Bsharre
Prima
redazione
Venerdì
4 agosto, ( redatto in Saida)
Come
il taxi si è addentrato nella valle santa del fiume Kadisha, il sentimento
della bellezza del sito è stato (in me) sopraffatto dal senso di ripulsa dell'
attentato che era stato perpetrato a suo danno, dallo sviluppo circostante dei
villaggi abbarbicati ai suoi pendii: talmente tante ne erano le recenti tegole
rosse delle case e delle chiese cristiano-maronite, trionfanti, che
strapiombavano impunemente e seguitavano ad espandersi ovunque loro fosse
possibile, incuranti di trasformare l' orrido delle gola scavata
vertiginosamente dal fiume tra i pendii dei rilievi, verdeggianti intorno di
boschi e coltivi sino alle praterie sommitali di quei monti appenninici, nel
precipizio di una potenziale discarica che trasportasse pure a valle, nella
Tripoli islamica, i loro sacrosanti rifiuti maroniti.
Né
tale senso di ripulsa si è lenito in Bsharre, mentre nella frizzante frescura
della sua linda benestanza, discendevo dall' una all' altra delle piazze principali, sovrastate dalle sue chiese energumeni che faticavano
a contenerne la volontà di supremazia concelebrata.
In
una via del centro, poco distante da un negozio di biancheria ove anche la t di
"intime" assurgeva a croce, un cinema proiettava un
film, " Terapia e pallottole", in cui Robert De Niro
interpretava la parte della figura in crisi di un " goodfather".
Che
la proiezione rientrasse nella presa di coscienza od in qualche acquisizione
consapevole, di quanto di efferato, potevano aver commesso i Geagea ed i Gemayel
locali , i tanti loro scherani in disarmo?
Uhm,
c' era di che dubitare di un senso critico diffuso, stando a quanto, come mi
attentavo a parlarne, recepivo in risposta da un giovane e da un
uomo che avevo lasciato che venissero a me, quando mi sono accomodato sulla panchina presso la fontana della piazza, da
cui avevo attinto per la mia borraccia acqua fresca.
Estraevo
allora dal mio zaino la copia in traduzione italiana del libro di Dalrymple
" Dalla montagna sacra", e mostravo loro le pagine ove il traveller
writer parlava di Bsharre, asserendovi che
più che santi uomini quella valle santa aveva prodotto criminali
mafiosi, di cui vi raccontava le imprese efferate in una sintesi avvincente.
Il
ragazzo al quale indicavo la data sul libro della permanenza in Bsharre di
Dalrymple, scorreva i nomi che vi erano scritti dei Franjieh, dei Gemayel, senza
alcuna emozione od alcun disagio particolare, mentre l' uomo si limitava ad
indicarmi dove, in lontananza, Ehden fosse stato il covo o la cittadella dei
Franzjieh.
Alludevo
e tentavo di inoltrarmi nel fatto che nel libro, che avevano sottomano, non si
dicesse un gran bene di queste famiglie, ma ogni
proficuità di insistere oltre era vanificata dalla naturalezza stessa
con la quale ne parlavano, dal fatto che per l'uomo era il "doctor" Geagea cui mi stavo riferendo, quando alludevo al
presunto stragista di palestinesi e dei propri rivali politici cristiani.
Meglio sottrarsi al sentore di mafia di quella Corleone irredenta, uscirne al largo verso le memorie di Gibran Kalil Gibran, nel museo arroccato fuori di Bsharre.
Nelle sue splenetiche visioni tardo-simboliste, o postraffaellite, quale e quanto slancio ascensionale dei corpi, nell' intento di fondersi l'uno con l'altro in una realtà trascendente, ch' era sconfortata a non essere che un anelito di slancio, sentimentale, dalle tonalità fredde di una malinconia senza alcuna ironia, finanche devozionale, di un' esteriorità illustrativa, nella rappresentazione della carnalità redentrice dell' eterno femminino sororale e materno...
Ma
che inquietante profondità empatica, Gibran aveva raggiunto ,
.
.........................
Non
ero ancora rientrato in Bsharre, che coglievo l'occasione di un micro che si arrestava al suo ingresso, per essere a Tripoli quando non erano
ancora le quattro del pomeriggio.
Perché
non farvi ritorno alla moschea di Tynal, che restava poco distante da dove il
minibus aveva finito la corsa.
Nella
moschea era l'ora della preghiera, ne ho atteso il termine prima di accedere ai
suoi interni, presso il muro di cinta del cortile antistante.
Un
uomo di me più attempato con il quale mi sono messo a parlare in francese, mi
ha mostrato i tre catafalchi coperti di un drappo verde, che stavano appoggiati
presso l' ingresso della sala di preghiera.
"Sono
tre "madames", mi ha detto, lo si poteva desumere dal fazzoletto
bianco, in luogo dio un fez, che il catafalco recava sulla sommità.
I
cristiani non ne avrebbero celebrato i funerali tutte e tre in una volta, gli ho
fatto presente, le esequie si sarebbero svolte una di seguito all' altra, con
maggiori cerimoniali.
"
Sono autentici luoghi monumentali i nostri cimiteri".
Lo
sapeva, lo sapeva bene.
Dimenticavo
che benché in Tripoli siano solo in cinque per cento, secondo le percentuali
ufficiali, i cristiani vi sono insediati anche nei culti anglicano ed
evangelico.
"
Per voi islamici, a quanto conosco, dopo la morte il corpo non è più niente,
deve ritornare al più presto alla terra.
I
vostri riti funebri in questo sono più simili a quelli degli ebrei.".
Certo,
che era così, lui ha annuito.
Gli
uomini stavano intanto uscendo dalla moschea.
Avevano
concluso la preghiera, ma nel cortile si sono raccolti di nuovo, allineandosi di
fronte ai feretri in file a scalare.
La
loro preghiera funeraria è stata breve, più di silenzi commemorativi che di
parole, come l' ho raccolte dall' uomo che mi era accanto, nella formulazione
che vi ricorreva :
"
Rakmat Allah ali" " Spero che Dio
gli dia misericordia".
Le
file degli uomini quindi si sono sciolte, alcuni hanno reso le onoranze ai parenti delle defunte, prima che i catafalchi
fossero avviati verso i diversi siti di sepoltura, due in verso e l'uno in un
altro.
Di
ritorno a Sahet et- tall dove riconducono tutte le vie di Tripoli, c'era ancora
il tempo, nel pomeriggio inoltrato, con l'autobus diretto a Beirut per recarmi
anzi sera a Batroun, al castello nelle sue vicinanze di Moussalayha, solo poco
più di una decina di chilometri distanti.
La
guida parla di antiche chiese, nell' antico centro di Batroun, ed io dall'
autobus scendo fino al porto a visitarle.
Le
scambio inizialmente l'una per l'altra, quando mi addentro in una chiesa enorme
e credo che per questo sia quella ortodossa di San Giorgio, della quale la guida
parla di più.
Ma
vi cerco invano le immagini votive cui fa riferimento, le colombe scolpite in
legno di un dossale, deve trattarsi invece di una chiesa maronita o latina, dati i pannelli lungo le pareti della Via crucis.
E'
infatti, poco distante, invece quella più piccola che mi indica una suora, la
meravigliosa chiesa ortodossa di San Giorgio, di cui due bambine mi aprono la
porta.
Già
come m'incanta la facciata, entro il cortile d'ingresso, con i suoi sporti che si fanno una scalinatella che sale verso la una torricella
campanaria, imbiancata di fresco, e che finezza d'intagli dei marmi che bordano il portale, che
incastonano e diramano la raggiera del rosoncino sovrastante l'accesso.
Al
suo interno vedo un'iconostasi ed una multilobata crocifissione dipinta,
ornamentate di immagini toccanti di naiveté devota.
Ed
eccole le lignee colombe, protese verso i fedeli dalla (in)corniciatura dell'
iconostasi, nell' intimità della navata di una spoglia nudità muraria.
Intanto
si sta facendo oramai tardi, nelle grazie della piccola chiesa, per il
castello di Moussalahya, ne chiedo
la via più breve che possa escludere la grande strada Beirut- Tripoli, a due
signori che scendono dall' auto nella piazzetta.
"
E' tardi, è pericoloso, mi ripetono unanimi, perché andarci da solo, ...mi
scoraggiano.
Mi
ci vuole del tempo per capire che sono due anziani uomini conviventi, per i
quali è pauroso e pericoloso tutto ciò che è esterno alla loro intimità
raggiunta.
Mi
sembra invece un uomo "coltivato", in cui posso fare affidamento, il
signore nel pieno della sua maturità senile, al
quale chiedo ragguagli sulla soglia di un negozio della
via principale di Batroun.
Ah,
certo, posso andare anche per la grande route, purché faccia attenzione al
traffico che vi corre pericolosamente.
Il
mio aspetto è tuttavia così sfatto dalla stanchezza, la mia bocca talmente si
screpola o s'impastoia, se parlo, che l'uomo ne è mosso a venire incontro alla
spossatezza del professore che gli dico di essere.
"
Je vous y conduirai", mi dice sbrigativo, e mi fa cenno di salire sull'
auto parcheggiata di fronte, una magnifica Mercedes coi i vetri schermati.
Lo
ringrazio nei più sentiti e riconoscenti dei modi, rendendo più affabili i
nostri discorsi.
"
Je suis un juge d' haute court," soggiunge in auto.
Cado
in un "aaah", di prosternata ammirazione del suo alto grado raggiunto.
"
Ma soeur va venir en Italie le mois suivant..."
Et
parce que vous êtes venu en Liban?
Qu'
est ce que vous avez vu jusqu à maintenant, de beau en mon pays?"
Gli
dico della bellezza estasiante della moschea di Tynal, in Tripoli, egli
recepisce e non fa una piega a commento.
Gli
parlo quindi delle due chiese di Batroun, di quanto abbia
trovato bella quella che mi è piaciuta così tanto.
Ne
è compiaciuto di una soddisfazione orgogliosa.
"
Moi même je la trouve une des églises les plus belles de tout le Liban ( Anch'io la trovo una
delle più belle dell' intero Libano,) encore plus belle, ancora più bella,
peut être, della stessa cattedrale principale di Beirut."
"
Elle a,- e cerco le parole in francese, " des motifs ainsì délicats dans
sa petitesse enchantable..."
"
Haah, mais alors vous parlez de l' Eglise ortodoxe, - con malcelato rammarico,
ma con spirito superiore, incassando l' equivoco ch'io mi riferissi alla
magniloquenza dell' edificio chiesastico maronita, che già la guida e poc'anzi il mio
gusto concorde, avevano ridimensionato nella "
Il
suo " Oui" squisito alla domanda che mi s'impone, s'egli sia dunque
maronita, mi chiarisce e mette le
cose definitivamente a posto.
Ma
si trattava pur sempre di confratelli cristiani di cui avevo esaltato la Chiesa.
"
Ici à Batroun il y a le quatre vent pour cent de chrétiens maronites, et le
cinque pour cent de grecs ortodoxes", può essere ugualmente soddisfatto
di proclamare tali dati percentuali, quale esito religioso della popolazione locale.
"
Il n'y a que cinq, six familles d' islamiques...".
Nello
scendere dalla sua vettura all' altezza del castello, è pur tuttavia tale la
gratitudine che devo alla sua umanità ospitale nei miei riguardi, che il suo
" soyez le bienvenu en Liban", lo contraccambio con un " e sia la
benvenuta in Italia anche vostra sorella".
Il
castello che mi è ora di fronte è un tale incanto sotto la luna che sorge, con
il ponticello che immette alla rocca di pietra su cui si sopraeleva, nella
sfaccettatura delle sue mura che ne assecondano i dirupi, lungo le scale nella
pietra che vi risalgo, che anche la paura delle insidie che può celarmi chi vi
sia in agguato, accresce il sortilegio del suo incanto fatato, sin che mi
diventa inaccessibile e risalgo verso le vetture che passano lungo la grande
route, e un micrò mi riconduce a Tripoli e ad un' altra shavarma.