Gerusalemme,
5 agosto E'
davvero mirabile il Nobile Recinto Sacro, nella sua fioritura calcarea di Ciononostante,
nonostante altresì la grevità degli abachi sovrapposti ai capitelli
nell'ottagono (ordine ottagonale), o del raccordo in ferro delle colonne
del più interno deambulatorio circolare, pur attraverso i rifacimenti
postumi vi ho ritrovato mirabile la guisa in cui le forme bizantine,
desunte dalla Chiesa dell' Ascensione di Gesù Cristo per commemorare
quella al cielo di Maometto, vi siano state islamicamente spiritualizzate,
nei modi in cui la poligonalità ancora terrenamente spigolosa del
deambulatorio ottogonale, rimarcata dagli sporti della sua trabeazione- la
cui continuità interponendosi tra i capitelli e le sovrastanti masse già
ne allenta ogni tensione plastica-, è traslata nella circolarità
sublimante del volgere del deambulatorio più interno, sino alla
smaterializzazione estrema del
turbine dell'empito mistico, nel vortice dell'oro ( nell'oro vorticante)
della cupola. Ero
(Dovevo quindi) quindi obbligato a uscire dal Sacro Recinto per farvi
ritorno alquanto Nel
vicino Museo islamico quindi le fotografie, più che i resti, mi hanno
rievocato lo splendore del minbar che devolse alla moschea Solimano il
Magnifico, e che un fanatico cristiano distrusse nel 1969. Mi
sono affrettato infine a uscire, sperando, dopo essere ripassato per
l'accesso dall'alto al Muro delle Lamentazioni, di essere ancora in tempo
per entrare a vedere la chiesa di San Giorgio degli Armeni, prima di
concludere tale visitazione caleidoscopica dei riti e delle fedi
molteplici di Gerusalemme, con l'accesso sul tardi al Cenacolo e al Santo
Sepolcro. Così
sperando, in un' accelerazione immaginativa delle visioni di fede
religiose, di stornare da me l'acedia e l'angoscia che benchè
sottilizzatesi, eppure permanevano incombenti. Ma
per quanto ne ritrovassi l'accesso ancora aperto, il custode della Chiesa
di san Giorgio mi imbastiva strane ragioni seminariali, per negarmi la
facoltà di accedere oltre la corte interna delle tombe dei patriarchi,
dalla cui ala sinistra avevo pur modo di vedere sortire donde era il
raduno seminariale, due più allettanti giovani turiste in mini-short. Non
importava, mi attenevo (limitavo) comunque (ad obbedire) alle limitazioni
impostemi limitandomi a notare in quella corte il motivo tipica dell'arte
armena, il khat chkar, la croce di pietra nelle guise di albero della
vita, e i nakus, i gong in legno e bronzo che annunciavano le funzioni,
dato che dal IX secolo i mussulmani avevano impedito a tutti i cristiani
di Gerusalemme l'uso delle campane, tra
me concludendo che quella stessa corte, il cui muro di cinta nascondeva il
frontale della chiesa, presumibilmente corrispondeva all'architettura di
difesa determinata dai progrom, ch'era stata assunta nel tempo dall'intero
quartiere armeno, allo stesso modo in cui le porte delle abitazioni non
danno sulla strada, ma su una corte interna cui si accede da porticine
seminascoste. Quindi
ritornavo sui miei passi fino
alla porta di Sion, pur di vedere (il) e credere nell'autentico Cenacolo,
dell'ultima Cena di Gesù, del XIV secolo dopo Cristo e in stile gotico;
prima ancora di accedervi indugiando al piano sottostante, con dei fedeli
islamico-ebraici, presso il cenotafio crociato che è tuttavia (la vera)
lecito credere sia la tomba di Davide; e seguitavo verso la Camera
dell'Olocausto, tra lapidi reali, e sostitutive, verso le immagini esse
indissacrabili di atrocità strazianti: di mucchi di cadaveri affossati od
accatastati, di altri ebrei impiccati in serie o appesi con le braccia
riverse nei gemiti della tortura, di donne svestite presso il carnaio di
morti nel quale (in cui) erano in attesa di lì a poco di finire
anch'esse, Uscendone,
trovavo già chiuso anche il Cenacolo, come già San Giovanni degli Armeni,
e non avevo modo che di sbirciarlo da una finestrella, così come
all'inizio della via Dolorosa,
dove mi spostavo, trovavo già chiuso anche il Lisotroto, il luogo
presunto o forse reale della Flagellazione di Cristo. Quindi
non mi rimaneva che di ripercorrere nelle sue varie stazioni la via
Dolorosa, che si fa più erta in ascesa al punto esatto ove sarebbe stato
il Cireneo a doversi assumere la Croce: quanto del resto sia attendibile
tale localizzazione della via Crucis, quando è sufficiente spostare il
sito del pretorio dall'area della cosiddetta Torre Antonia all'altezza
della torre di David che tutto cambia, e quanto sia degno di fede tale
itinerario doloroso, reinaugurato a ritroso e ribaltato più e più volte,
variato nella sua lunghezza e nel numero delle sue stazioni per non
deludere le aspettative e la sopportazione fisica dei pellegrini, -
iniziava nel secolo VIII dal Getsemani- è per l'appunto solo una
questione di fede: resta altrimenti la suggestione di rievocare le cadute
e gli incontri del Cristo, con il Cireneo, la Veronica Maria e le pie
donne, per quella rude salita tra i clamori e i traffici dei nuovi
mercanti entro e fuori le mura del Tempio, in vicoli squadrati nel nudo
calcare ora come a quel tempo. Ma
è stato quando ho valicato la soglia della basilica del Santo Sepolcro,
che per me si è consumato il niente finale della via Crucis: poichè
giunto al Golgota, sul luogo stesso della morte e della sepoltura e della
Resurrezione del Cristo, la volontà di materializzazione di corona e
chiodi e croce e lastra di imbalsamazione e pietra di sepoltura, cui così
pedissequamrente m'ero attenuto, nella vis immaginativa ha annientato il
divino medesimo che intendeva localizzarvi, e non ne è dunque
sopravvissuta che la sola realtà naturale di un fatto storico, mentre la
mente correva a chiedersi come potesse essere mai questo, il Santo
Sepolcro che l' armi e il valore liberò di Cristo, donde il Cristo di
Piero della Francesca sorse rustico e vincente. O
questo il Calvario di Giotto, di Masaccio e del Bellini, quella anonima
lastra, la pietra di imbalsamazione del Cristo morto del Mantegna. (?).
Prima ancora di apprendere dalla guida, per giunta, che era stata
storicamente sostituita nel XIX (?) secolo. Tanto
più che il Luogo Santo per eccellenza della Cristianità, si
è rivelato al suo interno il nefandario di ogni più infima e grottesca
espressione devozionale, quali lo vollero le incessanti contese tra le
Comunità cristiane che vi furono preposte(in
picche e ripicche), cosicchè ciò che non poterono i Mussulmani, dopo i
crociati vittoriosi poi lo poterono quei vari ordini cristiani, i loro
veti e più pii intenti incrociati: chè già all' ingresso, a sbarrarti
la vista e a impedire almeno di intendere il severo ordine crociato dell'
edificio, ti fronteggia orrendo il muro della cappella greco-ortodossa, a
sostegno dell'arco della navata dopo l'incendio del 1808: ferendoti la
vista con il dolorismo schoking, roseo-violetto, di quella triplice
rappresentazione di deposizione e imbalsamazione e sepoltura del Cristo,
su cui anche gli angeli effigiativi chiudono gli occhi, a (per) non vedere
lo scempio di quei corpi (inflessi e) accoccolati sino a diventare la
curvatura della propria veste, la disarticolazione più invereconda delle
teste dai corpi. Quindi
solo la devozione che profuma d'ungenti e sparge di rose la pietra
dell'Unzione, attenua e impietosisce l'impatto. Ma
subentra allora (terminale) l'ascesa al Golgota , per ridursi a
nient'altro che ad una scala a chiocciola che dà accesso al piano
superiore, in cui giunti al culmine, è l'ammanco interiore di una duplice
cappella nerolenta, ove ogni rito ha concorso nell'esternare ciò di cui
è capace nell'infimo la devozione più accesa: sortendone un coacervo di
anonimi mosaici paleocristiani, di viticci e racemi, cui se ne
sovrappongono altri, primovocenteschi, le cui figure nonchè il proprio
dolore, non sanno nemmeno esprimere alcun rapporto l'una con l'altra, di
vignette della passione, e svolazzi d'angeli, che diresti usciti dal
retrobottega di un Holbein il vecchio quali impresentabili scarti, e
invece risultano il massimo di una celere vena greco-cattolica, di edicole
di Madonne dal cuore gessoso ahimè trafitto in modo indolore. Il
tutto sovradominato, contro l'altare di fondo, da un Cristo e una Madonna
e un San Giovanni metalfulgenti, sui quali più che il proprio dolore o
l'assunto di redimere gli uomini ( un mondo), incombe l'onere impari (
improbo) (immane) di sostenere la cartastagnola delle (di) aureole e
cartocci di ammanti( per tacere la tribolazione delle spinose corone
d'argento). Quando
invece si discende successivamente nella cappella di Sant' Elena, la santa
madre di Costantino la si vede a sua volta riesumata nel romanticismo
gotico, di ascendenze nazarene, più freddamente edulcorato od astinente
ieraticamente (astinente) dal vero, ove è tutto un levarsi notturno di
mani sacerdotali o profetiche, comunque protese bene o maledicenti,
provocando un prostrarsi o ritrarsi di figure che a quei gesti sacri, sono
suscitate o atterrite o racconsolate, nonchè è il concedersi grazioso di
catecumeni intenti al bagno battesimale, o di Cristi aureolati entro nembi
gelidamente fosforescenti, Finchè il culmine dell'atroce è l'edicola finale del Santo Sepolcro, intorniata di selve di ceri svettanti sbilenchi, tant' è che anche le colonnine interne al vestibolo sono ceri di marmo, vegliati da una ulteriore sequela pendente di lampade votive; prima che curvandoti per una porticina- il viatico della lieve pena d'accesso al culmine del sacro mistero- sia la bella figura compiaciuta di un francescano, che dopo averlo fatto rilucidare dalla dame delle pulizie, (riaccarezzandosi la barba) ti fa accedere all'involucro di marmo della tomba.
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