Arwad, 1 agosto 2000
E'
un tripudio di colori il porticciolo dell' isola fenicia di Arwad, nella tersa luce marittima pomeridiana:
I
motopescherecci squillano di bianco striati di giallo, di blu,
variegati dei riflessi dell' acqua sugli scafi al largo, mentre nella celestialità che vi si fa il fondo del mare , prima di Tartus e della sua costa,
si profila più intenso il blu dei bastimenti, immoto come la loro sagoma alla
fonda.
Altri bastimenti sfumano al largo dell' estremità della costa, oltre i ruderi litoranei di fortificazioni fenicie, oltre gli estremi strascichi , ai muri delle ultime case, del lutto del popolo siriano per la morte del suo Presidente, prima dei dibattuti scogli, del mare Mediterraneo definitivamente aperto.
Anche
nel porto sventolano sui motopescherecci le bandiere nere, nere come i copertoni
di salvataggio che ne cerchiano i fianchi striati di giallo.
Sguazzano
e nuotano nell' acqua, o vi si tengono a galla, alcuni dei tantissimi bambini
che sovrappopolano l'isola, così come vi si sovraddensano case su case, sicché in Siria forse è ad Arwad, più che altrove , che è dato di vedere che i piccoli sono la maggioranza
della popolazione.
Sazio, alfine, del pesce, in salsa succulenta, che ho mangiato nel ristorante sul porto da cui non vorrei mai rialzarmi, senza più il conforto neanche dell' amicizia di Francisco, eppure mi commuove sino alle lacrime di lasciare nuovamente felice la Siria, nonostante tutto ciò di cui vi sono stato derubato e deprivato.