Nel favoleggiato Hadramawt

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Hadramawt

 

 

19 agosto

 

Eccomi infine nel favoleggiato Hadramawt, con un'infinità di cose già da raccontare e ancora da vedere, tanto che per il momento tralascio l'invito a colazione dei coniugi belgi, e di trascrivere la storia del loro attacco ad opera dei beduini nel deserto tra Marib e Sayun,- la provocazione, così sospettano, di un incidente diplomatico da parte delle autorità saudite presso le quali sono addetti all' Ambasciata belga - mentre pur nel caldo affocante scendo invece quanto prima in Sayun e quindi a Shiban.

 

 

 

Shibam

 

Infine è Shiban vivida di luce nella calura meridiana, che fronteggio sotto la ( var:una) palma ove mi sono appena ristorato.

L'ironia ch'è congenita agli eventi che ci sono mirabili, vuole frattanto che ogni pretesto fisiologico sia utile a distrarmene: la sete incombente che ho appena alleviato, le screpolature delle labbra ed i grumi che vi si aggricciano; persistenti, le bolle d'acqua che incistidano l'epidermide che si è ustionata.

Tento di descrivere pur tuttavia Shiban in diretta, perché l'emozione visiva così più si attenga all'immagine stupefacente della città, per quanto non possa non disattendere le mie aspettative fantastiche.

Nel suo sembiante compatto, 2yemen.jpg (56670 byte) a rinsaldarla innanzitutto come una fortificazione popolosa, la muraglia di dimore ocra, o biancheggianti, ne costituisce un fronte verticalizzato ininterrotto alle basamenta, dalle quali i rettifili o le divergenze oblique delle scarpate delle abitazioni, che ne aggettino o ne permangano il fondale, ne stagliano sagome, erte e sghembe, *che vi paiono come profilate un tempo da maestranze infantili, quasi in un ritaglio di forbici delle divergenze murarie; all'interno,6yemen.jpg (74846 byte) le sagome, aperte in  infinite finestrucole e scaturigini di luce e d'aria, l'una più stretta e l'altra più larga, le une allineate, le altre piuttosto discoste dal rigo, in *incolonnamenti e *scostamenti, verticali e orizzontali, di minute tessere di verde, di azzurro oppure di rosso, che ne vivacizzano liricamente le sagome parietali, quasi vi si reificassero architettonicamente gli archetipi delle geometrie di Pollock e di Klee.

7yemen.jpg (52731 byte)E del resto, che c'è mai in questo di sorprendente- alcuni bimbi intanto mi osservano scrivere qui seduto all'ombra-: viaggiare è appunto apprendere, tanto più in ciò che ne è la meta esotica fascinante, l'unità formale di psiche e di natura, di moderno e di ancestrale: come le vette si adergono e vengono erose ed abrase, nell'Hoggar e nello Yemen, secondo le medesime conformazioni frattali, e identico è il profilarsi ovunque delle balkane delle dune, che nell' Arabia felix qui cumulino il litorale lavico dell'Oceano Indiano, o siano un interno mare di sabbia del Souf del Sahara.   

E nella ricerca dell'essenzialità funzionale costruttiva, architettandola nell'Hadramawt o nella pentapoli algerina di Gardhaia, siano in gioco gli artefici del deserti o delle megalopoli americane, essi non potevano e non possono semplificare che isomorficamente.

Ed è tale la semplificazione radicale di ogni ornamentazione indigena nell'Hadramawt, da costituirne l'uniformità stilistica locale, in ciò differenziandola anche dalla più sobria costruttività nordyemenita: le forme delle edificazioni vi sono infatti risolte in pure geometrie volumetriche, entro le quali le finestre sono rinchiuse in riquadri o profilature rettangolari, di cui le ante, tinte in azzurro, rosso o verde, insieme con le merlature semioccluse negli interstizi, o unitamente al bordo listato di bianco in cui le pareti terminano in alto, costituiscono le sole movimentazioni, di linea e colore, delle masse murarie uniformemente tinteggiate d'ocra.

In Seyun, in particolare, le alte pareti delle dimore che ho ravvisato stamane, tra la calcinazione polverosa di vicoli e piazze, apparivano più ancora sottilmente e semplicemente ornate, ora tramite la sola variegazione "biscottata" delle rivestiture di malta, ora alternando le stesure di malta a dei tratti esposti, al vividio della luce, di filari sottostanti di pietra nei loro letti di calce, in una riduzione dell'ornamentazione, altrimenti, ai soli arabeschi delle ante negli sporti delle finestre.

Hadramawt

 

 

19 agosto

 

Eccomi infine nel favoleggiato Hadramawt, con un'infinità di cose già da raccontare e ancora da vedere, tanto che per il momento tralascio l'invito a colazione dei coniugi belgi, e di trascrivere la storia del loro attacco ad opera dei beduini nel deserto tra Marib e Sayun,- la provocazione, così sospettano, di un incidente diplomatico da parte delle autorità saudite presso le quali sono addetti all' Ambasciata belga - mentre pur nel caldo affocante scendo invece quanto prima in Sayun e quindi a Shiban.

 

 

 

Shibam

 

Infine è Shiban vivida di luce nella calura meridiana, che fronteggio sotto la ( var:una) palma ove mi sono appena ristorato.

L'ironia ch'è congenita agli eventi che ci sono mirabili, vuole frattanto che ogni pretesto fisiologico sia utile a distrarmene: la sete incombente che ho appena alleviato, le screpolature delle labbra ed i grumi che vi si aggricciano; persistenti, le bolle d'acqua che incistidano l'epidermide che si è ustionata.

Tento di descrivere pur tuttavia Shiban in diretta, perchè l'emozione visiva così più si attenga all'immagine stupefacente della città, per quanto non possa non disattendere le mie aspettative fantastiche.

Nel suo sembiante compatto, a rinsaldarla innanzitutto come una fortificazione popolosa, la muraglia di dimore ocra, o biancheggianti, ne costuisce un fronte verticalizzato ininterrotto alle basamenta, dalle quali i rettifili o le divergenze oblique delle scarpate delle abitazioni, che ne aggettino o ne permangano il fondale, ne stagliano sagome, erte e sghembe, *che vi paiono come profilate un tempo da maestranze infantili, quasi in un ritaglio di forbici delle divergenze murarie; all'interno, le sagome, aperte in  infinite finestrucole e scaturigini di luce e d'aria, l'una piu stretta e l'altra più larga, le une allineate, le altre piuttosto discoste dal rigo, in *incolonnamenti e *scostamenti, verticali e orizzontali, di minute tessere di verde, di azzurro oppure di rosso, che ne vivacizzano liricamente le sagome parietali, quasi vi si reificassero architettonicamente gli archetipi delle geometrie di Pollock e di Klee.

E del resto, che c'è mai in questo di sorprendente- alcuni bimbi intanto mi osservano scrivere qui seduto all'ombra-: viaggiare è appunto apprendere, tanto più in ciò che ne è la meta esotica fascinante, l'unità formale di psiche e di natura, di moderno e di ancestrale: come le vette si adergono e vengono erose ed abrase, nell'Hoggar e nello Yemen, secondo le medesime conformazioni frattali, e identico è il profilarsi ovunque delle balkane delle dune, che nell' Arabia felix qui cumulino il litorale lavico dell'Oceano Indiano, o siano un interno mare di sabbia del Souf del Sahara.   

E nella ricerca dell'essenzialità funzionale costruttiva, architettandola nell'Hadramawt o nella pentapoli algerina di Gardhaia, siano in gioco gli artefici del deserti o delle megalopoli americane, essi non potevano e non possono semplificare che isomorficamente.

Ed è tale la semplificazione radicale di ogni ornamentazione indigena nell'Hadramawt, da costituirne l'uniformità stilistica locale, in ciò differenziandola anche dalla più sobria costruttività nordyemenita: le forme delle edificazioni vi sono infatti risolte in pure geometrie volumetriche, entro le quali le finestre sono rinchiuse in riquadri o profilature rettangolari, di cui le ante, tinte in azzurro, rosso o verde, insieme con le merlature semioccluse negli interstizi, o unitamente al bordo listato di bianco in cui le pareti terminano in alto, costituiscono le sole movimentazioni, di linea e colore, delle masse murarie uniformemente tinteggiate d'ocra.

In Seyun, in particolare, le alte pareti delle dimore che ho ravvisato stamane, tra la calcinazione polverosa di vicoli e piazze, apparivano più ancora sottilmente e semplicemente ornate, ora tramite la sola variegazione "biscottata" delle rivestiture di malta, ora alternando le stesure di malta a dei tratti esposti, al vividio della luce, di filari sottostanti di pietra nei loro letti di calce, in una riduzione dell'ornamentazione, altrimenti, ai soli arabeschi delle ante negli sporti delle finestre.


 

 

Seyun, 20 Agosto

 

Poi Shiban, nelle sue alte dimore sovraemergenti, sghembe e bombate, tra di loro congiunte e fessurate sbilenche, mi è apparsa al suo interno una sorta di città espressionista, la Metropolis araba di un ingegno sinistro ed infantile, dove mille, e uno sguardi di donne, parevano affacciarsi e ritirarsi d'improvviso da finestre e gelosie, fra le cui ante il vento agitava intanto tende viola, gialle e cremisi, dibattentesi contro le alte pareti degli slarghi delle piazze; nei cui sabbiosi recessi, dispersivi allo stato brado, come in Seyun, bambini e capre e galline erano intenti a ruzzare.

Tra i tanti piccoli che oramai mi stremavano, con i loro "Kalam, Kalam,..." "Sura, sura,...",  poi uno mi si è avvicinato, *(di neanche sei anni,) del quale stavo già stornando bruscamente la richiesta di baksish, quando il piccino, cionostante, mi ha preso tra le sue la mano che lo discacciava e me l'ha baciata.

L'ho carezzato commosso con le più intenerite carezze, prima che la stessa mia mano venisse respinta, in un altro vicolo, da una bambina cui l'avevo porta per scusarmi di averla a sua volta troppo ruvidamente dissuasa.

Quante altre bambine, poi, divertite dalla novità ch'io costituivo in un loro giorno consueto, eppure schernendosi, e irridendomi, mi hanno seguitato lungo l'erta più a Sud che risalivo nel vento; pur fra la sabbia che il vento risollevava in turbini del greto in secca, inerpicandomi per ( var:pur di) vedere inoltre, un'unica volta, di fronte e dall'alto Shiban in un solo sguardo.

E anche lungo le vie del piccolo sobborgo, altri volti femminili affioravano intanto a guardarmi a delle finestre, tra risatine e in sguardi furtivi d'intesa.

Un altro corteo di bimbi quindi mi si appressava d'intorno, quando ridiscendevo nel letto di sabbia dell'uadi, fra i quali, grassottella, una bambina negra era la più chiassosa di tutti, agli altri scandendo il ritornello di un canto.

Mentre un seguito di fanciulle già tutte velate di nero, tra le case avanzava più in alto.

 

Oltre Seyun, lungo l'Hadramawt, il giorno seguente mi sono poi apparse quelle donne  al lavoro, tutte involtate di nero con un cappelluccio di fata.

Intente a bastonare l'asino dal loro carretto, o con una bacchetta a custodire delle capre sotto il sole nel lavoro dei campi.

 

( Se tale qui è lo stato delle donne, " E' perchè gli yemeniti sono particolarmente attaccati alla religione", avrebbe poi supposto di giustificarmi un somalo alla sosta di Al Mahfad.)    

 

 

Sana'a 22 agosto, the all'aperto 22 settembre

 

E' solo ora in Sana'a ora presso il the all'aperto 22 settembre, già nell'attesa pomeridiana di partire dopo mezzanotte per Il Cairo, che sono in grado di raccogliere gli eventi avventurosi del viaggio fino all'Hadramawt e del ritorno, conclusosi * in Sana'a solo ieri sera.

Troppo tardi ne ero partito di mezzogiorno, sei giorni or sono, perchè il viaggio già nell'andata non mi si complicasse, essendomi attardato nel centro moderno della capitale in cerca di una copisteria, pur che dei miei antecedenti appunti di viaggio, qualora con me finissero dispersi gli originali, ne rimanesse comunque una fotocopia, che ho consegnato in busta chiusa, con il mio indirizzo, ai cortesissimi e gentilissimi addetti dell'Hotel Al Dyaifa.

Così come non mancherò di fotocopiare quanto ora vengo ulteriormente scrivendo, e forse ne spedirò prima di sera la copia ulteriore al mio recapito, a salvaguardia dei miei manoscritti da un incidente in volo.

Così, il mio lettore fantasma, se mai gli arriveranno solo queste mie parole, tutto potrà supporre, eccetto ch'io non abbia previsto e cercato di fronteggiare preventivandolo il mio destino tragico.

Troppo tardi, stavo ora dicendo, sono partito da Sana'a di pomeriggio, perchè l'arrivo ad Aden, a sera inoltrata, mi consentisse poi di potervi prendere un taxi per Mukalla, da dove proseguire fino a Seyun.

All'arrivo, capacitatomi a stento e con sgomento che il posto ov'ero giunto non era ancora Aden, ma un suo sobborgo animatissimo, frascheggiato nel traffico da capannelli diffusi di rivenditori di cocco, e confortandomi almeno all' intendere che il taxi urbano che mi si suggeriva di prendere mi sarebbe occorso per trasferirmici nel quartiere del Cratere, il "Krater" o "Kratir", come mi si diceva, da dove partivano i taxi appunto per Mukalla, una volta così giunto dunque al "Cratere", non vi trovavo nel posteggio che pochi uomini in attesa, che vi indugiavano nella residua speranza di costituire con dei sopraggiunti la cifra fatidica di nove passeggeri, necessari a costituire una comitiva sufficiente per indurre a far partire (avviare) ancora un tassista... 

Mi associavo, mentre nel consumare gelati e bevande su bevande,

all'atto di pagare mi rifiutavo di apprendere la difficoltà del cambio tra le valute interne, tra i ryals e i dirans, e i fillings e gli shellings quali sottomultipli dei diran, aprendo ogni volta la mano perchè l'altro vi prendesse e mi restituisse quante monetine era il caso.

Ma intanto quel gruppuscolo di viaggiatori per Mukalla si disperdeva nel niente. Così, giunta l'ora che avevo fissato come inappellabile delle 22.30, non mi restava che cercare un hotel dove dormire fino alle cinque del mattino seguente, quando avrei dovuto alzarmi per il primo taxi per Mukalla.

Ma iniziavo ad aggirarmi vanamente per Aden, nella ricerca di un posto letto decente a un prezzo decente, poichè risultava al completo, già full, ogni hotel che faceva al caso.

Così ritornavo sui miei passi fino ad un locale che dal suo viavai mi era parso assai frequentato, senza avere avuto modo, per le vie di Aden, che di ritrovare la città esattamente come me l'attendevo e non poteva non essere: ossia, nella soluzione di continuità dei nei suoi condomini, a infrazione flagrante della

unifamiliarità delle dimore yemenite, o nell'aspetto anglo-ellenico o indo-lusitano di agenzie ed empori ed uffici pubblici, un lascito e il tramando in disuso o dismesso, di governatorati e protettorati occidentali e di successivi  trapianti ed espianti di socialismo reale, che l'hanno assurta, nel tempo, a una porta di mare di ogni India Orientale.

Ma avevo indovinato ad appostarmi in quei paraggi, così riprende già la lungaggine del filo della mia narrazione, poiché mi avvistavano lì accucciato un anziano e un giovane solerte, i quali come apprendevano quale fosse la mia situazione, erano cordialmente solleciti a recarmi un aiuto.

Infatti, rientrati, telefonavano per mio conto pur se invano a vari hotels, per quanto mi era dato di capire; quindi, essendo già mezzanotte inoltrata ed io quand'anche ancora un funduk potesse alloggiarmi, non manifestandomi più disponibile a pagarne l'alloggio per poche ore di sonno nell'apprensione di partire, il giovane altrimenti risolveva  il mio caso.

Rientrava nel locale e ne usciva armato e in divisa, quindi chiamandomi "Saddik",  mi invitava a incamminarmi al suo seguito nell'ombra di un'erta in ascesa, dove una mia pur vaga apprensione tacita, per quanto immotivata dal suo comportamento fraterno, iniziava a figurarmi un capro condotto a una qualche sorta di esecuzione clandestina, tra gli sguardi sorpresi dei rari passanti, che ci fissavano come se costituissimo la tradotta di un prigioniero, od eseguissimo  la mia consegna per la resa dei conti a un'autorità superiore.

Una volta giunti sulla sommità di quell'erta, il comandante di una guarnigione, cui mi consegnava in effetti, mi chiedeva conto in inglese della mia situazione di nottambulo, ma una volta ch' io gliel' ho illustrata, era per dirmi sollecito "io ti voglio aiutare", ed indicarmi una panca su cui all'aperto potevo dormire.

Ma all'interno della stazione dove mi ha accomodato, poi il suo interrogatorio si faceva sfinente, mentr'io non intendevo che distendere il mio sacco a pelo su quella panca e incominciare a dormire.

" Are you russian?", *egli avendo esordito, con un vago sorriso di speranza che con un vago sorriso di negazione dovevo deludergli.

Egli era dunque lì ancora in attesa....

A interrompere l'interrogatorio, divenuto un profluvio, intervenivano poi altri soldati ed ufficiali, consentendomi di defilarmi dal pur cordialissimo comandante.

Ricordo il successivo risveglio, dopo un duro sonno, nonostante il continuo viavai di armati e di autovetture nella postazione, la partenza da Aden verso le sei, quando già all'alba, oltre le dune sbiancanti, iniziava a rischiarare il verde grigiore equoreo dell'Oceano Indiano, che allora mi è apparso per la prima volta.

Del lungo viaggio da Aden fino all'Hadramawt, non mi rimane di memorabile, poi, che l'interminabile successione di villaggi e di fortificazioni, delle frastagliature di pinnacoli e picchi e delle erosioni dei canyon, una successione sempre più inaridentesi e sempre più spopolata, senza soluzione di continuità che i residui tabulari di antichi crateri, di colate e di brunite deiezioni laviche ancora rapprese, le catene e i picchi, ed i crateri, ergendosi in altura per digradare verso il mare in dune steppose, sommosse dal vento in turbini nella calura affocante, o seguitando ad erompere in vette e crateri sino a costituirne le coste rocciose, come già in Aden, da Bir Ali fino a Mukalla; Bir Ali l'antica Qana dell'antica via remota dell' incenso, ove i rivoli rappresisi di nera lava, in un tumulto di placati contrasti che non agita più che il vento, si venivano confondendo con il biancore della sabbia sino al limitare del bagnasciuga dell'Oceano Indiano.

Poi le alture da Mukalla a Seyun, in un'aridità grandiosamente monotona di forme e colori, mi sono apparse la tumulazione sovrastante, e il sottostante increparla/si, del disfacimento e del conformarsi ancora acuentesi di canyon, finchè sono sopraggiunte le vallate dell'Hadramawt e dei suoi affluenti, e si è discesi nell'infoltarsi e nel rigoglio  di palme.               

 

 

Sana'a, 22 agosto, ore 20,30, aeroporto

 

In attesa del ceeck-in del volo per Il Cairo, seguiterò ora all'aeroporto di Sana'a*la narrazione interrottasi, nel the all'aperto, dei  fatti indi accadutimi nell'Hadramawt, ripredendendola dal mio risveglio all'aperto sulla terrazza del solo hotel di Seyun, e di cui quel suolo pensile era l' unica sistemazione che vi potesse, od intendesse offrirmi, l'addetto alla réception al mio arrivo notturno. 

A quel precoce risveglio, mentre vi vado alla ricerca di dove sia una toilette per farmi una doccia, scorgo due turisti- un uomo e una donna- alquanto mattinieri, che già sul far delle sei, con una certa agitazione, vanno passeggiando sottostanti lungo i bordi della piscina vuota.

Quando discendo e li saluto, chiedendo all'uomo se parla francese e da lui apprendo che "oui", lo parla perchè è belga, l'uomo, sui cinquant'anni, sanguignamente corpulento e irto di una barba bianca, assai incolta, che ne accentua la sprezzatura dei modi, così inizia a fissarmi irresistibilmente alla sedia a lui di fronte come un suo interlocutore, con la fluenza inarrestabile di quanto in toni smorzatamente rabbiosi mi viene narrando.

" Io e mia moglie, lo sa? siamo qui alloggiati da giorni senza più niente di nostro, nè bagagli, nè passaporti- e avevamo passaporti diplomatici-, nè denaro nè carte di credito,"rien de tout",  poichè, lei ha da saperlo, quattro giorni fa i beduini ci hanno attaccato in pieno deserto e ci hanno portato via tutto.

Un Kalashnikov- diceva premendo due dita sotto la mascella-,

mi hanno tenuto puntato contro.

Eravamo diretti da Marib a Seyun, provenendovi dall'Arabia Saudita, quando di notte, mentre la vettura della scorta diplomatica che ci precedeva era distante, e non potevamo più

esserne intravisti in quanto ci nascondeva la polvere, d'improvviso due Toyota, da due direzioni opposte, sono sbucate dal buio e ci hanno bloccato il percorso. Mia moglie non è riuscita a chiudere in tempo le serrature di sicurezza, ma se avessimo resistito ci sarebbero stati senz'altro dei morti- e la moglie, con un silenzio corposo d'un' ira repressa e per niente scemata confermava appieno la supposizione, dislocandosi intanto altrimenti sulla sedia, a ribadire che ancora non trovava rassegnazione o se ne faceva una ragione-.

Come allora apprendevo, erano entrambi addetti all'Ambasciata belga in Arabia Saudita, da dove si erano messi in viaggio sotto scorta diplomatica, e da dove, inconfutabilmente, supponevano che fosse giunto quell'attacco.

" Loro sapevano tutto del nostro percorso, occorre infatti comunicare loro ogni volta ogni nostro spostamento, e ho calcolato che nel punto in cui siamo stati attaccati, si può pervenire dall'Arabia Saudita e farne ritorno con un pieno di benzina.

Avranno presumibilmente prezzolato i beduini... Perchè possono averlo fatto, lei mi chiede? Ma per creare un incidente diplomatico e screditare come malsicuro il turismo nello Yemen.

Anche degli italiani, dei suoi connazionali, e degli spagnoli che in questi giorni sono arrivati nell'hotel, sono stati attaccati a Nord di Sada'a e tra Marib e Seyun.

Così mettono in crisi lo Yemen e la sua riunificazione che non vogliono. Qui la polizia si è mostrata assai imbarazzata dell'incidente. E la gente yemenita è molto gentile e disponibile. Anche se è vero che le autorità locali e il gestore dell'hotel, che dispone di un fax, hanno tardato una mezza giornata prima di trasmettere il dispaccio a San'a, all'Intelligence Service, secondo una loro versione dell' accaduto. Hanno concordato tutto, prima...

Oh, ma lei non li conosce, piuttosto, gli Arabo-Sauditi... Occorre esservi stati cinque anni come vi ho vissuto io, nel loro paese, per imparare quanto sono ipocriti." C'est de la plus pure ipocrisie"... articolava con il furore di un odio divenuto nel tempo calcolato ritegno - "de la plus pure ipocrisie". Davanti ossequi e salamalekoum, e di dietro che ti pugnalano...- mentre così dicendomi lui si portava il pugno dietro la schiena.- Assassini e traditori... Solo i Kuwaitiani sono anche peggio... E' per il  petrolio, per il petrolio che possono far questo,  per il loro petrolio  tutto è messo a tacere... Mi creda, riferito a loro ciò che è scritto degli Arabi sui Versetti Satanici, di Salman Rashdie, o ciò che ripete di loro radio Irak, dalla guerra nel Golfo, è la pura verità... Sono assolutamente vere, le denunce sul loro conto di Amnesty International... I carcerati politici che vi sono tenuti in prigione- ed a tal punto articolava un polso nella strettoia dell'altra mano- vi sono tenuti legati in piedi contro un muro, costretti sul posto a farsi gli escrementi addosso. E se non muoiono di fame, è per gli alimenti che passano a loro i loro congiunti. Ogni Venerdi festivo lo si celebra con dei riti di esecuzione, con un colpo inferto alla tempia degli uomini o lapidando le donne. Ipocriti, ipocriti puri...

E i nostri diplomatici a tacere... E lo sa perchè?

Ma perchè sono interessati al loro petrolio, sempre per la questione del petrolio... Anche quanto mi è accaduto, lo vedrà,  che sarà messo in qualche modo a tacere, li conosco quelli del Belgio, il ministro...Si figuri... Ma si immagini, un convoglio diplomatico che è costituito da chi dovrebbe tutelare chi come lei, è cittadino straniero, che viene invece attaccato in pieno deserto..."

Il che, di sfuggita, riferendomi a quanto mi aveva detto delle autorità belghe, mi ha consentito di obiettargli che l'ipocrisia in tal caso non è solo araba.

" Ah, certo, certo," bien sur... bien sur..." Ma si figuri, in ogni caso, che per la moschea di Roma i Sauditi hanno posto ed hanno fatto mille storie, bisognava a tutti i costi che il minareto non sottostasse più di tanto alla cupola di San Pietro, mentre quando si è chiesto loro di poter edificare in Arabia Saudita una piccola chiesa( var: una chiesa piccola piccola) per celebrare i riti cristiani, non ci è stato affatto concesso di costruirla, nemmeno di erigere una cappella all'interno dell' Ambasciata Svizzera. E perchè? Perchè l'Arabia Saudita è Terra Santa, ha detto il Re..." e alla mia supposta domanda, egli nel mentre rispondeva ha allargato le braccia, come di fronte a ciò, di imperscrutabilmente ed incontestabilmente superiore, cui non sia possibile che rimettersi e sottostare.

"E nell' Arabia Saudita, mi creda, ( var: creda a me ), per gli stranieri viverci è un Inferno. Prima di tutto vi ritirano il passaporto; poi vi iscrivono in una carta d'identità differenziale, che è grigia per gli stranieri, mentre invece è bianca per gli Arabo Sauditi. E il nome di vostra moglie vi risulta registrato in piccolo solo nell'ultima pagina, perchè le donne non vi contano nulla.

Anche mia moglie, come ogni straniera in Arabia deve circolare velata...

Le vetture stesse dei diplomatici hanno una targa diversa da quella delle altre vetture: e guarda caso è fosforescente.

Se voi andate a chiedere a loro il perché, " Ma è per proteggervi meglio", vi assicurano; mentre invece è per controllarci meglio nei nostri movimenti che lo fanno!

Noi stessi, del personale diplomatico, dobbiamo dichiarare loro ogni nostro minimo spostamento. Una volta volevo recarmi in una certa località. Ah, le loro autostrade sono buone, "bien sur". Solo che la polizia mi informa che non ci posso andare.

E perchè? Io chiedo. Perchè nella zona c'è stata una inondazione, mi dicono loro. " Un'inondazione di questa stagione?" "Se le diciamo che c'è stata un'inondazione, lei deve credere a ciò che le diciamo ". Telefono a un mio amico diplomatico, e lui mi chiarisce che quando dicono che c'è un'inondazione in un posto, vuol dire in codice che in quel posto è assolutamente vietato e ne è impedito l'accesso.

Infatti poi ho saputo che in quei luoghi...

Ah, e provateci a fare gli affari in Arabia Saudita! Rischierete di perdere tutto".

Ed a tal punto egli mi ha raccontato le disgrazie del ricco proprietario europeo di uno dei più lussuosi hotels  dell'Arabia Saudita, un olandese, se ben ricordo .

Presso tale hotel era stata organizzata una festa enorme di principi e di principesse- "Là tutti, tanto, sono principi e principesse..."-, e per venti e più giorni, gozzovigliando, avevano mangiato e bevuto tutto quanto avevano voluto.

Ora solo dopo un certo intervallo di tempo, e dopo che nel frattempo nessuno si era fatto ancora avanti per pagare il conto, l'europeo aveva osato presentarlo al Re con le dovute maniere.

E mentre tale conto lo iscrive in piccolo con le dita nel palmo dell'altra mano, il belga così è venuto seguitandomi il suo racconto:

"Vedete Maestà, gli ha scritto, qui c'è una fattura, una assai piccola fattura, che attende di essere pagata quando e come   

a lei  più aggrada". Sa quale è stata la risposta del Re? Il tempo appena di concedergli di fare le valigie*, ché entro quarantotto ore doveva già essere oltre la frontiera, lasciando in Arabia Saudita ogni sua sostanza e fortuna.

E se vi lavorate come ingegnere, o progettista, credete di arricchirvi?  Vi occorre uno sponsor cui dovete versare il quaranta per cento dei proventi, sempre che non passiate alla concorrenza, illudendovi di trovarvi meglio.

Ma cosi potreste piuttosto scatenare l'ostilità del primo, se siete insostituibile e avete fatto con l'altro fortuna.

In tal caso la vostra maggiore disgrazia è garantita.

Ah, "le phantastique Kingsdom" di sua Maestà Re Feisal..."

egli sarcastico ha soggiunto, salameccando e salameccando i rituali di ossequio di Sua Maestà riverita, in un profluvio irresistibile di linguate cerimoniali salmodianti.

" Ah, l'"arabe"...- ha poi seguitato rincarando- Occorre ben finirla, in Europa, di pagare per gli Arabi e per quelli dell'Est. Ti assicuro- ha seguitato rivolgendosi a sua moglie- che quando ritorno in Belgio mi iscrivo senz'altro a un partito di destra, ma che sia di destra pura, occorre oramai finirla con l' "arabe!".

Gli ho obiettato che (almeno) nel Maghreb forse tutto questo non succede, almeno per quanto riguarda le transazioni che sono pubbliche, e che, ad esempio, i governi d'Algeria hanno sempre scrupolosamente onorato i loro debiti.

" Ma il Maghreb è un'altra cosa... - ha convenuto pur senza deflettere.

E quando gli ho soggiunto che ho contezza che gli Arabi Sauditi sono essi stessi, per lo più, implacabilmente razzisti contro gli altri arabi che siano meno ricchi, lui seguitando più implacabile la sua inflessibile denuncia:" Bien sur- ha annuito-. Si figuri che uno di loro ha rifiutato di presentarmi il suo fratellastro perchè era un "noir".

"Puah, il est noir, monsieur", mi ha come sputato. Ma vi vivono in tanti della vicina Africa che sono neri, in Arabia Saudita, e quando devono essere serviti, nei negozi, gli Arabi li fanno immancabilmente accomodare in coda dietro  tutti gli altri. E i lavoratori stranieri li hanno spediti tutti alla frontiera gli uni dopo gli altri: pakistani, palestinesi, yemeniti, e adessso è la volta dei giordani.

Deve vederli poi tutti quei principi e sceicchi, come fanno i ricchi.

Alla testa delle loro Rolls Royce- e a tal punto pomposamente gonfiando le gote rigirava un immaginario volante-, con tutte le loro mogli e i figli e le figlie sedute dietro, che se vanno, indovini dove? a mangiare fino ad ingozzarsi nei fast food di Ryad ". E le sue mani venivano intanto portando alle loro immaginarie bocche chissà cosa, sempre che non fossero gli incommestibili wurstels degli infedeli.

"Uno di loro si era appena comprato una Jaguar. Fatti *** chilometri la vettura si ferma, e lui la porta da un meccanico. E questi. "Ma Principe, la macchina va. E' che occorre metterci della benzina...."

" Come? Se prima io avevo una Mercedes che con un pieno faceva *** chilometri  di più? E ti pianta lì la Jaguar, e lo vedi, quello stesso pomeriggio, già alla guida di un'altra Mercedes. Ah les Arabes Saudiens, le phantastique kingdom de roi Feisal..."

Sono appunto allora sopraggiunti due turisti di cui i coniugi belgi avevano fatto precedentemente conoscenza, ed io ne ho profittato per estrarre il quaderno di viaggio e tentare di riprendere ( * gli) appunti. Quindi lui è ritornato per chiedermi se intendevo consumare con loro il breakfast. Sgomento io allora ho levato gli occhi nel vuoto, e dimentico che erano di lingua francese, " I prefer do not", ho loro risposto come Bartleby lo scrivano.

"Come lei vuole", lui si è congedato cordialmente.

E' che purtroppo, anche se lui e sua moglie lì avevano soltanto i vestiti che indossavano, loro restavano dei ricchi ed io invece un povero.

Quando sono quindi rientrato da Seyun in hotel, alle 11,30, per cercarvi nuovamente e invano una camera, i due vi erano ancora lì intenti a chiacchierare,  nell'ombra della hall, sotto le pale di un ventilatore e davanti ad una bottiglia di acqua minerale.

E quando alla donna ho detto che mi sarei recato subito dopo a Shiban, "la Manhattan du désert", si è di ciò schernita, con un vago cenno, come per significarmi, irreparabilmente inconsolabile, che dopo quanto le era successo nel recarsi in quei luoghi, lasciava ben ad altri, nella calura più soffocante, di cercare in quei luoghi ancora alcunchè.

Nel pomeriggio visitata Shiban, ho dovuto quindi trasferirmi a Tarim, già di sera,  per cercarvi un alloggio dove dormire.

Era l'ultima mia meta del viaggio.

L'estremo abitato, a sud Est, in cui sia giunto nel corso di tutti i miei viaggi.

E allorchè poi aggirandomi nel labirinto dell'hotel, vi ho raggiunto infine la stanza, ho avvertito il vuoto di chi presagisce che in quel momento sia già iniziato il ritorno;

e che non resti, più altro, che lo spossamento del rientro.

Senza più ulteriori sollecitudini, incombenti, che di alleviarlo assicurandosi conforto e ristoro.

Così già il mattino seguente era il venir meno della vigoria psichica, più che fisica, che mi stremava a tal punto lungo le vie di Tarim; pur se con stupore crescente, nell'aggirarmici, vi rinvenivo esattamente opposto di quel che supponevo, stando al giovane tedesco con il quale avevo conversato per ore su due piedi nell'hotel Delux di Taizz: non già l'estremo della negazione di ogni agio civile, ma una cittadina verde di giardini e lastricata, ove grandi palazzi che arieggiavano uno stile occidentale seguitavano a succedermisi intorno: 29yemen.jpg (60800 byte) erano essi le dimore signorili, in un originale barocco tailandese, che vi si erano  costruiti gli emigranti di Tarim, ivi di ritorno dopo avere fatto fortuna nell' Estremo Oriente.

Ora non mi chieda, il mio destinatario immaginario, una descrizione puntuale di tali palazzi: troppo ero già stremato, quando non erano ancora le nove, per giunta infastidito da alcuni bambini molesti, che seguitavano ad importunarmi nonostante il mio affaticamento evidente: ne ho inteso la sola movimentazione barocca, nelle parti laterali che aggettavano quali avancorpi del prospetto centrale, più elevato, o nelle cinte murarie colonnate e illegiadrite da una loggia superiore; felicemente congruente, tale animazione barocca, con i motivi orientali nella ornamentazione dei capitelli e nelle cupolette a cuspide, nei pinnacoli flammei come nelle volute affrontate, secondo una vocazione insita fin dagli esordi nell'estrosità barocca .

E in tale barocco tailandese d'importazione, suppponevo consistesse la ragione della singolare conformazione delle ville dell'Hadramawt, particolarmente nell'uso di colonne frontali e delle volute affrontate.

Quando da Tarim quindi iniziavo il rientro a Sana'a, la regolarità del viaggio, sino a Mukalla, pareva confermare appieno l'ipotesi che di fatto tutto già si fosse concluso, e la stessa mia indisponibilità irritata ad ogni ulteriore " Hallo, Saddik...", o " Mister, where are you from? etcetera, etcetera...", ribadiva che psicologicamente i contatti già erano stati staccati.

Senonchè non avevo ancora fatto i conti con gli eventi effettivi, come pur già mi inquietava a pensare lo sfasciume interno del Toyota, che per oltre 700 km, avrebbe dovuto fungermi da taxi sino ad Aden, l' ultimo che fosse in partenza da Mukalla quel tardo pomeriggio.

Ed infatti, non era ancora calata la notte, che prima si dissestava e poi bucava due volte, al che tutti gli altri passeggeri l'abbandonavano, per ingabbiarsi tra le sbarre del carro di un Mitshubishi,- finalmente non un Toyota!- che sopraggiungendo s'era arrestato a soccorrerci.

Rimasto io il solo con il tassista, benchè questi cercasse di farmi capire senza tuttavia farsi intendere che non era il caso li assecondassi, imitavo gli altri passeggeri e finivo così costipato nella cabina di quel furgone, imbalordito dallo schiamazzare del suo allegro conducente, un giovane somalo come gli altri due che erano al suo fianco.

Ma mentre tutti gli altri passeggeri, come solo più tardi connettevo, in tal modo raggiunta quanto prima la più vicina bettola *(ristorazione) , nei suoi paraggi restavano quindi in attesa del sopraggiungere del taxi per risalirci sopra, invece per il frastornato sottoscritto, ed il suo zaino, a iniziare dallla montata sul Mitshubishi iniziavano le peripezie, in contigue vicende, dall'uno all'altro di una serie di furgoni ad esso consociati e su di una vettura al loro seguito di una Compagnia di trasporti di Mukalla, assecondando carichi e discarichi, e trasbordi, come mi erano indicati dall'uno o dell'altro dei giovani conducenti somali, pur senza riuscire a intendere tramite loro come, e quando, sarebbe avvenuto il ricongiungimento comune e l'arrivo ad Aden con le mie cose appresso, che era quanto nel trambusto piuttosto mi premeva sapere, che di venire magari a conoscenza che il primo di loro aveva fatto il camionista in Italia, e che gli piaceva assai "'l vino" quanto " i formaggia", " i spaghetti e non la mafia", mentre il secondo, cui ero affidato, era di una generosità istintiva che purtuttavia non evitava che di lui un pò tutto mi riuscisse sgradevole,  eccettuati i suoi " fuck you" indirizzati tanto a dossi e cunette, e dissesti stradali, che ad Emirati arabi riuniti e sauditi, e a tutto il loro petrolio, egli certo che a quel paese sarebbero pur finiti quegli sceicchi, una volta che i giacimenti yemeniti recentemente localizzati in quel di Marib, fossero stati infine sfruttati.     

E che dire mio dio di come guidava, inchiodandosi in uno schianto di freni ad ogni sopraelevazione dell'asfalto, come ovunque nello Yemen, all'altezza di ogni tubatura e conduttura. Obbligandomi così a rinunciare ad ogni assetto disinvolto in cabina, quando per la seconda volta un urto mi ha fatto sobbalzare fino al tetto, la lingua immorsicata fra i denti nel rimbalzo della capoccia contro la calotta...

Solo quando all'ennesimo soprassalto si sono sganciate le sponde del carro posteriore, ed ha corso il rischio di compromettere l'integrità del carico, il vivace somalo ha smesso di impazzare tra una canticchiatura e l'altra delle canzoni di Michael Jackson, e strigliato energicamente dal conducente del seguito della compagnia che è sopraggiunto, ha deciso finalmente di moderare la guida. 

Il villaggio dove alla due di notte arrestava la corsa per dormire, forse era proprio il villaggio di Habban, dopo il bivio per Ataq, indicato nella guida e che avrei voluto vedere.

Ma nell'annerimento notturno del sito pietroso dove ci siamo arrestati, dentro il cortile di una vasta ed anonima dimora, non ho avvistato che un enorme cactus presso il quale mi sono sfogato, nonostante le punzecchiature continue degli insetti a miriadi, che mi hanno quindi costretto a rinchiudermi nella cabina del camion, ben serrati tutti i finestrini, come in una camera ardente dove ciononostante ho trovato il sonno.

Poi il prosieguo del viaggio, fin dall'alba,  è stata una serie continua di ricongiungimenti e di distacchi tra le vetture, di soste e sosterelle fra solidali confraternite somalo-yemenite,

la prima, verso le sette del mattino, nel villaggio di Al-Mahfad, il villaggio di cui il mio conducente era originario.

Ove un giovane del luogo, avvertito il mio interesse per l'architettura indigena, prima che partissi ha voluto che questi mi conducesse in autovettura nei paraggi di due dimore caratteristiche, consentendomi in tal modo di capire finalmente la ragione, ossia la funzione, degli sporti che avevo notato all'andata nelle dimore yemenite delle contrade: essi altro non erano che cessi che davano all'esterno, dal cui buco tutta la merda precipitava nella strada sottostante, più o meno entro il perimetro delimitato di un sottostante merdaio.

Da un altro cesso, di una casa antistante, gli stronzi invece finivano nella via lungo uno scivolo in muratura, ove gli ultimi frustoli defecati ristavano bellamente rappresi in tutta la loro evidenza, nell'attesa che altri loro consimili, una volta sopraggiunti, li facessero precipitare nel recinto di deiezione sottostante, ove la mummificazione in atto, dei confratelli espulsi, conosceva tutte le sue fasi del rinsecchimento all'aperto.      

Il giovane aveva modo di precisarmi che in ogni caso, purtuttavia, le più rigorose regole presiedevano alla dislocazione dei cessi.

Innanzitutto, come mi disegnava su un foglio di giornale, di due dimore prospicienti non potevano affrontarsi un cesso ed un ingresso, ma, "but", "only door in front of door et toelet in front of toelet"; il solo fronteggiarsi possibile era infatti tra due cessetti o tra due porte, delle quali quelle che intravedevo risultavano ornate di una strombatura superiore alquanto elegante, e di battenti travati di assi finemente intagliate. Fatti loro, dei passanti assuefatti, che invece i merdai ne ornamentassero il transito.

Ma a loro tutela era ulteriore regola, inderogabile, che il cessetto esteriore dovesse essere ubicato almeno al secondo piano, onde della verticalità della cacata, incombente in strada, fosse meglio deprecata la tracimazione oltre la cordonatura del temenos (  var: del recinto).     

Inoltre il giovane mi accertava che nonostante la loro vastità, gli edifici della vallata, come quelli dell' Hadramawt, e dunque gli stessi grattacieli di Shiban, erano tutti inderogabilmente unifamiliari, e che nel suo villaggio i vani interni erano tutti di metri sei per quattro.

Nel fornirmi tali informazioni, egli mostrandomisi assai divertito, e  grato, di tale mio interessamento agli usi igienici e dei vani domestici delle sue genti.

Oh, che mi schifava, piuttosto, era il transitare per la strettoia di un punto obbligato, di passaggio, ove su dei banchi di legno erano in vendita lungo la strada delle carni macellate, fra nugoli di polvere e i tafani e le mosche che le infestavano... nei paraggi di rigagnoli adiacenti di lurido scolo...

Intanto fra i somalo-yemeniti, della scorta, lo stupirsene divertiti si faceva considerazione e riguardo, per la mia insistenza nello scrutarmi d'intorno e il chiedere anche solo il nome dei loro villaggi.

Quando siamo finalmente ripartiti da quel borgo, sul Mitshubishi il giovane somalo che è salito, mi ha parlato della guerra civile che sta annientando il suo paese.

Nove mesi era rimasto a Mogadiscio, prima di fuggire in Kenya e passare nello Yemen. " Hanno bruciato anche la sabbia" è quanto  mi ha detto, di un orrore del quale preferiva tacere.

"Suppongo, gli ho soggiunto, che sia un macello come nella Bosnia; dove si sgozzano anche i bambini delle etnie nemiche perchè non diventino come i loro padri, sotto gli occhi dei quali li trucidano inermi. Ha annuito che in Somalia era lo stesso.     Alla sosta successiva quindi passavo sulla vettura al seguito, così ricongiungendomi con i miei bagagli e combinandomi con un'ulteriore comitiva, un ragazzino somalo ed un anziano signore che ritornava a Taizz, con i quali ho proseguito fino alla fermata ulteriore, nel villaggio dove sortendo dall'entroterra ci si riaffaccia sull'Oceano Indiano.

E' stato in una taverna di tale villaggio, che le leggi dell'ospitalità mi hanno imposto per giunta di cibarmi del riso e del pollo con le sole mani, prelevandoli insieme ai miei compagni di viaggio da un medesimo vassoio.

Ora con le mani cibarmi del pollo, come di pesce, non mi suscitava alcuna schifiltosità particolare, ma il riso, appallottolarlo nel suo untume di grasso di montone e di condimento vegetale, mi era uno scempio la cui perpetrazione mi stizziva e schizzava sui pantaloncini, con l'aggravante, non secondaria, che costituiva lo sconcio del riso più buono che abbia gustato nello Yemen, tanto il pomodoro, le cipolle, le carote e l'* , l'ortaggio indigeno similare alle nostre zucchine, vi erano sapidamente e sapientemente aromatizzati dal chiodo di garofano, e piccantizzate dal pepe in grani.

Ma è stato solo dopo che lordandomi mi sono così adeguato a mangiare come uno dei loro, che la combriccola di somalo-Yemeniti mi ha porto il cucchiaio.

A significare appunto, come avevo ben inteso, che ad un'autentica iniziazione ero stato in tal modo sottoposto.

Alla ulteriore partenza trasbordava il ragazzo somalo, mentre due autostoppisti yemeniti erano fatti salire già a poche decine di chilometri oramai da Aden, lungo il litorale l'afa ventosa che turbinava la sabbia, schiumando la verde celestialità frangentesi delle onde oceaniche, in flutti che si sfrangiavano contro un litorale ( var: lungo una costa) ove le sole  presenze, fra i coltivi, e poi presso gli arbusti di acacia invasi di sabbia, erano degli sparuti cammelli nella calura meridiana.

Arrivati così ad Aden verso le tre del pomeriggio, dopo più di venti ore di incidenti di percorso, passaggi di vettura, assonnamenti e sosteggi e sconquassamenti ed urti, a tal punto non era forse lecito supporre al narratore in fabula, che a salvaguardia di una trama che invocava già nell' Hadramawt di essere conclusa, e diceva basta a ogni ulteriore seguito dilungatorio, il viaggio da Aden a Sana'a non dovesse finalmente riservarmi più niente di sorta, venuto già il tempo dei titoli di coda?

Ed invece... invece mi attendeva una proroga di thrilling e di autentico brivido, quando in taxi, all'altezza dell'ultimo passo prima della capitale, si scatenava di sera un autentico naufragio, il cui rovesciarsi scrosciante pregiudicava qualsiasi visibilità stradale.

Niente di drammaticamente ultra-allarmante, se nel proseguimento cionostante del viaggio nel fortunale , i tergicristallli del taxi avessero funzionato; ma i tergicristalli non funzionavano affatto, e purtuttavia il tassista, di vitalità corpulenta, non prendeva neanche in considerazione l'ipotesi di sostare ai margini, in attesa che il temporale non tardasse a cessare.

Così pertanto, in un silenzio in cui non fiatava più nessuno, e nel quale anche la audiocassetta zampillante le pimpanti note di euforiche canzoni arabe era stata zittita, il brav'uomo mentre con una mano imperterrito seguitava a guidare, con l'altra azionava il tergicristalli dinoccolato dal finestrino aperto, gli scrosci d'acqua che ne penetravano dentro e ci investivano tutti; di tanto in tanto, della sua braveria, pur trovando anche il modo di volgersi indietro per rincuorarmi, - io ero il solo straniero della compagnia-, ogni volta ripetendomi " Saddik...".

Mentre non v'era tornante, nelle tenebre fitte, donde i colossi dei camion d'improvviso non erompessero sventati all'istante, tra un lampeggiare di luci intermittenti e un dispiegarsi di clackson, che preannunciavano ingorghi e sinistri.

Ed una Toyota frontalmente distrutta, tra azzurre intermittenze e mani levate, vedevamo appunto schiantata di traverso qualche chilometro dopo.

Finalmente, nella piana in altura, l'asciutto e più nemmeno una goccia.      

" Saddik...", allo scarico di bagagli mi salutava il tassista.

Come a dirmi altresi:

" Te la sei vista brutta, vero, -  ma c'è chi ci sa fare, in tali circostanze, per buona fortuna di voi occidentali..."     

   

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Didascalia fotografia shiban

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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