Vi
ritrovavo alcuni bambini e ragazzi (che avevo già avvistato (in
precedenza) ed) ai quali domandavo la via, utilizzando per ciò
l'immagine dell'antica Diga ch'è nel testo " Architettura e
paesaggio dello Yemen del Nord" del Manfredi-Nicoletti, (Laterza),
e chiedendo ora in arabo del "Mahram Bilquis", del Tempio del
rifugio di Bilquis di perseguitati e criminali, e non già
del"Tempio del Sole" di *Awaani, secondo il suggerimento
della mia guida che avrei dovuto seguire già prima ( che in ciò si
rivelava davvero pratica).
Da
dei loro vaghi cenni, intuivo in ogni caso ch'ero assai più nelle
vicinanze del Tempio che della Diga nella direzione opposta, poichè i
fanciulli mi facevano intendere che per giungere alla Diga dovevo
sospingermi fino al "gebel", all'altezza dei monti in
lontananza.
Ma
il richiamo suggestivo dei resti dell'antica Diga era tale,
che
comunque ritornavo sui miei passi per dirigermici verso, mosso
dall'attrazione irresistibile ( fatale) di quanto ancora sussistesse di
una delle più favolose meraviglie dell'antichità, dei giardini posti
ai cui termini(,) si decantava che chiunque vi fosse entrato con un
cesto, sortendone l'avrebbe ritrovato ricolmo di ogni sorta di frutti,
pur senza toccare alcuna pianta di sua mano, e della cui costruzione si
favoleggiava ( si favellava) che fosse opera della stessa Bilquis,
regina di Saba, e che fosse stata l'ira divina contro i Sabei a
provocarne (determinarne) la distruzione, per opera dei denti e degli
artigli di un ratto denominato kholdm;
cosicchè la sua rovina, con il conseguente abbandono, venne
significando la fine stessa di ogni antico paganesimo, e fu fatta dunque
risalire all'anno fatidico detto dell'"Elefante", quando uno
stormo di uccelli fermò l'avanzata dell'etiope Abbiah e del
cristianesimo verso la Mecca, ed avvenne
la nascita al contempo di Maometto.
Così
suggestionato, tra i coltivi finivo tuttavia per ritrovare soltanto i
diruti basamenti di un antico tempio ( il tempio H dellla mappa sul
volume del Manfredi-Nicoletti), sul cui crostone terroso salivo a
leggervi, secondo le indicazioni planimetriche della mappa appresso, il
profilarsi nella sabbia dei soli basamenti perimetrali di un sottostante
pronao.
Poi
nel greto dell'uadi i miei passi di nuovo si perdevano ( avevano di
nuovo a perdersi) in terminali illusori, seguitando la mia ricerca
secondo distanze che seguitavo illusoriamente a ridurre; pertanto, nella
solitudine di quell'aridità screpolata, l'arsura della sete
sopraggiungeva con la fine delle mie risorse di acqua, cosicchè i miei
intenti si assottigliavano oramai a quello, soltanto, di raggiungere la
strada che vedevo profilarsi a qualche chilometro, la stessa che a
Sud-Est conduceva ai templi sabei, la stessa, a Nord-Ovest, di un
ritorno fallimentare a Marib.
Lungo
tale strada trovavo comunque ristoro in due bottegucce al
bivio di transito, presso una delle quali stazionavano in sosta
cammelli e autovetture.
Ma
in me il fallito, il soccombente, che ingurgitando litri d' acqua già
si accingeva a chiedere un passaggio per rientrare al più presto a
Sana'a muovendo dalla nuova Marib, non aveva fatto i debiti conti
pomeridiani con la determinazione dell'altro, il resistente tenace, che
rivoltatosi indietro, riguardava le tabelle poste a quel bivio, ed oltre
quella del (verso il) rassegnato abbandono, che non si riferiva che a
dei lavori ministeriali che nei pressi erano all'opera, intravedeva
quella che a destra, in bella evidenza, segnalava la deviazione verso la
Diga.
La
richiesta di un passaggio mutava il verso del mio andare
nella (in ) sua direzione, ed una Toyota che di lì a poco si
arrestava, nell'esultanza della mia volitività ritrovatasi, mi
conduceva giusto all'altezza della gola ove il sole illuminava i resti
inconfondibili dell'antica Diga.
Mentre
così discendevo e mi ci inoltravo oltre il greto dell'uadi,
sopraggiungeva una teoria di pullmini turistici che mi tagliava la
strada verso la stessa meta, al cui interno mi bastava intravedere le
facce, dei toyotizzati, per riconoscerle
quelle inconfondibili di italiani più confortevolmente in viaggio.
Ah,
gli evasori, gli elusori, qui in vacanza, mi ricantavo, i
rivoltosi contro la voracità del fisco, eccoli qui in vacanza, gli
onesti dell' ultima ora, quanti inveiscono contro i
corrotti che non assicurano più i favori del giorno prima, e
eccoli qui in vacanza, che si godono l'avvalersi sul tuo sgobbo
della loro impunità erosiva... il frutto del rendimento della
conversione in buoni del tesoro, o cct, di quanto sottraggono al fisco
dello Stato, che se ne fa debitore, immiserendo la retribuzione e la
considerazionme sociale che ti si riserva quale suo insegnante
...
Eccoli,
gli sfrontati, del fottio e dello sfottio della tua servitù fiscale di
insegnante di Stato ... in uno sciamannio senza alcun approntamento e
cognizione (intelligenza)...
(
Nota sovraggiunta: Generalizzazione indebita, ovviamente, ma certo, tra
di loro, c'era chi era della specie protetta, tra di loro s'annidava
senz'altro chi è dei più...)
Accovacciatomi
in bella evidenza così mi rileggevo, fronteggiandoli, al di qua
dell'uadi le pagine illustrative del Manfredi-Nicoletti sull'antica
diga, a viva voce ammirandone al seguito la magnificenza e la sapienza
edificatoria, la traslazione in aspetto estetico del costrutto tecnico,
quale la si poteva evincere, a saperla evincere, dalla uniformità
dell'intaglio dei blocchi, così come l'animava luministicamente la
scacchiera delle bugne, " a testa di scimmia", che ne
raccordavano il "paramento lapideo" alla muratura a secco
dell'interno.
Solo
dopo che la teoria (il corteo) di Toyota si è allontato verso la
nuova diga, ho ripreso in direzione della la strada il mio cammino,
seguitato nei miei passi, nella vallata eravamo rimasti solo noi due, da
un uomo che mi inquietava con il suo kalashnikov, sebbene nello Yemen
anche i ragazzi e i bambini maneggino armi.
Giunti
sulla strada, i nostri percorsi tuttavia si contrapponevano in direzione
opposta, sul suo rettilineo, lungo il quale disdegnavo di chiedere
inutilmente un passaggio alla teoria dei pullmini degli italiani di
ritorno, mentre l'ottenevo agevolmente da
un' ulteriore Toyota, guidata da un patriarca locale insieme con
la sua famiglia, con anch'egli il suo kalashnikov al seguito, il fucile
accanto al cambio e all'immancabile fascio del qat.
Così
mi riportavo al bivio iniziale, ove uno yemenita non ancora attempato
con al seguito la moglie velata, mi concedeva un successivo passaggio
che gli chiedevo vanamente fino al tempio del Sole, in quanto anzichè
al "Mahram Bilquis", era di nuovo all'Arsh Bilquis, al Palazzo
di Bilquis del Tempio della Luna che mi riconduceva; ove disceso, mentre
lui restava perplesso se contentarsi di un "soukrane", più
moralmente gratificante, in luogo della bakshis più materialmente
soddisfacente che esitava a chiedermi, potevo rinvenirvi pressocchè
sincrono, al loro arrivo, quei miei connazionali aggirantisi intorno.
"
Ma... come avrà fatto? -si chiedeva una di loro alle mie spalle mentre
ne superavo il viatico".
"
Avrà avuto un passaggio..."
Al
che distrattamente annuivo col capo.
Rimaneva
ora il terzo ed ultimo degli obiettivi, il tempio appunto del Sole,
verso il quale i turisti italiani erano già stati avviati dalle guide
turistiche sui loro pullmini.
Sul
come giungerci chiedevo indicazioni più precise ai ragazzi di prima:
intendevo di nuovo, oltre alla direzione, che il tempio non doveva
essere di molto distante, e che mi conveniva pervenirvi seguitando ad
Est, fra i coltivi, anzichè ritornare sulla strada.
Con
animazione affrettata tagliavo dunque il percorso dunque fra i
campi, oltre le colture di capperi e i tracciati di piste, lungo i
tratturi fra i coltivi e una distesa arida, covando lo spirito di un
autentico trionfo, che si prospettava di lì a poco reale, quando ad
indicarmi su un'altura già prossima l'ubicazione del sito del
tempio, erano appunto i mezzi di trasporto inconfondibili di quei miei
connazionali.
Che
avevano così modo, con i loro conducenti stupiti, di vedermi risalire
le rovine del tempio mentre ne ridiscendevano.
Tali
rovine, nel tramonto incipiente, erano non solo di suggestione
decadente.
L'ampiezza
circolare della cavità templare divenuta una cavea di sabbia, i
prospicienti pilastri che ne residuavano l'atrio d'ingresso, vi
evocavano vestigia di una grandiosità tuttora superstite.
Poi
al rientro in autostop a Marib, il fondouk ove risalivo a ritirare i
bagagli, per una salita di gradini di solo cemento fra i filamenti di
ferro sopraelevati all'aperto, sul far della sera mi appariva al suo
interno analogo a quello di Jerrae.
Oltre
la rimessa in cui avevo dormito, e da cui il giovane tedesco era
partito, la vasta sala adiacente era divenuto un luogo di raduno ove gli
uomini sulle alte brande fumavano con il narghilè, i più seguendo i
programmi in onda di un televisore centrale.
E
forse che era finita la mia giornata, alla partenza in taxi per Sana'a?
Forse era così giunto, il felice epilogo di una felice giornata?
Nient'affatto,
come dopo qualche decina di chilometri (dopo) avevo modo di accorgermi,
quando il taxi d'improvviso si arrestava, al seguito di altri due che già
stazionavano da tempo sul bordo della strada.
In
lontananza, nella sera già scura, rumori e rombi di camion e svariare
di fari.
Che
un tragico incidente arrestasse il percorso? Nel quale fosse stato
fatalmente coinvolto il tedesco partito prima?
Intanto
che tardavo a capacitarmi di ciò che impediva il seguito del viaggio,
gli altri passeggeri trasbordavano su dei Toyota che sopraggiungevano.
Il
che era quanto mi invitava quindi a fare lo stesso tassista.
E
come zaino in spalla avanzavo sulla strada, potevo capire l'accaduto: i
miei piedi venivano infatti progressivamente sommersi dal deflusso delle
acque di un uadi che era tracimato per la pioggia che lo aveva
ingrossato, invadendo il tratto stradale con un' irruenza e fino a
un'altezza insuperabili dalle vetture comuni.
Un
Toyota, i cui fanali mi intercettavano, mi offriva un subitaneo
passaggio quando io già facevo per ritornare indietro, e mi tragittava
con altri passeggeri di ventura,
del taxi ma arrestandosi giusto a metà del guado, la vettura
immobilizzata (di lì a poco) nel caos dell'ingorgo per un improvviso
guasto all'accensione, finchè non si riavviava tra i mastondonti che
nelle tenebra ci rombavano ai fianchi, mentre alta su di me nel retro,
all'aperto, la luna fra le nuvole che si disvelava, era l'astro del mio
fato, o di Allah, in cui riponevo una sorte che mi felicitava, esaltato
delle vicissitudini, il cui flutto, seguitava a confortarmi e
preservarmi a galla.
Come
il Narratore delle vicende di Renzo Tramaglino o di Tom Jones, la
simpatia residua che chi ora narra ha per se stesso, vorrebbe quantomeno
che si stendesse un topico velo, sull' autentica infamia contro se
stesso che poi ha perpetrata in Sana'a, ma onestà pur gli impone di
narrarne, a compensazione, che potrà soddisfarli, dello scorno degli
Italianissimi di Marib, che nel contempo fossero più confortevolmente
rientrati in un hotel a più
stelle.
Così
egli ora narrerà di come, giunto a Sana'a, benchè le sue spalle
fossero dolenti perchè bruciate dal sole del deserto, eppure si sia
sordidamente ostinato, heautontimoroumenos, a rifiutarsi di ricorrere a
qualsiasi taxi, supponendo stolidamente di avere già perso fin troppo
in dignità, per i settanta ryals, esorbitanti, che il giorno prima non
si era rifiutato di pagare (aveva pur pagato) per la corsa (in taxi)
dalla stazione di arrivo da Hodeida a quella per Marib, ma così
perdendo più ancora in dignità, poichè, accanendosi nella sofferenza
di trasportare il fardello di uno zaino immenso sulle spalle roventi,
immiserendosi nella più stupida sacrificalità autopunitiva, si è
negato anche i minibus collettivi, confortato altresì dalla presunzione
altresì che Bab el-Shuab e il suo hotel non fossero gran che distanti,
chissà mai perchè, dal tornante in salita lungo il quale egli non
finiva mai di svoltare, con la conseguenza piuttosto, sotto il carico
immane dello zaino che gli ribatteva sulla schiena ribattendogli il
passo, di essere oggetto di scherno e di pena per i passanti, dell'
invito a salire di tassisti interessati o sfottenti che declinava
ugualmente, e quindi, poichè erano già passate le undici di sera, del
fermo e della perquisizione dei propri bagagli ad opera di una pattuglia
di polizia.
Ma
infine era l'arrivo in hotel, e il mio ricovero mentale in un' ospitalità
che mi è oramai domestica.
A Sa'ada
A
differenza di Zabid, l'antica Sa'ada che nei pressi del fortino (ora
presso il (dal) fortino mi) vedo splendere a me sottostante nel sole
meridiano, permane largamente intatta nel suo assetto ancestrale, sicchè
le scarpate delle sue residenze, a forma di tronco di piramide, ne
svariano integralmente il complesso centrale.
L'ornamentazione
più sobria e concisa (sinteticamente composita) delle efflorescenze di
Sana'a, ora è una glassa distesa su tutta la superficie (uniforme), ora
la canditura del(oppure che ne candisce solo il) bordo superiore,
delle( le) dentature e degli (gli) oculi e dei (i)
pinnacoli delle logge aeree, o ne involucra altrimenti le sporgenze
sottostanti a testa di scimmia, o riassorbe
in un unico pannello le finestrature, così come sono frastagliate in
ogive pinnacolari e rettangoli e riquadri di cornice; sul fondo del
rivestimento di paglia delle murature di pietra o di un' argilla cui la
paglia è stata mescolata, che vibra di un luminio intenso indorandone
l'ocra.