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dicembre 2014 |
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Possibile che io non mi sia ancora dato per inteso quanto io debba gratitudine alla ignoranza sovrana della popolazione indiana sui propri più reconditi cimeli archeologici, se rende ogni volta il loro ritrovamento l' evento prodigioso di un'autentica apparizione, invece di contrariarmi con animosità sconfortata per il riproporsi dell'ennesimo copione che si inscena, ogni volta che pervengo nei paraggi del sito che ricerco e di cui intendo scrivere e ancora nessuno ne sa niente? E’ una nebulosità che mi eclissa puntualmente nell'insicurezza e nel discredito interiore della mia ricerca , nell’ incredibilità della destinazione che a cui miro, che mi immelma nelle difficoltà che insorgono ad accedervi proprio quando vi sono quanto mai prossimo, pur di inoltrami ulteriormente inducendomi a confidare nell'assecondamento alla cieca delle mie richieste, solo per il lucro che si presume di estorcere dagli strampalati miraggi di uno straniero bizzarro. Possibile che non abbia
ancora conseguito la dovuta confidenza nella mia ricerca pionieristica, alla
luce degli stessi suoi esiti di fatto, che attestano che ogni volta essa
puntualmente s'invera,, pur che mi affidi ancora una volta alla
speranza quando essa oramai appare contro ogni speranza, che mi appigli
alla certezza dei dati rivelatimi dalle fonti autorevoli di cui
dispongo, dei quali sta pur sempre al mio discernimento colmare
l’insufficienza delle necessarie a
raggiungere la meta, con il salto mentale nelle concrete circostanze
in cui La rivelazione illuminante a cui nella prima decade del dicembre del 2014, un mese or sono, era affidata la mia sequela archeologica per pervenire al tempietto Kalachuri di Marai era in un foglietto miracolisticamente preservatosi nel tempo, in cui avevo trascritto gli insegnamenti trasmessimi dagli addetti del museo dismesso di Ram Van, su quali fossero le località di riferimento nelle vicinanze per potervi pervenire. Che giunto a Maihar chiedessi della localitò di Dilaha , vi era indicato pur se malamente Alla partenza da Satna dell'autobus per Maihar chiedevo di Dilaha al bigliettaio, per il tramite al telefono dello stesso mio amico Kailash, per verificare se almeno lui sapeva dell'esistenza di una località denominata approssimativamente in tal modo, che doveva pur trovarsi nel circondario di Maihar. Ne aveva contezza, e sapeva dirmi dove avrei dovuto scendere in Maihar, all'altezza della strada che vi conduceva. Confortato da tali prime conferme mi facevo lasciare in Maihar dove un portale immette nel bazar, e vi iniziavo a chiedere di Dilaha, di un purana Marai Mandir che sorgeva nelle sue vicinanze. Di Dilaha mi indicavano unanimemente la via che si snodava in sua direzione, sei o sette i chilometri di distanza, ma pure unanimemente nessuno sapeva niente di alcun antico tempio Marai che vi fosse ubicato, o di alcuna località denominata Marai da cui il tempio traesse il nome. Nessun schiarimento, in merito, neanche presso i conducenti di autorickshaw di cui raggiungevo la postazione, pronti comunque a spararmi le richieste più esose, pur non avendo alcuna cognizione di dove mi dovessero recare.** Kallu, cui chiedevo al
cellulare di farmi da traduttore, non riuscendo io a farmi capire in inglese,
era più pronto solo a maledirli e a inveire contro quei suoi compagni
di mestiere, che avevano ceduto alla tentazione cui è esposto e in cui cade
abitualmente alla vista della "white face" di un turista straniero,
con l particolare difetto di non mostrarsi ingenuamente estranei a quegli
istinti profittatori/ predatori che Kailash credeva fossero una prerogativa
solo dei luoghi indiani turisticizzatisi, nella inversione dei
ruoli che mi faceva vestire i panni dei suoi clienti e a lui di mio
assecondatore, cui chiedevo di spuntarmi l importo più basso per
l'escursione. Lui insisteva perchè partissi con il primo conducente Via via che Dilaha
s’avvicinava. al profilarsi sempre più smisurato sullo sfondo di un
cementificio, i due giovani sempre più
di frequente si fermavano a chiedere dove mai fosse un purana mandir,. senza
ricevere alcuna conferma certa della sua esistenza, nemmeno una
volta pervenuti al villaggio,
dove li si invitava a svoltare sulla sinistra, fino a un tempio scialbato tra
una pietraia lavica che nulla aveva di remoto. Anche ad un passante che si era
cortesemente fermato presso l’autorickshaw in sosta per fornirci
informazioni, seguitavano a chiedere del purana mandir, ricevendo
ulteriore smentita, né sortiva esito
diverso che lo interpellassi tramite Kailash al telefono: Ma la mia fede
nelle mie scritture archeologiche non si dava per persa. se non sapeva niente
di alcun tempio Marai, sapeva dirci se
esisteva un villaggio Marai da cui il tempio che ricercavo potesse trarre la
sua denominazione? Certo, La strada era
scorrevole, a lato delle emergenze laviche del trap che costeggiava, e quando
ancora il tramonto era al suo volgere eravamo già a Marai, dove
finalmente di un purana mandir tutti gli interpellati iniziavano
ad attestarne l'esistenza, secondo le voci raccolte si svoltava allora
a sinistra, restavano divergenze solo sul modo migliore per
pervenirvi, ci si atteneva ad un ragazzo che saliva davanti e che ci
conduceva ad una radura dove dei giovinetti erano ancora intenti a
giocare a cricket, un muraglione vetusto che lo bordeggiava e che precedeva
un filare d'alberi maestoso consentiva che il dubbio trepidante cedesse
oramai all'assoluta certezza che il tempio di Marai era retrostante. E
non tardavamo infatti ad avvistarlo, sovrastante, tra uno scoscendimento di
frammenti, nel sopraelevarsi , sulla piattaforma franata, del portale
d’accesso al santuario del garbagriha, pochi spezzoni del
vestibolo dell’antarala, ciò che restava della parte
antistante. Alla base degli stipiti del
portale solo Ganga figurava superstite tra l’assistente e un naga con il proprio canopo di serpenti, sotto le
sakas delle quattro
bande laterali, in cui due serie di ganas danzanti e suonanti affiancavano quella
centrale di mithunas, entro nicchie colonnate e coronate da una
chaitya* carenata, mentre
una rampa verticale dii leogrifi
o vyalas fungeva da bordo esterno Al centro della trabeazione
appariva Shiva, tra Brahma alla sua destra
e Vishnu alla propria sinistra, intervallati dalle nove divinità
planetarie Tre piramidali sikkaras
miniaturizzati sormontavano le nicchie, udgamas le
rientranze, affiancate da vidhyadharas e gandharvas.
In realtà a fare apparire il tempio di esigua mole era la caduta delle mura esteriori intorno al santuario, ne restava solo il basamento del portico d’accesso, sicché si era tratti ad identificarle con quelle del solo santuario, intorno al quale correva un deambulatorio interno che corrispondeva ora al piano di calpestio lungo il quale ne ripercorrevo le pareti, con alcuni visitatori giovani locali, sopraggiunti da Maihar. Ad un raffrontole modanature dello zoccolo, o bitha, corrispondevano con quelle residue del portico, ad un primo corso profilato con petali di loto ne seguiva un secondo piatto, un terzo affilato come una karnika, un quarto che suggellava la conclusione della prima sezione dell’adishtana riprendendo con più risalto saliente /plastico il motivo iniziale dei petali di loto. Il plinto seguente era contraddistinto da una jadhya kumba, una karnika con gagarakas, il rientro di un’antarapatra, il profilo saliente di una grasa pattina di kirtimukkas., subentrava quindi il podio della vedibhanda, canonicamente costituito di kura, kumba con rilievo di ugdama e kalasa, la rientranza di un’antarapatra traforata e la sporgenza di una kapota con gagaraka e takarikas, tutto secondo il copione già prefigurato o che venivano codificando per gli emuli e rivali Kalachuri i templi dei Chandellas nella loro capitale religiosa di Khajuraho. Era uno spartito di cui la jangha riprendeva nelle pareti del santuario la successione delle note statuarie, ridotte pressoché ad un solo ordine lineare visualizzabile, in ciò che sopravviveva della successione di leogrifi o vyalas nei recessi e di ninfe apsaras nelle proiezioni secondarie intermedie, mentre agli angoli figuravano le divinità vediche tutelari ,o dikpalas, sovrastate da astavasus, nelle postazioni superiori, e nelle nicchie delle proiezioni centrali comparivano per lo più le gesta del dio Shiva dedicatario del tempio, di cui sopravviveva solo, per quanto mi era presumibile, l impresa contro il demone Andaka.
Avrebbero richiamato alla mia
mente invece parabole kafkiane, le difficoltà che sono assurdamente insorte
al mio arrivo in Bahuriband, per pervenire a Tigawa, nelle
vicinanze, dove è situato uno
dei templi Gupta più originari, quando l’indomani vi sono giunto in autobus
da Katni, dopo avervi sostato sostandovi la notte in hotel. Avevo prescelto
Katni come città di partenza perché è la capitale del distretto dove si
situano le due località di Bahuriband e di Tigawa, che ne distano poco più di
una cinquantina di chilometri. In questo l' aveva preferita a Jabalpur,
che resta ad oltre Dice il tramando storico trasmessoci da Alexander Cunningham nel volume IX dei suoi reports, che Bahuriband era ai suoi tempi un piccolo villaggio, mentre ora è una cittadina, situata ai bordi dell'altopiano dei rilievi Kaimur, 32 miglia a nord ovest di Jabalpur, costellata, tutt’ intorno, da un gran numero di distese d'acqua arginate, o jhils, da cui trae il suo stesso nome, che significa nient'altro che " molte dighe". Tali distese d'acqua sono ora annerite dalle coltura che vi è praticata delle castagne d'acqua, che mi rinviano ai trigoi di cui è famosa la mia città d'Italia. Trae invece Bahuriband una certa qual fama da un'iscrizione che è ora ai piedi di una colossale statua jain, ai tempi di Cunningham sotto un pipal, la quale riconduce l'erezione della statua ai tempi in cui il territorio era sotto la dominazione del capo Rashtrakuta Golhana Deva, tributario del grande re Kalachuri Gaya Karna Deva, sollevando una diatriba mirabilmente risolta dal gran maggiore archeologo sulla sua datazione, in termine di samvat. Di essa, per l'abrasione della terza e quarta lettera è certo solo il secolo, l'undicesimo dell'era cristiana , come attesterebbero le prime due lettere 10**. Fosse vera o falsa la diceria, raccolta come non destituita di fondamento da Cunningham, che vi sorgesse un tempo una delle città dei Parihars, la stessa Tholabana di Tolomeo, altrimenti detta Volabana, da cui è facile desumere una meno remota Bahulaband, più prossima nel nome a quello della Bahuriband attuale, in ragione della diffusa presenza, sull'altopiano circostante, di cocci di vaso e di frammenti di antichi mattoni, l’abitato attuale è un raggruppamento di insediamenti raccordati dalla via di transito che l'attraversa. Esso ha il suo centro nello spiazzo che ne è tagliato in due dell'autostazione, lungo i cui lati si dispongono file di negozi e negozietti e spacci e locande in cui si concentra l'animazione della vita cittadina. Essi si affacciano su un vasto o sterrato annerito di lasciti di carburante e di liquame, la cui desolazione come termine d'arrivo della mia corsa mi eclissava in uno stato di depressione. Le indicazioni raccolte in internet situavano Tigawa ad oltre cinque chilometri di lontananza da Bahuriband, e nessuna delle persone del posto che interpellavo mi ridimensionava la distanza intercorrente. Certo , avrei potuto prendere un autobus, ma sarebbe partito molto più tardi, mentre al presente erano già passate le due del pomeriggio, e dal punto dove fossi disceso mi sarebbero rimasti da fare ancora due chilometri a piedi, Non c'erano autorickshaw disponibili, avrei potuto farmici condurre a pagamento in motocicletta, ma ne ero dissuaso al telefono da un Kailash inaspritosi che non mi arrischiavo a interrompere, mentre un giovane si offriva invano di accompagnarmi. Innervosito dall' inanità dei tentativi di procacciarmi l’ aiuto di Kailash, che restava in collegamento, indispettito dal suo alterarsi per la mia richiesta insistita del suo soccorso tra quei nativi, pur disponibili, certo, ma con cui pareva vano ogni ricorso all' inglese, mi decidevo alfine a fare da solo, manifestando come potevo la mia richiesta di un passaggio in motocicletta a pagamento per Tigawa. Ad onore del vero ero furente con Kailash, mi esasperava che non si sentisse in obbligo di porsi al mio servizio in un simile frangente, in cui dall'appagamento stesso del mio spirito di ricerca della bellezza spirituale dell'India, con il mio soddisfacimento più grande cercavo di trarre le forme più alte di aiuto che potessi recargli. Ma sembravo avere talmente la fortuna favorevole, che un giovane prestante che serviva nella dolciumeria centrale dell'autostazione, sentite le mie richieste per il tramite di un intermediario, si offriva di trasportarmi in TIgawagratuitamente, sempre che la mia visita non richiedesse molto tempo.. Solo che la mole della moto era così ingente, che non mi riusciva di salirvi soltanto arcuando la gamba, e così avevo la bella idea di montare con tutto il peso del mio corpo sulla staffa posteriore, mentre il giovane stava già seduto davanti, con il felice risultato di fare pencolare la moto e di provocarne il ribaltamento a terra, in un mio gemito d'orrore al rallentatore, intanto che mi riversava di fianco nel liquame di un pozza stagnante presso il marciapiede. Tra le risate generali mi rialzavo, senza scompormi, verso la pompa dell'acqua con cui cercavo di pulirmi e di levare via lo sporco più obbrobrioso. Le risate così come s'erano levate ben presto si sopivano, io mi limitavo a chiedere al giovane se ci fossero danni a lui ed alla moto, ed egli con la formula d'uso degli indiani per sollevarti da ogni incresciosa conseguenza " no problem" , mi rassicurava, in un sorriso gentilmente riguardoso. Non mi restava così che avviarmi a piedi con il mio zaino in spalla verso Tigawa, per pervenirvi prima o poi nel pomeriggio e farne chissà quando ritorno, confidando in qualche passaggio che mi fosse concesso lungo la via del cammino. Via via che procedevo oltre Bahuriband, nessuno che più mi scoraggiasse o scuotesse la testa, alla mia richiesta di indicarmi la strada per Tigawa: sempre avanti, in direzione opposta a quella di arrivo, prima o poi distaccandomene per intraprendere la strada che dipartisse sulla destra . Poco oltre un chilometro, si presentava prima di quanto credessi la strada lungo la quale mi si confermava che dovevo deviare, un largo sentiero di polvere ocra che iniziava a serpere tra i campi smaglianti di colza. Io non deponevo la fiducia ch’era sopraggiunta seguitando oltre, di tanto in tanto volgendomi indietro alle motociclette che sopraggiungevano , nella speranza che prima o poi una di esse si fermasse per caricarmi in sella. E due giovani si fermavano e mi facevano salire, dando ali alla mia speranza di pervenire in tempo alla località di Tigawa Neanche il tempo di allietarmi della vista dello scorrere dei campi tra le convalli all'orizzonte, che il villaggio in cui ci addentravamo si preannunciava al mio stupore come lo stesso Tigawa, per il vasto parco ombroso cinto da una cancellata che si prefigurava essere il suo sito archeologico. "Tigawa"? chiedevo ai giovani, con felice stupore, che confermavano che vi ero arrivato con il farmi scendere, rifiutando qualsiasi compenso mentre si congedavano per procedere oltre. Così come il campagnolo dinanzi al portone della legge, mi ero lasciato ridurre all' impotenza dalle presupposizione della mia angoscia, ch’era insorta puntualmente nell'affrontare una nuova situazione, che l'ostacolo delle distanze si frapponesse insormontabile tra me e la mia meta, mentre era quanto mai nelle vicinanze e riservato proprio a me, il tempio gupta di Tigawa che nessuno altro straniero, a memoria della gente del luogo, si era mai visto venire a vederlo, e che in virtù della passione che mi aveva indotto a cercarlo si rendeva disponibile unicamente a me , come straniero,, con tutto il tempo davanti per visitarlo. E' tuttora Tigawa il piccolo villaggio rilevato da Cunningham, il cui nome significa soltanto " tre borgate" le altre due essendo i raggruppamenti di casolari di Amgowa e Deori, che sarebbe bene considerare ancora un suburbio di Bahuriband, per non accreditare distanze da esso superiori a quelle reali. Ma una tradizione che Cunningham si limita a riportare senza accreditarla, vorrebbe che vi sorgesse un tempo chissà che grande città, dotata di un suo forte denominato Jhanjhangarh. Cunningham, tra le rovine raccolte ora nel parco archeologico che ai suoi tempi si estendevano per 250 piedi in lunghezza e 120 in larghezza, poté rintracciare i resti di ben 36 tempietti, oltre ai due superstiti. Le loro misure variavano tra i 15, i 6 e i 4 piedi soltanto, di essi i più minuscoli erano costituiti di una cella aperta ad oriente, quelli di dimensioni intermedie, tra i 7 e i 10 piedi, presentavano inoltre una porta d'acceso con 2 pilastri, e soltanto i maggiori potevano avere un portico sostenuto da 4 pilastri. Una sovrastruzione a spirale conclusa da un amalaka era il coronamento comune. Una nota d'attualità polemica che Cunningham stila con raffrenato sdegno, investe un rapacious spoiler recente dei resti del sito, il suo nome, rammemorato dal maggiore a sempiterna infamia, era quello di Walker, ed era egli un contractor delle ferrovie britanniche che fece un unico ammasso di tutte le pietre squadrate che poté reperire nel sito, per riempirne duecento carri ai piedi del rilievo, prima che la rimozione dei reperti fosse interrotta da un'ordinanza del Deputy Commissioner di Jabalpur, che evitò ad essi la fine, per gli stessi motivi, del grande tempio di Bilhari , completamente spogliato, e di un altro tempio che sorgeva in Tewar " To the railway contractor the finest temple is only a heap of ready squared stones; and The temple of Jerusalem, A ready quarry is to him; And it is nothing more". Tra la vastità delle adombrate rovine in cui mi addentravo, da un punto di vista retrostante risaltava immediatamente sulla destra il tempietto Gupta nelle sue proporzioni mirabili, mentre sulla sinistra appariva più a distanza il secondo dei templi superstiti dell'antico complesso, sorto quando Tigawa e Bahuriband erano un grande centro, sulla via che ricollegava Bharhut a Tewar, o Tripura, più a nord. Esso avrebbe preceduto la costruzione di tutti gli altri santuari, sorti quando, decaduti i Gupta, vi si localizzò un potentato locale emergente, ed in seguito durante la lunga dominazione dei Kalachuri. Su una piattaforma proiettata in avanti da due avancorpi, il tempietto, uno dei primissimi templi hindu gupta dell'India del Nord, alla stregua di quelli in Sanchi, Vidisha, o in Eran, anteriore anche a quelli di Nachna e di Bumhra, dispiegava un portico d'accesso con due pilastri centrali e due laterali di fronte alla cella del santuario,- di 12, 75 piedi per ogni lato all'esterno e di 8 all'interno-, tra loro separati da un intervallo maggiore di quello che li distanziava dalle pareti laterali. Li sovrastavano i rettifili delle modanature della trabeazione che variando solo in altezza ricorrevano sporgenti lungo l'intera superficie parietale del tempio. Delle lastre piatte ne erano i tetti, dei quali, enfatizzato da una cornice sporgente, era rialzato quello del santuario, che rispetto al portico d'entrata se ne staccava per quanto ne era più largo.
Modanature rettilinee o curve le profilature quadruplici del basamento del portichetto, e quelle duplici del santuario. Su un supporto prismatico i pilastri evolvevano in profili sempre più poliedrici, di 8, poi di 16 lati, a iniziare da un madhya-bandha di catene di campane ricadenti dalla bocca di kirtimukkas in quelli laterali,fregiato di boccioli floreali in quelli centrali, per terminare in un corso circolare di foglie di loto salienti nei primi, ricadenti ne secondi. Negli uni e negli altri era sormontante una coppa dell'abbondanza, o gatha-pallava, da cui ricadeva il fogliame del rigoglio, prima che la emersione circolare dal vaso di un ulteriore corso di foglie di loto, preludesse al ritorno alla quadrangolarità di una sagomatura cubica. Su di essa era basato in una serie di anuli rosacei il capitello, nel cui abaco, dal profilo curvilineo, entro chaityas o finestre carenate* si alternavano volti umani e leonini. Nel pulvino terminale dei leoncini si opponevano le terga combaciando di facies in facies nel muso , in bella indifferenza alla pianta- una palma, od un mango- che sorgeva tra loro. Un motivo analogo mi era apparso sulla sommità in Eran delle colonne di epoca Gupta che ne fronteggiano l tempio di Vishnu.e quello adiacente. Le pareti interne laterali del portico erano istoriate da dìrilievi ,di epoca più tarda , che raffiguravano Sheshashai Vishnu e Chamunda, la Kankali Devi, da cui il tempio trae il suo nome attuale, risalenti a una trasformazione del portico in mandapa, secondo Cunningham. Un’enorme fiore di loto era schiuso nella pietra del suo soffitto. Sulla sola parete superstite di un portico ulteriore aggiunto all'esterno, era invece raffigurato un essere celestiale dalle orecchie dilungate e con una corona piatta sul capo, che i vidhyadaras adoranti non lasciavano supporre sia un semplice monaco questuante. Nel portale d'accesso al santuario del garbagriha, i pilastri laterali, profilati analogamente ma più rudemente di quelli esterni,- con la sola variante rilevante di un'ardha-padma o semiloto inciso nella prima scansione prismatica, e del raddoppiamento contiguo dell'anularità di petali di loto contrapposti, sottostanti un vaso dell'abbondanza-, fungevano da supporto all'inserto, in una rientranza del muro, dei gruppi statuari di Ganga e Yamuna con inservienti, in flessuosa tribhanga, appigliate ad un albero come salabanjkas, in una collocazione inusuale nella parte alta della incorniciatura della porta, che ne accomuna la disposizione a quella in cui figurano nel tempio Gupta posteriore di Deogarh. Nella trabeazione, tra le rientranze dei profili laterali , in luogo della Trimurti, di divinità planetarie o di esseri celestiali o divinità femminili intermedie, ricorreva una successione di tulas, che rievocano nella dura pietra le testate delle travi che si impiegavano ai tempi dell'edificazione lignea dei templi hindu. Identici tulas erano ravvisabili nella parte superiore del portale d'accesso al secondo tempio, ove sormontava una serie di chaityas in cui facevano bella mostra di se i busti di figurine umane, consimili a quelle dei capitelli dei pilastri del portico.
Il tempio era dedicato alla Devi, -per quanto vi campeggi un'immagine di Vishnu attorniato dalle sue incarnazioni-, Vishnu nella sua incarnazione di Narashima era insediato al centro della cella e vi era coronato di ghirlande, ad attestazione di come il tempio, risalente al IV, V secolo dopo Cristo, sia ancora sede di un culto vivente. Il sole iniziava a volgere al tramonto nel suo fulgore, quando lasciavo Tigawa ed ero di rientro in Bahuriband in nemmeno mezz'ora di cammino a piedi. “It ‘s very near” mi asseverava un insegnante di inglese nella scuola elementare di cui era direttore, Ananda Gupta, come avrei imparato a conoscerlo, nella sua ospitalità generosa, l'indomani quando raccogliendone l’invito sono stato in Bahuriband, per visitarvi nei paraggi, recandomici in moto con lui, Rupnath , un luogo di pellegrinaggio lungo la strada che reca a Sihora ed a Jabalpur. Esso trae il nome dalla denominazione Rupnatheshwar del dio Shiva che vi è adorato - scomparsovi nella fessura di una roccia,, e nel loro esilio da Ayodhya vi avrebbero sostato Rama e Sita e Lakshman .
In un luogo di assoluta quiete vi avrei goduto la vista dei kund, in cui ricade l'acqua a cascata dalla parete rocciosa che vi strapiomba, e che da Ram Laxshman e Sita prendono nome, , alla sinistra di avrei rinvenuto il masso che reca iscritto un presumibile editto di Ashoka. Poi , di rientro nel tardo pomeriggio in Bahuriband, mi ci sarei recato insieme con Ananda al compound jain, il cui interno era sovrastato dall' imponente immagine statuaria del tirthankara cui soggiaceva l'iscrizione famosa . " Di turisti non ho visto che lei da che vivo in Bahuriband" mi diceva Anand al congedo, nell'accompagnarmi all'autobus in cui sarei salito di rientro in Katni.
Ashoka’s Minor Rock
Edict – published in the Edicts of Asoka by V A Smith – Thus said the Beloved
of the Gods. A little more than two years and a half since I have been
avowedly a lay follower of the Buddha. But I was not vigorously exerting
myself in the cause of Dharma for the first one year. However, it is a little
more than a year since I have been devoutly attached to the Sangha and been
exerting myself vigorously. The gods, who were unmingled with the people
inhabiting Jambudvipa during the ages down to the present time, have now been
made mingled with them by me. This is indeed the result of my exertion in the
cause of Dharma. And this result is not to be achieved only by the people of
superior position like myself; but even a poor man is as well able to attain
the great heaven if he is zealous in the cause of Dharma. Now, this
proclamation has been issued for the following purpose, viz., that both poor
and the rich may exert themselves, that even the people residing in the
territories outside the borders of my dominion may realize this, and that
exertion on the part of the people may be of long duration. This cause will
be made by me to progress more of less to one and a half times. And now, my
officers, cause ye this matter to be engraved on stone wherever an opportunity
presents itself. And, wherever there are stone pillars here in my dominions,
this should be caused to be engraved on those stone pillars. And, with the
implication of this proclamation in mind, you should go on tour everywhere
throughout the district in your charge. This proclamation is issued by me
when I am on a tour of pilgrimage and have spent 256 nights away from the
capital. ADDIZIONI POSTUME Per la cronaca della mia visita dei siti , di cui si parla in questa nota, di Sindursi e di Kunda, o Kuda, o Hinauti, in un secondo tempo nel febbraio 2016, rimando al mio scritto di viaggio In Damoh, Nohta, Katni, Rewa, Govindgarh ai capitoli su Sindursi e Kunda e Tigawa Solo qualche settimana dopo il rientro, per il tramite del sito www.puratattva.in avrei appreso di Sindursi, nelle vicinanze di Rupnath, delle immagini scolpite nella roccia di epoca Gupta che vi si possono rinvenire,
cui mi aveva fatto più volto cenno Ananda Gupta, senza che prestassi ascolto alle sue informazioni Si tratta di quattro pannelli, che vengono ricondotti al re Sarvanatha del VI secolo D. C. Uno di essi rappresenta Vishnu con quattro braccia sul serpente Shesha, che vi èp i sette teste, mentre Bhumi gli sorregge un piede ed alle spalle avanzano minacciosi i demoni Madhu o Kaitabha, sempre che non siano le personificazioni degli attributi di Vishnu della spada e della mazza,che recano in armi. Dall' ombelico del dio intanto è già fiorito un loto in cui Brahma è già emerso ad un suo nuovo giorno Nell' ulteriore sua immagine, di cui una simile è rinvenibile in Udaygiri, egli è raffigurato quale Vishnu Sthanaka, con quattro braccia, reca in quelle sottostanti le personificazioni dei Purusha della chakra o ruota e della mazza, o gada, mentre in quelle sovrastanti serra gli attributi della conchiglia , o shanka, e della palla o, laddu. Una sua lunga ghirlanda gli gira intorno al collo scendendo fino ai piedi. Seguono quindi le immagini di Mahishasuramardini, con un piede sulla testa del demone, mentre con una delle sue quattro braccia gli afferra la coda, con un'altra gli configge il tridente nel corpo, con una terza ed una quarta regge una spada ed uno scudo ad ogni evenienza, e di Narashima, in posa maharaja, senza più o senza ancora Hiranyakashipu tra le grinfie, la criniera bellamente fluente da una scriminatura centrale.
Sempre nello stesso sito avrei appreso della presenza nel distretto di Katni dei resti della sola piattaforma del tempio in pietra di Dhitwara , il Jogia Baba ka Sthan, d'epoca Gupta, del IV, V secolo, secondo S N Mishra, d'epoca post gupta secondo le autorità archeologiche dipartimentali del Madhya Pradesh, ma ancor prima, l'accesso in Delhi presso la libreria centrale dell'Archaeological Survey of India al monumentale Temples of Indias di Krishna Deva, avrebbe aperto falle maggiori nella presunta esaustività della circoscrizione del mio viaggio, e quanto alle stesse destinazioni effettivamente raggiunte. Dista non più di 3 miglia a est di Tigawa, in Kunda, un ulteriore tempietto Gupta non poco intrigante, il Shankar matha, una cella cubica senza portico, internamente di soli 5 piedi e 9 pollici per lato, alla conversione 1,7526 metri, ma un primordio in arenaria rossa di primaria importanza nella evoluzione originaria del tempio hindu in onore di shiva Shiva. Risale al quarto secolo e ne esalta l'armonia dei puri profili e rilievi lineari, una cornice di tulas, di teste di trave in pietra, evocatrici del passato ligneo allora non ancora remoto del tempio hindu- Ma subentrava lo sconcerto dello scompiglio, quando la lettura per un raffronto integrativo della schedatura da parte di Krishna Deva del tempio a Shiva di Maraiu, si faceva la vanificazione di ogni presunto ritrovamento, già all indicazione dell'ubicazione del tempio: 4 km a sud di Satna, anzichè nei dintorni di Maihar dove pur in un Marai avevo ritrovato un purana mandir. Dunque, due diverse Marai con due diversi antichi templi, di cui ero stato fuorviato verso quella meno rilevante quand'io credevo di avere portato a termine l'ìmpresa di un autentico rinvenimento, un nulla di fatto , di un viaggio da ripetere da capo e ricompletare. E la esiguita dei reperti superstiti nel tempio da me visitato, pur se in entrambi figuravano perduti il mandapa ed il sikhara, a differenza di quelli che dekl tempio di Marai sciorinava Krishna Deva, mi lasciavano poco spazio per dubitare dell'evidenza raggiunta che si trattava di due templi diversi in due località omonime, e che una nuova spedizione esplorativa mi si imponeva, con destinazione una Marai nel circondario di satna di cui chiedere del purana mandir. Eppure il basamento corrispondeva, quando di rientro a casa tra i miei reperti fotografici, ad un raffronto della descrizione del tempio di Marai di Krisna Deva e dei dati visivi di quello cui ero risalito,dei frontoni di udgamas apparivano incastonati su entrambe le kumba della vedibhanda e singolarmente in entrambi i podi dei basamenti il fregio infrequente in tale ricorso di una antarapatta formata di rombi diamantini precedeva una comune kapotika conclusiva. Maa il rilievo fotografico del lato meridionale dava scarso credito a che anche nel tempio cui ero pervenuto vi fosse un secondo corso di sculture, come nel tempio di Marai su cui si diffondeva Krishna Deva, ma una immagine del lato settentrionale lo poneva in luce, e a ben vedere vi avvalorava ugualmente il riscontro di un coronamento del frontone della proiezione centrale che risaliva fino alla varandika, la comune successione canonica di surasundaris e di dikpalas e ashtavasus superiori nelle proiezioni rispettivamente della pratibhadras intermedie e delle karnas agli angoli, nonchè di vyalas e di sovrastanti coppie mondane nei recessi, per quanto ne rimaneva ad attestarlo, le proiezioni della fascia superiore a guisa di pilastri con capitelli. E nel mio di templi, la varandika lasciava intravedere a tal punto un fregio di rombi diamantini sormontato dalle cornici due kapotas proprio come il mandir che illustrava Krishna Deva. Ma come se non mi bastasse, che l'entrata in entrambi i santuari avvenisse tramite un portale adorno di 5 bande, come in Notha ed in Maihar, circostanziava krishna Deva, cui il criterio della maggiore o minore evoluzione e complessità era tornato utile, a differenza della cronologizzazione dei templi di Khajuraho, per ritenere che il tempio di Marai precedesse quelli di Notha e di Maihar attestandosi a circa il 975-1000 dopo Cristo, era la ricorrenza in entrambi i presunti purana mandir di due diversi Marai di una più unica che rara sakha esterna di vyalas a confortarmi che invece si trattava dello stesso tempio di un'unica Marai, che era esattamente e unicamente lo stesso tempio che avevo ritrovato, e che una svista aveva dislocato nel testo di Krishna Deva a 4 chilometri da Satna, in luogo della sua prossimità a Maihar. Dunque nessun bisogno di alcun supplemento di viaggio emendativo in Satna, mentre la proiezione sul tempio effettivo di Marai delle interpretazioni del suo corredo statuario di Krishna Deva, mi consentiva di individuare in Lakulisha il dio shivaita che vi era al centro della trabeazione.
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La strada era
scorrevole, a lato delle emergenze laviche del trap che costeggiava, e quando
ancora il tramonto era al suo volgere eravamo già a Marai, dove
finalmente di un purana mandir tutti gli interpellati iniziavano
ad attestarne Alla base degli stipiti del
portale solo Ganga figurava superstite tra l’assistente e un naga con il proprio canopo di serpenti, sotto le
sakas delle quattro bande laterali, in
cui due serie di ganas danzanti e
suonanti affiancavano quella centrale
di mithunas, entro nicchie colonnate e coronate da una chaitya* , mentre una rampa verticale dii leogrifi fungeva da bordo esterno Al centro della trabeazione
appariva Shiva, tra Brahma alla sua destra
e Vishnu alla propria sinistra, intervallati dalle nove divinità
planetarie Tre piramidali sikkara
miniaturizzati sormontavano le nicchie, udgamas le rientranze, affiancate da
vidhyadharas e gandharvas. In realtà a fare apparire il
tempio di esigua mole era la caduta delle mura esteriori intorno al santuario, ne restava
solo il basamento del portico d’accesso, sicchè si era tratti ad identificarle con quelle
del solo santuario, intorno al quale correva un deambulatorio interno che
corrispondeva ora al piano di
calpestio lungo il quale ne ripercorrevo le pareti, con alcuni visitatori
giovani locali, sopraggiunti da maihar. Ad un raffronto le modanature dello zoccolo, o
bitha, corrispondevano con quelle residue del portico, ad un primo corso profilato cion petali di
loto ne seguiva un secondo piatto, un terzo affilatoi come una karnika, un
quarto che suggellava la conclusione della prima sezione dell’adishtana
riprendendo con più risalto saliente /plastico il motivo iniziale dei petalin
di loto. Il plinto seguente era contraddistinto da una jadhya kumba, una
karnika con gagarakas, il rientrio di un’antarapatra, il profilo saliente di
una grasa pattina di kirtimukkas., subentrava quindi il podio della
vedibhanda, canonicamente costituito di kura, kumba con rilievo di
ugdama e kalasa, la rientranza di
un’antarapatra traforata e la sporgenza di una kapota con gagaraka e takarikas,
tutto secondo il copine già prefigurato o che venivano codificando per gli
emuli e rivali Kalachuri i templi dei Chandellas nella loro capitale religiosa di Khajuraho.
Era uno spartito di cui la jhaha riprendeva nelle pareti del santuario la successione
delle note statuarie, ridotte a un
solo ordine lineare, in ciò che
sopravviveva della successione di leogrifi o vyalas nei recessi e ninfe
apsaras nelle proiezioni, agli angoli le divinità vediche tutelari o
dikpalas, nelle nicchie le gesta del dio Shiva dedicatario del tempio, di cui
sopravviveva solo a presumibile l impresa contro il demone Andaka.
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