la stessa presa all'andata, per
cui venivo meno ogni possibilità di recuperare la visita in
Mahua del tempio della dea Chamunda,
sorprendevo tra i campi una vecchia che si distendeva fra l'erba
dispiegandovi il sari con volto felice/rapita in estasi, e non mi
attentavo a chiedergli di ritornare sui suoi passi.. Ma avevo beninteso nei
miei timori con
chi avessi a che fare, perchè quando fermava la
motocicletta lungo la strada per fermarsi a orinare, si ostinava a non
volerne sapere di riprendere il viaggio per una Renod
oramai vicina, se non lo avessi pagato anticipatamente. Non chiedevo soccorso
per telefono a Kailash, talmente si era mostrato inaffettivo nei miei riguardi, né
lasciavo, come avevo in animo di fare, che il giovane rientrasse da solo in Renod
,
impuntandomi di non risalire in sella, per riguardo al farmacista mi zittivo e
risolvevo a pagare solo il convenuto, invece dell
importo ben superiore che ero già intenzionato a concedergli, .
Mentre in Shivpuri
mi sorbivo al rientro
una seconda birra, ed al contempo mi deliziavo di alcuni succhi di guava, non avvertivo ancora come l'accaduto mi stesse
lavorando dentro, nulla mi lasciava ancora presagire la deflagrazione
in cui
quella notte, e la mattina seguente,
mi sarebbe esplosa la mente per la
mortificazione patita .
Ottavo giorno
L'indomani intercalavo la visita a Surwaya
e ai chattri Scindia, ad
un ritorno solo il giorno dopo a Renod, per recuperare la visita del
tempio di Chamunda in Mahua
ed in Kadwaha dei gruppi templari ai quali non mi
ero recato. L'afflizione remissiva mi stava ancora talmente prostrando nella fortezza di Suravaya, che una volta ricevuto il sollecito a ritirare il mio zaino dallo stesso guardiano che all entrata mi aveva aiutato, con carta ed acqua, a disbrigare un bisogno che non ammetteva più dilazioni, e che per questo soccorso non aveva voluto ricevere compenso, consigliandomi di lasciare quei soldi al compagno che accudiva il parco interno, non me la sono più sentita di ritornare sui miei passi, perchè il complesso rimanesse aperto ai visitatori, per accertare , in particolare, se fosse davvero inaccessibile il tempietto più antico sopraelevato sul monastero.
Concludeva mirabilmente la mestizia del giorno la visita dei chattri Scindia. Tutto, nel complesso hinduista, era ispirato all'arte ornamentale islamica, che ammantava la conservazione, in proporzioni monumentali inusitate, della successione di portico d'ingresso, mandapa, antarala, garbagriha caratteristici del tempio hindu, sotto un sikhara volto a bulbo in soggezione all estetica predominante. Ma l anima hindu emergeva invitta sotto le spoglie islamiche, quando sul far della sera nel padiglione al centro del bacino lacustre e nei templi ai lati si accendevano le luci e si aprivano i portali per la darshan degli dei, tra i quali risaltava un Rama cui all'esterno era volto in devozione assoluta un piccolo Hanuman.
Nono giorno
Il giorno seguente in Ranod
era il medico, un bengalese, in luogo del farmacista, che mi approntava con
la sua moto il giovane del mio primo itinerario in Terahi
e Mahua, Una volta omaggiato della mia visita il capovillaggio che abitava nella casa di sopra, con
il più fidato e assecondante dei conducenti potevo così recuperare nel più
luminoso dei giorni quanto in Mahua e Kadwaha non avevo potuto o non avevo avuto la forza di
imporre di condurmi a vedere al motociclista. visitato così una buona volta il tempio di Chamunda
La foratura di una gomma ci arrestava nel
villaggio di Mahua, Un ragazzo tentava una prima
volta la stessa ricucitura del buco, ne rimediava il guasto ulteriore e ne
perfezionava l opera un secondo sopraggiunto. Ciononostante mi era possibile sostare a lungo in Kadwaha, assecondato dalla compiacenza del mio conducente, e benché le numerazioni dei templi privilegiati da Krishna Deva cui mi rifacevo non corrispondesse alle classificazione dei gruppi dei templi in vigore presso i loro custodi, vi riuscivo a visitare i templi Garhi, ossia il 2o di Krishna Deva, il gruppo 7, il tempio Chandla, Margathia, i l gruppo Bag. All'appello finale di un riscontro quando ero già rientrato in Khajuraho , sarebbero mancati solo i templi Ekla, e del gruppo Kirna. ( Alla descrizione dei templi Garhi, ossia il 2o di Krishna Deva, del gruppo 7, del tempio Chandla, Margathia, dei templi del gruppo Bag) Ero così appagato dalla condotta conforme ai miei
intenti del giovane conducente, che ad ogni sosta ulteriore cui si apprestava
ad una mia sollecitazione, ad ogni suo
subitaneo arresto per soddisfare il mio desiderio di fotografare la bellezza di
solitari alberi chiomati o dei profili della vastità di campi e pietraie cresceva la
mia propensione a corrispondergli alla fine un compenso sempre superiore, né mi veniva in mente di richiamarlo alle
consegne iniziali, quando invece di fare ritorno immediatamente a Renod, data l ora già tarda, egli ha intrapreso a spaziare per i
campi, di villaggio in villaggio, per condurmi, mi diceva, dove potessi prendere
direttamente l'autobus
per Shivpuri. Il trascorrere in motocicletta
nelle distese sconfinate si
faceva intanto interminabile, mentre la sera veniva calando e in breve volgere
si tramutava vertiginosamente in notte, sotto un cielo in cui brillavano miriadi
di stelle
sulla campagna indiana sterminata, sui villaggi tra le cui rare luci e le cui soglie trascorrevamo, sui ponti e i rivi che
traversavamo, sulle infinite piante che si profilavano cupe in giungle addensantesi, o
che dispiegavano i rami sparute nei campi, solinghe nell'immensità
deserta dei
coltivi, le stelle scintillando sempre più fascinanti sullo sfondo che fantasmizzavano immani tralicci, sui manti stradali
lisci, sconnessi, polverulenti di lavoro in corso, o ricostituentisi
d'un tratto
dopo le buche e le scarpate di una loro disgregazione che sembrava non avere
fine, in un susseguirsi di viottole, stradicciole, più larghe arterie
asfaltate, per ritrovarmi ancora in stradine (cavedagne) di raccordo sterrate, in cui mi immetteva
senza tregua l una dopo l'altra, nella mia
estasi che turbinava vertiginosa, che si esaltava dell'infinita bellezza della notte
stellata nel cui grembo trascorrevamo, finché dopo un'inutile
sosta in P.*, dove non v'erano più autobus per Shivpuri, non ci ritrovavamo proprio a Derda, al
termine di una corsa di ore e ore. " Perchè mai lo verrà facendo?"-.durante la sosta in quel villaggio chiedevo al
cellulare ad un Kailash per niente estatico,
"sono ore e ore che mi viene conducendo" "Li sa lui i suoi motivi". Li avrei intesi, forse realmente, all' arrivo in Derda frastornato, quando dopo avergli dato di mia iniziativa
Avrebbe potuto differentemente che così,
ottenere e spuntare una cifra
che era il quintuplo di quanto mi aveva estorto il giovane conducente
protervo del giorno avanti? Capivo, ora, come in spirito di grata amicizia,
mi fossi a lui consegnato, senza più accortezze di sorta, come in
India si consegna
al proprio lapka l' accalappiato di turno?
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