Nel Museo delle belle arti dell’Uzbekistan , in Tashkent , era limitato a tre sale lo spazio che la sezione archeologica sottraeva alla grande collezione di opere pittoriche, in cui Usto Momin, Tansiqboev, primeggiavano con Benkov,
P. Benkov, Un dono per un combattente al fronte, 1945 |
P. Benkov, una strada nell' Est , 1929
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con la Kovalevskaja,
Z.
Kovalevskaja
Una famiglia uzbeka, 1947 |
Z. Kovalevskaja , In Urgut ,1956 |
Z. Kovalevskaja Natura morta di "ragazze in fiore" ,1961 |
Akhmedov,
Akhmedov,
Ritratto di vecchio contadino di una fattoria collettiva , 1956 |
e Timurov,
R. Timurov esondazione dello Zeravshan, 1960 | |
R. Timurov, Samarcanda 1956 |
una supremazia cui si era congiunta quella di Jokolov, tra i pittori di una generazione più recente.
In quei tre vani figuravano pur tuttavia reperti di eccellenza assoluta, innanzi ogni altro il grande lacerto murario degli affreschi della sala rossa di Varaksha., coevi a quelli di Afrasiab:
Dalla camera rossa di Varaksha
all' immagine ingrandita
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in esso le forze del male, rappresentate da delle tigri, nella loro bicromia più plasticamente
terrena vi affrontano ed assalgono, essendone respinte, le imperturbate forze
della predominanza ascetica del bene, impersonate a loro volta da un
corteo di elefanti e dal principe e dal
condottiero che ogni animale trasporta, in raffigurazioni
Tali
affreschi costituivano presumibilmente una versione della civiltà
di Varaksha ispirata ancora più a Oriente, nel VII secolo d.C.,
alla luce di una declinazione buddistica dello
zoroastrismo .
L' affresco, proveniente da Varaksha, si trova a Bukara e rappresenta degli adoratori del fuoco |
Tale
civiltà seguitò ad esprimersi invece in forme ancora compiutamente ellenisticizzanti
nella scultura, : in fogliami, grappoli d'uva e
pesci, formalmente similari ai fogliami e grappoli d'uva, e pesci, in cui si simbolizzava la cultura
cristiana nell'Occidente coevo, in ragione del background della comune matrice
ellenistica.
Nelle sale adiacenti potevo confrontare, in contrasto, le forme più remote nel tempo-( risalivano al I secolo d.C.) dei volti colorati in argilla della civiltà di Surkandarya , ma che anche per questo erano più prossime a tale loro ascendente ellenistico , che particolarmente presso gli indo-greci distaccati di Battriana aveva radicato il suo tramando nel cuore dell' Asia, secondo il mistero fabulato e svelato dal ritrovamento delle vestigia di Ain Khanoum.
Tali sembianti
erano quanto mai espressivamente ellenistici, nel loro realismo, la
ruvidità materica conferita alle loro epidermidi non risparmiò ad essi
l’affronto di essere marcati come nella realtà i visi sono solcati dal tempo, nelle tante rughe che
ne
incavavano l'incarnato butterato.
Visionando
le sculture buddistiche provenienti invece da Kuva, nella valle di Fergana,
si ritornava nel tempo a sei secoli dopo, alla stessa epoca in cui
lungo la Via della seta si era invece attestata la fede zoroastriana, -
come testimonierebbero gli affreschi di Afrasiab e di Varaksha: in tali
antropomorfizzazioni del divino sia il volto del
Buddha sia quello terrificante del Dio del male avevano
assunto una levigatura più distesa, nella loro epidermide senza più corrugamenti
materici, ma la loro plasticità tradiva pur sempre ascendenze indo-ellenistiche,
di cui fu pronuba forse l'intermediazione della civiltà khusana, benché
Il Buddha, ciononostante, nei mustacchi e nel volto ridente che ne mostrava i denti, esibiva i segni caratteristici di un idolo cinese, attestandosi come il campione formale di una consustanziazione di civiltà; tali suoi aspetti, , infatti, non erano soltanto dei tratti esteriori, come i lineamenti mongoli dei volti che figuravano nel repertorio delle testimonianze della civiltà antecedente della Surkandarya, tra le silhouettes d’Eracle e d’Atena, le sculture coeve di una regina e di un principe che recava l'armatura in mano.
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Ma
reperti
più ancora emozionanti, più ancora prossimi e più ancora trasfiguranti la
loro origine ellenistica in terra d'Asia centrale, me li avrebbe riservati il
Museo di Storia del Popolo Uzbeko: vi campeggiavano infatti i resti di un mitreo del I-III
secolo dopo Cristo, ritornato alla luce in Surkandarya, a Fayaztepe, tra i quali
risaltava un’immagine scultorea della divinità del Sole, i cui mustacchi si
fondevano con il flusso ondulato della barba, analogamente al fogliame agitato dal
vento. La sua edificazione aveva preceduto di non molto il sopraggiungere ed il sovrapporsi
del buddismo e
la sua ellenisticizzazione, di cui era testimonianza somma la stupa risalente al I-III secolo
d.c.,- ne era documentato fotograficamente il disinterramento, con il
disvelamento ancora in parte dei reperti straordinari che erano al suo interno e
ora lì presenti.
Uno di essi era il Boddishatva che mi fronteggiava in una teca:
la sua quiete
interna sovrastava imperturbabile anche ll’animazione agitata delle vesti
svasate dal vento- laddove la preziosità dell'ornamentazione di ghirlande
floreali rimodulava quella del relitto di un busto rinvenuto nel mitreo.
Ma
ancor più splendido era l'ulteriore reperto rinvenuto nella stupa, la statua di
Buddha con due monaci.
La
plasticità ellenistica vi appariva fluidamente semplificata in un'essenziale
linearità ritmica, le superficie epidermiche erano state irradiate nel
compimento perfetto di una distensione estrema, riducendo al minimo i contrasti
chiaroscurali. Era così sublimemente espressa la tranquillità assoluta
Al
tempio buddista di Fayaztepe risaliva anche il magnifico affresco di Buddha con
offerenti che attorniava la statua: una dolce linea tenue profilava i colori
morbidamente diffusi, in campiture chiaroscurali così lievemente diffuse da
alleviare ogni drammaticità espressiva.
Più ancora stupefacente era il fregio scultoreo sovrastante, proveniente dal sito in Surkandarya di Airtam
Vi figuravano musici con i loro differenti strumenti e ghirlande, che in altra sede non avresti menomamente dubitato che fossero le protomi delle docce di qualche cattedrale altomedioevale europea, quando invece erano l'ornato superiore di un convento buddista sorto tra il I °ed il III secolo d.C, in epoca KUshana,
a
ulteriore conferma che una stessa matrice, l'arte ellenistica, fu la
generatrice dell’arte greco-romana in Occidente e di quella della provincia di
Battriana nel remoto Oriente, non che delle sue filiazioni nel Gandhara e presso
i Kushana,- delle forme espressive
della diffusione sia del cristianesimo tra la genti pagane, sia del buddismo tra
quelle
dell’Asia centrale.
Le
sculture provenienti da Afrasiab o da Varaska inducevano a denunciare
piuttosto, alle loro corti ed officine zoroastriane, un
impoverimento della
medesima radice "greca" in stilemi lineari più grevi, un suo rivitalizzarsi
animalistico solo quando gli artefici si ritrovarono alle prese con pesci e
dragoni e scene di caccia.
Dalla
valle di Fergana, sempre da Khuva, come presso il Museo di Belle Arti
dell'Uzbekistan, provenivano le ulteriori immagini di una Dea del male e
di un Dio Manchu, finalizzate a suscitare plasticamente tutto il terrore che dovevano
incutere .
Il
che era per me una riprova ulteriore che la valle di Fergana fu l'estremo avamposto e ritiro, a Nord-Est, in cui
ora più drammaticamente contratto, ora più serenamente disteso, si
preservò l'acme finale dell’arte ellenistica nel cuore perduto dell’Asia.
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