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La Great Trunk Road metteva buonumore sotto il cielo piovorno , sotto i nuvoloni di pioggia alla cui insegna avevo lasciato il traffico fracido di Peshawar, i suoi bus sovraccarichi di sempre nuove fiumane di gente che si riversavano nei bazar. Mediante auto, autobus, autocarri, motorette, motocicli, carri, carretti, risciò, tra Peshawar, e Rawalpindi, un flusso ininterrotto di uomini e animali lungo la gran strada era in marcia verso una destinazione, di gran corsa, al piccolo trotto, in tutta l'animazione veloce che consentivano il mezzo e le forze. E tanta era la foga generale di essere e di rimettersi in marcia , che a Taxila con il piede non avevo ancora raggiunto terra, che l'autobus era già ripartitito, sicché mi sono ritrovato scaraventato ruzzoloni al suolo, come nel corso della più normale discesa precipitosa. Il museo osservava la chiusura dell' ora del pranzo, quando vi sono pervenuto su di un risciò, non mi restava che di inoltrarmi lungo la viottola alla sua destra fino al sito di Sirkap Oltre le mura, la seconda città fortificata di Taxila si distendeva
in conformità con l'ordine ortogonale ereditato dalle città ellenistiche,
il che avvenne quando
sulle sue alture, subentrando alla debellata dominazione Maurya, ne
trasposero l’insediamento urbano i Greci di Battriana,
rimastivi di stanza dopo il riflusso dell’ avanzata di
Alessandro il Grande. Tali sue vestigia supersiti in cui mi aggiravo, fascinato di ritrovarvi la ratio della polis greca
in quella che fu terra di antichi rajà, non
solo, dunque, non avevano nulla a che fare con l’irregolare villaggio di
Taxila in cui Alessandro entrò trionfalmente accolto dal rajà Ambhi,
venendo egli a diretto contatto
per la prima volta con il
mondo indiano, con i fachiri e gli ordinamenti consuetudinari dei suoi
orientamenti filosofico- religiosi- i pochi resti di tale città erano
sparsi nel sito di Bhir Mound,- ma
risalivano alle dominazioni
successive indoscitiche, indopartiche, e dei governanti Kushana, ( ossia
agli anni che intercorrono tra la metà del primo secolo a.C. e il
primo e il secondo secolo d. C.). Era emersa dagli scavi, in tali resti,
solo un'ottava parte dell' antica estensione della città, che a dire di
Filostrato, nella sua " Vita di Apollonio di Tiana",
eguagliava in grandezza quella di Ninive, ma lungo la sua arteria
principale, tra l’umidore dell' erba stillante di pioggia, tutta una
serie di stupe superstiti si susseguiva affascinante, a testimonianza
di come l'adesione alla fede nel Buddha si fosse trasmessa in Taxila dall’ una all’ altra
dominazione che vi subentrò, a iniziare dalla conversione originaria di Asoka, se non già di suo padre, quando, “ a presente e futura ignominia di ogni potenza, catturate e deportate centocinquantamila persone /uccise altre
centomila, e circa altrettante fatte perire, la compassione e il rimorso ebbero a suscitarGli Editti di pietà per ogni essere animato nella sua vita anelante,”
Una commistione e rifusione buddistica, inestricabile, di elementi architettonici indiani ed ellenistici, si era adempiuta in tali edifici di culto: una piccola stupa circolare, ch’era forse un edificio di culto privato, la stupa magnifica dell' aquila bicefala, che nei fregi ornamentali del suo basamento sintetizzava dei capitelli corinzi, e dei timpani greci, con archi ogivali e portali torana, il tempio absidale, la Jana stupa affiancata da colonnette d’ingresso persepolitane, -di matrice partico-iranica, pertanto,- mentre erano i basamenti di un monumento hindu, le fondazioni del tempio del sole La mancanza di energia elettrica non mi consentiva, quando vi facevo ritorno, che di vagheggiare le meraviglie scultoree e di oreficeria del Museo. L'ora tarda in cui ne uscivo, mi imponeva di affidarmi ad un giovane conducente di un risciò che mi si accostava , se prima del calare delle tenebre volevo raggiungere almeno i principali siti di Taxila che mi restavano ancora da vedere. Sceglievo di visitare almeno quello di Dharmarajka, in cui grandeggiava la stupa di Asoka, benché spoglia della doratura d’un tempo, dell’ ombrella settuplice in cui culminava,
e di terminare con le rovine del Tempio di Jandial, in cui reminiscenze architettoniche ellenistiche e culto solari zoroastriani si erano compiutamente armonizzati.
Dei capitelli ionici erano il residuo dell’ atrio di ingresso, che anziché ad un giro di colonne poneva capo a mura perimetrali aperte da finestre, intorno alla cella a cui dava adito. Nel corridoio che ancora fungeva
da deambulatorio tra le
murature esterne e la cella, una scalinata, sul
retro, dava
accesso a una piattaforma sopraelevata sulla cella, la breve spianata
essendo destinata presumibilmente a un culto solare. Il cielo era oscuro di nuvole e della caligine addensantesi della sera incipiente, quando ripartivo dal centro città di Taxila per Peshawar. Gli addetti dell' hotel Rose mi facevano ritrovare la mia biancheria fragrante di bucato e di stiratura, prima che nella sera mi avventurassi invano, nel bazar, per tentare di cibarmi in qualche ristorantino. Il mal di denti mi faceva ricusare tutto quanto potesse causare il minimo contatto tra i molari, per quanto mi tentassero i pollastrelli che dei cuochi erano intenti a cuocere nel bollore dei tandoor, oltre le vetrine dei ristoranti da cui mi invitavano allettanti.
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