Nel Museo delle belle arti dell’Uzbekistan , in Tashkent , era limitato a tre sale lo spazio che la sezione archeologica sottraeva alla grande collezione di opere pittoriche, in cui Usto Momin, Tansiqboev, primeggiavano con Benkov,

 

   

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P. Benkov, Un dono per un combattente al fronte, 1945

 

P. Benkov, una strada nell' Est , 1929

 

con la Kovalevskaja,

2koval.jpg (192493 byte)Z. Kovalevskaja

 Una  famiglia uzbeka, 1947

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Z. Kovalevskaja ,

 In Urgut ,1956

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Z.  Kovalevskaja Natura morta  di "ragazze in fiore" ,1961

  Akhmedov, 

akmedov.jpg (118207 byte) Akhmedov,

 Ritratto di vecchio  contadino di una fattoria collettiva , 1956

e Timurov, 

1timurov.jpg (181370 byte) R. Timurov esondazione dello Zeravshan, 1960
2timurov.jpg (89333 byte) R. Timurov, Samarcanda 1956

una supremazia cui si era congiunta quella di Jokolov, tra i pittori di una generazione più recente.

In quei tre vani  figuravano pur tuttavia reperti di eccellenza assoluta, innanzi ogni altro il  grande lacerto murario  degli affreschi della sala rossa di Varaksha., coevi a quelli di Afrasiab:

 

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Dalla camera rossa di Varaksha

 

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all' immagine ingrandita

 

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  in esso le forze del male,  rappresentate da delle tigri, nella loro bicromia più plasticamente terrena vi affrontano ed assalgono, essendone respinte, le imperturbate forze della predominanza ascetica del bene,  impersonate a loro volta da un  corteo di elefanti e dal principe e dal condottiero che ogni animale trasporta, in  raffigurazioni che appaiono più prossime alla bidimensionalità nella loro estensione chiara appena variegata di rosa. E' tale immaterialità  spirituale che  conferisce un risalto  di  beni preziosi  alla bardatura sontuosa degli elefanti e agli ornamenti delle vesti dei principi, che il disegno  ha profilato rafferme nei loro svolazzi.

Secondo una visione zoroastriana il male vi si affrontava con il bene, nell' assalto della tigre al principe-condottiero in groppa all' elefante, in un conflitto tra la bicromia plastica radicata nelle dimensioni sensibili delle forze maligne che incarnava la tigre, e la trascendenza del bene espressa dalla bidimensionalità monocromatica del principe e dell' elefante, quali manifestazioni terrene delle virtù celesti dell' apatia e della pazienza autolimitantesi, impreziosite dalla rafigurazione calligrafica delle vesti e delle calzature delprincipe, della bardatura sontuosa dell' elefante.

Tali affreschi costituivano presumibilmente una  versione  della civiltà di Varaksha  ispirata  ancora più a Oriente, nel VII secolo d.C., alla luce di una  declinazione buddistica dello zoroastrismo 8olduzbek.jpg (75848 byte) .

L' affresco, proveniente da Varaksha, si trova a Bukara e rappresenta degli adoratori del fuoco

Tale civiltà seguitò ad esprimersi invece in forme  ancora compiutamente ellenisticizzanti nella scultura, : in fogliami, grappoli d'uva e pesci, formalmente similari ai fogliami e grappoli d'uva, e pesci, in cui si simbolizzava la cultura cristiana nell'Occidente coevo, in ragione del background della comune matrice ellenistica.

Nelle sale adiacenti potevo confrontare, in contrasto, le forme più remote nel tempo-(  risalivano al I secolo d.C.) dei volti colorati in argilla della civiltà di Surkandarya , ma  che anche per  questo erano più prossime a tale loro ascendente ellenistico , che  particolarmente presso gli indo-greci  distaccati di  Battriana aveva radicato il suo tramando nel cuore dell' Asia, secondo il mistero fabulato e svelato dal ritrovamento delle vestigia di Ain Khanoum.

Tali sembianti erano quanto mai  espressivamente ellenistici, nel loro realismo,surkan.jpg (107680 byte) la  ruvidità materica conferita alle loro epidermidi non risparmiò ad essi l’affronto di essere marcati come nella realtà i visi sono solcati  dal tempo, nelle tante rughe che ne incavavano l'incarnato butterato.

Visionando le sculture buddistiche provenienti invece da Kuva, nella valle di Fergana,  si ritornava nel tempo  a sei secoli dopo,  alla stessa epoca in cui lungo la Via della seta  si era invece attestata la fede zoroastriana, - come testimonierebbero gli affreschi di Afrasiab e di Varaksha:  in tali antropomorfizzazioni  del divino  sia il volto del Buddha sia quello terrificante del Dio del male  avevano assunto una levigatura più distesa, nella loro epidermide senza più corrugamenti materici, ma la loro plasticità tradiva pur sempre ascendenze indo-ellenistiche, di cui fu pronuba forse l'intermediazione della civiltà khusana, benché tali  attenuate e traslate nell’appiattimento frontale del capo reclino, che consentiva di offrire alla vista del devoto un terzo occhio centrale del Buddha, nel demone un teschio atterrente,

Il Buddha, ciononostante, budda.jpg (69872 byte) nei mustacchi e nel volto ridente che ne mostrava i denti, esibiva i segni caratteristici di un idolo  cinese, attestandosi come il campione formale di una consustanziazione di civiltà; tali suoi aspetti, , infatti, non erano soltanto dei tratti esteriori, come i lineamenti mongoli dei volti che figuravano nel repertorio delle testimonianze della civiltà antecedente della Surkandarya, tra le silhouettes d’Eracle e d’Atena,  le sculture coeve di una regina e di un principe che recava  l'armatura in mano. 

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Ma reperti più ancora emozionanti, più ancora prossimi e più ancora trasfiguranti la loro origine ellenistica in terra d'Asia centrale, me li avrebbe riservati il Museo di Storia del Popolo Uzbeko: vi campeggiavano infatti i resti di un mitreo del I-III secolo dopo Cristo, ritornato alla luce in Surkandarya, a Fayaztepe, frammenti.jpg (61975 byte) tra i quali risaltava un’immagine scultorea della divinità del Sole, i cui mustacchi si fondevano con il flusso ondulato della barba, analogamente al fogliame agitato dal vento. La sua edificazione aveva preceduto di  non molto il sopraggiungere ed il sovrapporsi nel territorio del buddismo e la sua ellenisticizzazione, di cui era testimonianza somma la stupa risalente al I-III secolo d.c.,- ne era documentato fotograficamente il disinterramento, con il disvelamento ancora in parte dei reperti straordinari che erano al suo interno e ora lì presenti.

Uno di essi era il Boddishatva che mi fronteggiava in una teca:

 5olduzbek.jpg (74142 byte)   la sua quiete interna sovrastava imperturbabile anche ll’animazione agitata delle vesti svasate dal vento- laddove la preziosità dell'ornamentazione di ghirlande floreali rimodulava quella del relitto di un busto rinvenuto nel mitreocollare.jpg (63157 byte).

Ma ancor più splendido era l'ulteriore reperto rinvenuto nella stupa, 4olduzbek.jpg (70709 byte) la statua di Buddha con due monaci. all'immagine ingrandita1budda.JPG (60805 byte)

La plasticità ellenistica vi appariva fluidamente semplificata in un'essenziale linearità ritmica, le superficie epidermiche erano state irradiate nel compimento perfetto di una distensione estrema, riducendo al minimo i contrasti chiaroscurali. Era così sublimemente espressa la tranquillità assoluta della calma raggiunta dal Buddha nella sua concentrazione interiore.

Al tempio buddista di Fayaztepe risaliva anche il magnifico affresco di Buddha con offerenti che attorniava la statua: una dolce linea tenue profilava i colori morbidamente diffusi,fresco.jpg (56014 byte) in campiture chiaroscurali così lievemente diffuse da alleviare ogni drammaticità espressiva.  

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Più ancora stupefacente era il fregio scultoreo sovrastante, proveniente dal sito in Surkandarya di Airtam

Vi figuravano musici con i loro differenti strumenti e ghirlande, che in altra sede non avresti menomamente dubitato che fossero le protomi delle docce di qualche cattedrale altomedioevale europea, quando invece erano l'ornato superiore di un convento buddista sorto tra il I °ed il III secolo d.C, in epoca KUshana,

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a ulteriore conferma che una stessa matrice, l'arte ellenistica, fu la generatrice dell’arte greco-romana in Occidente e di quella della provincia di Battriana nel remoto Oriente, non che delle sue filiazioni nel Gandhara e presso i Kushana,- delle forme espressive della diffusione sia del cristianesimo tra la genti pagane, sia del buddismo tra quelle dell’Asia centrale.

Le sculture provenienti da Afrasiab o da Varaska inducevano a denunciare piuttosto, alle loro corti ed officine zoroastriane, un impoverimento della medesima radice "greca"  in stilemi lineari più grevi, un suo rivitalizzarsi animalistico solo quando gli artefici si ritrovarono alle prese  con pesci e dragoni e scene di caccia.

Dalla valle di Fergana, sempre da Khuva,  come presso il Museo di Belle Arti dell'Uzbekistan, provenivano le ulteriori  immagini  di una Dea del male e di un Dio Manchu, finalizzate a suscitare plasticamente tutto il terrore che dovevano incutere 7olduzbek.jpg (65568 byte).

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Il che era per me  una riprova ulteriore che la valle di Fergana fu l'estremo avamposto e ritiro, a Nord-Est, in cui ora più drammaticamente contratto, ora più serenamente disteso, si preservò l'acme finale dell’arte ellenistica nel cuore perduto dell’Asia. 

 

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