Da
Amrit in Libano
"
E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori".
Mi
sono così messo il cuore in pace per i furti patiti, e ieri ho trascorso una
meravigliosa giornata.
Nella
ancor fresca mattinata mi erano irrintracciabili le rovine di Amrit, fra i
coltivi a cui guardavo dal lungo viale ombroso di piante marittime, in cui ero
stato avviato dagli altri passeggeri del taxi, quando avevo loro chiesto di Amrit
Athaar, di Amrit athaar.
Alle
piantagioni erano poi subentrate delle caserme e degli insediamenti militari, e
canneti e folti coltivi, senza che alcuna traccia di alcun athaar apparisse intorno.
Dove
fossero l'ho chiesto ad un vecchio che in francese, indicandomi il braccio
sinistro, mi ha detto di curvare in tal senso, mi sono allora spinto ben oltre,
inutilmente, e di nuovo ho dovuto chiederne a un uomo che guidava un furgone, sul quale egli non aveva bisogno che di condurmi
un poco più avanti, perché oltre l'accesso ad una fattoria, sulla sinistra, vi
erano più che ravvisabili le rovine terminali di due magnifiche torri
funerarie.
Che
straordinario esempio di sincretismo fenicio, in cui i quattro leoni
mesopotamici che ruggivano, erosi, nella pietra agli angoli della prima torre,
furono fusi con una piramide sommitale di cui la seconda torre recava ancora le
vestigia.
Tra
le torri spuntavano ora verso i cieli dei cannoni siriani, senza che alcun
militare sembrasse popolare le fortificazioni.
Ma
ne sbucano fuori dei nugoli ben vivi e minacciosi, come mi inoltro al Burj al-
Bezzaq, più a Sud, intrecciato nei suoi basamenti del reticolato divelto di
filo spinato.
Via,
via, che ci facevo lì, con mappe o quant'altro, di fronte a quei cannoni coi
loro missili antisraeliani, via, via....
Non
indugio minimamente, nel più
precipitoso arretramento, dietro front, ostentando il più
deferente riconoscimento della loro indiscutibile autorità militare.
Avessi
esitato un solo istante, non mi avrebbero forse intimato di
fermarmi, di rendere conto di chi
fossi e di che facessi lì a ridosso della loro postazione? C'era più che il
rischio che completassero l'opera di quel ladruncolo d'albergo, sequestrandomi
l'apparecchio fotografico usa e getta che era il solo scampato al furto.
Ma per intimorito che fossi, eccomi, scampato il pericolo, che in fondo all' avvallamento al di là dei due monumenti funerari cui mi ero affrettato a essere di ritorno, trattenendo a stento il passo dal farsi fuga di corsa, come vedo che non posso potevo più visualizzare i cannoni, ed esserne inquadrato, è una tentazione cui non resisto, a dispetto del rischio, di appiattirmi e scattare una delle ultime foto possibili del rullino nell' apparecchio.
Ma
per la giornata, ancora in boccio, il conto in sospeso con la mia
stolidità non era certo saldato, e
che più mi tratteneva dal i prendermela con me stesso, quando mi sono reso conto che se avessi guardicchiato meglio la guida del Ross Burns che
mi rigiravo inutilmente tra le mani, ( "Monuments of Syria" An Historical Guide) vi avrei ritrovato nel termine arabo "al-Maabed",
" il tempio", la formula magica con cui chiedere ed ottenere di
ritrovare quanto prima dov'era il tempio agli dei Melqart ed
Echmoun, ed evitare di perdermi a cercarlo e a chiederne in lungo e in largo per
i vivai dell'azienda agricola ch'era tra il suo sito e le torri più a sud, e al
di là del suo ingresso presso la portineria del centro turistico che dava
accesso al mare.
A
mio discapito, come sono stato in grado di riconoscere il naos in lontananza, ho
trovato più di una giustificazione del fatto che non avessi potuto avvistarlo,
quando già l'avevo intravisto dal viale alberato: nella sua pencolarità
grigiastra non si differenziava gran che, visto distante, dalle casematte o
dalle postazioni militari circostanti, oppure dai fabbricati in cui trovassero
riparo gli attrezzi agricoli; ma ad uno sguardo ravvicinato, quale meraviglia scenografica che gli conferiva una
magnificenza sacrale, era il suo stagliarsi tra il verde dei canneti del
lago artificiale contornato intorno da una cinta di pilastri egiziaci
sormontati, come i suoi ripiani di viva roccia, da merli scalari
triangolari.
E
il
vicino stadio, al di là dell' intrico tenace di campi e sodaglia, non mi riservava
soltanto una distesa di tracce residue: era l'attestazione dell' antica
grandezza di Amrit-Marathos, di come fosse possibile che lì i miei passi, il
mio sguardo, si sovrapponessero nel tempo ai passi e allo sguardo di Alessandro
Magno che vi aveva sostato.
Nè
era stata meno importante l'isola di Arwad, in cui mi sono ristorato il
pomeriggio di mare e di pesce.
Ma
che restava più della sua grandezza, se non il mare in cui i crociati avevano definitivamente abbandonato la Terrasanta.
Mi
restava ancora del tempo, prima di avviarmi verso il Libano, per ripercorrere ancora una volta la città
vecchia di Tartus, e trovarla più ancora suggestiva che la volta precedente.
Tra le rovine della cittadella e delle linee difensive circostanti, inserti di case recenti si sopraelevavano dai resti delle fortificazioni convertite in scantinati, in scale d'accesso, le strade penetravano nei varchi di quelle che furono cisterne e stalle e magazzini diroccati dei cavalieri Templari, convertitisi negli ombrosi recessi dei giochi per strada dei ragazzi, e delle officine di fabbri, di meccanici, si erano insediate nelle arcate di altri vani crociati che non erano finiti sbrecciati.
Ho ridisceso le chine delle strade dalla cattedrale di Nostra Signora di Tortosa, e squarci di mare sono apparsi luminosi tra le strade,è apparsa la prua di una nave,alla fonda , che in prossimità della riva puntava a una moschea, poco oltre i tavoli e le sedie sulla sabbia del litorale.
Bastava,
di
lì svoltare l'angolo, e la vista si apriva sulla bellezza dell'
essenziale del piccolo porto: dei bianchi pescherecci tra le massicciate dei due
moli, i bastimenti al largo nella loro mole blu, rugginosa, più oltre l'isola
di Arwad, perduta nel mare, tra il celeste del cielo e il blu delle acque.
Anche
in Libano, dove di sera sono arrivato in taxi, oltre le sue frontiere
presidiate da splendidi miliziani, pur facendosi sempre più rade persistevano le immagini di chi è ancora da
morto il presidente dei siriani, mentre ai pali della luce, in ogni balcone, a
quelle di Hafez Assad subentravano le immagini
dei tanti politici del Libano, in tempo di elezioni, appese intorno come quelle
di tanti banditi o partigiani impiccati in tempo
di guerra.
Era
pressocché oscurata l' intera Tripoli, quando vi sono arrivato all' hotel Koura
e ne sono disceso in strada, nel volgere di poco tempo, per ricercare in qualche ristorante un "tirebuchon", pur di dare corso alla mia
bottiglia di vino siriano ,di cui il cavatappi dell' hotel aveva soltanto perforato
il sughero.
Nei pressi
non
ho rintracciato alcun vero ristorante, mentre vi si susseguivano succedevano
ho interminabilmente fast foood di ogni genere, tra gli
offici di cambio che chiudevano, e pasticcerie di rilevante eccellenza ancora
aperte.
Il
mio "Ebla vin extra" ho dovuto contentarmi di assaporarlo solo da quel
buco del tappo, ma la sua alcolicità mi ha acceso i sensi.
Sotto
il suo effetto mi è stato difficile non sfogarmi nel dormitorio,