Astarak 13 agosto 2001
E'
qui in Astarak che tutto ha avuto inizio, o che nulla
di quanto è accaduto avrebbe potuto succedere, all'
interminabile sosta in attesa dell'Icarus per Talin, Gyumri, in
cui credevo che il mio viaggio in Armenia si fosse
definitivamente arenato.
Già lo sconforto veniva
prevalendo, benché insieme con l'alloggio presso il convito
universitario al di là di Byurakan, solo da poche ore avessi
lasciato le care persone del suo direttore, della anziane
insegnante di Italiano, di Manouk e dei suoi amabili assistenti,
con il concorso della cui giovinezza avevo visitato la
fortezza di Amberd, mi ero esaltato a salire sull' Aragats.
Ma
è stato mio merito persistere nel mio intento, anche quando
sembrava solo un'ostinazione cieca, credere pur tuttavia in una
Sua provvidenza, quando solo pochi minuti prima che arrivasse per
davvero l'oramai inarrivabile Icarus, ho desistito dall' atto
rinunciatario di salire piuttosto sul pullman che era
sopraggiunto per la vicina Agsk, con il giovane uomo e la ragazza
francesi che mi avevano raggiunto alla fermata, ove già da ore
stazionavano insieme nella medesima impasse.
Quanto mai dovevo seguitare ad
attendere per vederlo apparire in arrivo da Erevan, ho chiesto
ancora una volta, dovevo forse aspettare fino alle tredici, alle
tredici e trenta, o non anche fino alle due, o alle due e trenta,
come mi era stato vaticinato che dovevo rassegnarmi ad attendere,
nel corso di una sosta che perdurava dalle 9,30 del mattino.
"Dovevo forse andare a
Talin?" Dal gruppo di chi sostava in attesa Lei si è allora
fatta avanti, a chiedermi, una donna sfiorita dagli anni nel suo
bel ruvido volto, facendomi intendere che vi era ugualmente
diretta, facendomi segno che mi ponessi al suo seguito.
Come le ho manifestato che oltre
a Talin volevo recarmi a Mastara, a Ereruk, mi ha fatto capire
che aveva già inteso il senso e l'interesse del mio viaggio.
Ero un archeologo? Lei era una
storica, e conosceva il modo come farmici arrivare.
Se non parlavo il russo, tanto
meno l'armeno, lei sapeva un po' di tedesco, che l'avrebbe
aiutata a capire il mio inglese.
Quando eccolo finalmente l'
Icarus, che sopraggiunge, su cui salgo con lei in coda a tutti
gli altri.
Ma dove eravamo, dove dopo un'ora
circa di viaggio mi ha detto che dovevamo scendere? Non poteva
essere certamente Talin un così piccolo, anonimo villaggio, di
un' Armenia inariditasi fino allo stremo di una gialla pietraia.
Ma lei, a cenni e a gesti, non
ammetteva altro che mi ponessi al suo seguito, con i miei bagagli.
E mi induceva a sostare di
fronte al monumento di chi era stato "unsere Garibaldi",
unificando all' Armenia il Karabak, mi conduceva davanti alla
scuola in cui insegnava, mi faceva entrare nella sua casa e
riporvi lo zaino nella sala che ne era il soggiorno, una vasta
sala che dava su un giardino ingiallito e polveroso,
gremita di cimeli e di libri nel suo mobilio stagionato.
Vi era già la giovane sposa di
uno dei suoi figli con un neonato piagnucoloso in grembo,
che da uno dei sofà mi si è levata incontro a salutarmi, prima
che una vecchia, la suocera, sopravvenisse dall' esterno,
precedendo delle donne del vicinato, delle bambine, un'inserviente
che si è posta al mio servizio, in virtù dell' evidente
ascendente che la donna, Stella, Astrik, come mi ha detto di
chiamarsi, doveva esercitare in quel villaggio.
Era stato il suo sposo, "
meiner mann", l' uomo di cui mi mostrava l'immagine con la
barba di quand'era un civile, il volto sbarbato nella posa della
fotografia ufficiale di quando aveva assunto la divisa militare,
combattendo e morendo nel Nagorni Karabak.
Dei fiori ne contornavano l'immagine
in un quadro, il berretto militare stava sul televisore
sottostante.
Suo marito era stato un
archeologo, prima di partire per il fronte, come mi dicevano non
solo le sue parole, ma altresì mi attestavano i libri e i cimeli
di cui erano stipate le teche della stanza.
Era stato in contatto con gli
insegnanti e gli archeologi più prestigiosi delle università
tedesche dell' ex-Germania orientali, con alcuni di loro aveva
condotto i suoi scavi nel territorio circostante, era diventato
un intellettuale illustre ed emerito presso le più eminenti
autorità armene di un passato prossimo politico, come mi
illustravano le tante fotografie che lei mi dispiegava, in cui
era possibile vederlo con gli uni o con gli altri, sui luoghi di
scavo o ad una premiazione, all' inaugurazione del monumento al
Garibaldi armeno.
Sono stato distolto da
quelle immagini per essere condotto all' esterno, dove in veranda
mi hanno fatto accomodare su di una sedia, in un catino la
vecchia inserviente mi ha versato l'acqua per la lavanda dei
piedi, offrendosi di lavare personalmente i miei panni sporchi,
all' atto di soffregarli con un immaginario sapone.
Dello
yogurth, un'insalata di
verdura, al rientro sono state le pietanze che mi hanno
rifocillato, tra un bicchierino e l'altro di cognac armeno.
Poi, prima o poi, ci saremmo
mossi per Talin , Mastara, Ereruk. Per questo occorreva che
potesse mettermi a disposizione una macchina, contribuendo con 20
dollari alle spese per la benzina. Accordatici all' istante,
Stella è passata a mostrarmi i libri devozionali del padre di
suo marito, una sua fotografia di combattente nell' esercito
ottomano.
Era originario della regione di
Van, dell' Armenia turca come lei seguitava a ripetermi, ogni
volta che localizzavo in Turchia una città od un edificio
religioso di cui mi mostrava le immagini.
Le ho chiesto che ne fosse stato
della sua famiglia, a seguito del genocidio del 1915.
Degli uomini del suo parentado,
mi ha trascritto i dati su un foglio, 65 erano stati sterminati,
solo due erano scampati.
Il mio pensiero è corso alla
giovane, allegra e cordiale, che in mattinata mi si era seduta
accanto sull' autobus
da Byurakan per Erevan: nel
terremoto dell'89, mi ha confidato, solo poco prima che scendessi,
aveva perduto entrambi i genitori.
Ed ho ripensato alla anziana
donna che insegna l' Italiano all' Università di Erevan: sua
madre era l'unica che fosse sopravvissuta, della sua famiglia, di
cui aveva assistito allo sterminio quando i suoi fratelli le
erano stati uccisi sotto gli occhi.
" E' meglio che tu muoia,
piuttosto che tu soffra ancora,- a sua madre bambina aveva detto
l'uomo che la veniva colpendo con il calcio del fucile, credendo
di averla uccisa quando aveva smesso di infierire.
Ma nelle parole, nel tono di
voce di Stella, non c'era alcun indulgere nell' ostilità
acrimoniosa espressa dalla vecchia professoressa, alcunché delle
sue parole di disgusto per la gente turca.
" Un popolo orribile,
orribile," a suo dire.
Eppure se la madre della
professoressa aveva potuto riparare in Bulgaria, dove lei era
nata, se era scampata alla furia che era allora passata di casa
in casa dove vivevano armeni, era avvenuto grazie a dei vicini
turchi che l'aveva travestita con gli abiti delle loro figlie.
Nelle parole di Stella non
esistevano invece che i fatti, che le realtà del passato e del
presente di cui mi esibiva i termini e le cifre: la Grande
Armenia di cui mi mostrava l'estensione perduta su dei libri
vetusti, le sue dodici capitali sino all' attuale Erevan, il
secolo esatto a cui risaliva ogni chiesa armena di cui appariva l'immagine
nei libri che mi sfogliava davanti.
Quei volumi erano il lascito
della passione e dell' attività archeologica del marito.
Di lui, " mein man",
come mi diceva, mi rammemorava gli scavi a cui aveva partecipato,
allorché ci imbattevamo nelle immagini dei siti archeologici che
aveva contribuito a portare alla luce.
Così libri ed opuscoli si
accumulavano sul tavolo, venivano riposti, a un bicchierino di
cognac ne seguiva un altro, più di un'ora era passata, senza che
vedessi prendere corpo quanto mi aveva ripromesso, e dato per
certo, circa la mia escursione a iniziare da Talin, scrivendone i
termini come di ogni altro discorso su un tovagliolo di
carta, in caratteri che difficoltosamente evolvevano dall' armeno
o dal cirillico in quelli occidentali.
Guardavo già sconfortato i
fiori del giardino, le piante di altee, le galline che venivano
alla finestra del soggiorno guardando dentro, cominciava a
pesarmi la generosità ospitale della donna, tanto più quanto
seguitava a venirmi elargita, senza che vedessi concretizzarsi ciò
per cui mi era stata ripromessa.
Con una cortesia che mentalmente
era oramai assente salutavo l'ingresso in stanza dei suoi figli,
Ashtots, un bell' uomo giovane, non fosse stato per il suo
aspetto incolto, proprio di chi è incurante e inconsapevole
della propria avvenenza, Vartan , in divisa e in servizio
militare di luogotenente, i cui marcati lineamenti mi erano
estranei.
Credevo a tal punto che ogni
termine di tempo possibile per quel giorno fosse stato già
superato, quando Stella, nel fare nuovamente rientro in soggiorno
da una delle sue uscite momentanee, mi ha fatto segno che si
poteva partire.
Sul retro della sua casa ci
siamo avviati verso l'auto che stava sopraggiungendo di un vicino,
la persona che finalmente aveva trovato disponibile a
trasportarmi,- ed insieme ad Ashtots, a Vartan, partivamo per
Talin con costui alla guida.
Non avevo considerato che in
virtù dell' ora solare che vige in Armenia, anche dopo le sette
di sera era possibile iniziare a intraprendere un'escursione,
Eravamo ancora in attesa dell'
auto in manovra, sullo sterrato, quando Stella si è volta
intorno, mi ha indicato l' intero villaggio, le montagne
circostanti, e mi ha detto con tono sconsolato: " No gut. No
gut. No fabrik. No arbeit".
Ci siamo fermati al forte
Zakaryas, prima di Talin, dove suo marito aveva sovrinteso gli
scavi, una prominenza difensiva originata dalla erosione di due
corsi d'acqua confluenti, come i siti di Garni, di Amberd.
Talin era un'uniformità desolante di casamenti e caserme nel volgere al tramonto di quel pomeriggio dilagante di sole, dopo il tempo incerto, qualche po' di pioggia, ancora uffici, reparti ambulatoriali, finché, oltre un cimitero, nello slargo si è stagliata grandiosa la sua cattedrale, del VII secolo, accanto la più piccola chiesa di Santa Mariam.
Chiesa di Santa Mariam in Talin |
cattedrale di Talin, VII secolo |
tamburo della cupola della cattedrale di Talin |
Non poteva forse bastare, la sua
vastità in cui ci aggiravamo, per la nostra escursione in
quello scorcio di giornata?
Non era così, l'auto ripartiva
per un sito fortificato -Dashtaden, forse il suo nome, a quanto
ricordo-, poco distante da Talin, nella campagna circostante,
dove sorgeva tra delle fattorie e i loro letamai, che ne
racchiudevano la vasta cinta di mura e di torri superstiti.
Nelle articolazioni superstiti
non c'era cuneo prominente che non precludesse più all'esterno a
una torre involvente, mi confermava il giro intorno alle mura, e
tanto poteva bastarmi di rilevare, nell' ora del tramonto che
arrossava le pietre fortificate,- ma Vartan e Ashtots insistevano
mio malgrado perché salissi a vedere ciò che v'era dove si
erano arrischiati ad arrampicarsi, saltando con agilità oltre un
vuoto sottostante, dall' uno all' altro dei pietrami franati di
due muri adiacenti.
La loro determinazione era ahimè
pari alla mia renitenza pavida, sicché sopraggiungevano da un
casolare vicino con una scala di legno, sulla quale non potevo più
esimermi dal salire.
Naturalmente non c'era alcunché
da vedere alla sommità di quelle rovine, se non in lontananza,
al limitare dell'orizzonte, una piccola antica chiesa che
segnalavo ai due fratelli.
Restava l'assillo di come
vincere la paura che mi atterriva, quando rivedevo in verticale
la scala lungo la quale dovevo discendere.
Nè l'uno nè l'altro dei
fratelli trovava motivo di sorriderne, Vartan provvedeva
piuttosto a sistemare la scala di traverso, sorreggendo con la
sua presa la mia mano mentre ne discendevo tremante.
Stella stava intanto
intrattenendosi con una donna più anziana di un casolare
limitrofo, doveva esserle assai familiare, la vecchia, se costei
cercava le sue parole di conforto per un dolore che in lei era
inconsolabile.
Era una sua cugina, mi è stato
detto in macchina, che aveva perduto un figlio quarantenne un
anno fa.
Quando lasciavamo il sito
fortificato la sera era già incombente, ma la vettura,
procedendo per i campi, anziché al rientro si avviava a
raggiungervi una meta ulteriore: la chiesetta stessa che avevo
visto all' orizzonte, per il solo fatto che avessi detto che mi
aveva incantato la sua umile parvenza fra i campi.
Benché fosse già così tardi,
era ancora aperta quando vi siamo giunti e siamo scesi all'
altezza della sua radura.
Nel suo semplice interno
lucevano inconsunte delle candele accese, sfavillavano ancora le
immagini devozionali, con di fronte dei fiori di campo e
delle bende votive.
Al loro cospetto, tutti quanti,
mi hanno preceduto segnandosi e sostando in raccoglimento.
Siamo rientrati che la sera era
oramai precipitata nel buio.
Stella aveva predisposto che
fosse pronta la cena, che fosse già allestito per me
un letto nella stanza di sopra, tra le cui coltri mi sono
addormentato come lei si è congedata con poche e brusche parole.
Il giorno seguente, con mia
sorpresa, Stella non sarebbe stata della compagnia che mi avrebbe
condotto a Mastara, a Ereruk.
Vartan era il sovrintendente del
viaggio, di cui non ho tardato molto a capire che conosceva
a malapena solo la strada, il taxi driver era stavolta un ragazzo
del villaggio dal volto inameno, del quale io soltanto, quando mi
è stato presentato nel suo impaccio evidente, non ho riso che
fosse stato chiamato a tale compito.
Anche Ashtots era parte della
comitiva.
All' esterno della casa, Stella
mi ha mostrato le due vetture della famiglia che erano divenute
inservibili al compito, perché, a quanto mi diceva, erano
divenute entrambe "Kaputt"
E' stato agevole il tratto di
strada fino a Mastara, alla sua grandiosa chiesa tra le fattorie
della città di provincia.
A rendermene animato il percorso
era solo l'atteggiamento divertito di ironia beffarda del giovane
alla guida della vettura, cui i due fratelli mi rincresceva che
non riuscissero a sottrarsi.
( Dalle note, sulla chiesa di
Mastara desumo questi appunti presi su dei fogli volanti : "
... Un tetraconco a pianta centrale volto in poliedri, con
incisioni intermedie triangolari, dei pentaedri le absidi, un
ottaedro il tamburo, i pentaedri absidali contrappuntati da dei
salienti(?) sporgenti in corrispondenza delle trombe, il che
animava la grevità altrimenti compatta delle masse murarie,
raccolte intorno alla grande cupola radiante in una luminosità
uniformemente diffusa all' interno-due finestre per ogni tromba,
una per abside, otto nel tamburo.)
cattedrale di S. Giovanni di Mastara, risalente a prima del 603, da Sud-Est |
cattedrale di Mastara, lato con pastophoria |
Segnandosi, e accendendo candele,
nella luminosità interna in cui si dilatava la cupola. E'
Ashtots che ho ritrovato di loro con me al piano superiore,
mentre il giovane taxista indugiava nel vano sottostante, a
intonarvi un canto liturgico per verificarne l'acustica.
Ma lasciata Mastara per Ereruk,
quella sua devozionalità infantile, senza parole, primordiale e
intensa come la durezza brutale scontrosa dei
suoi lineamenti, quando con la sua vettura egli ha
dovuto affrontare il lungo tratto accidentato di una pista
iniziale , ha ceduto alla più rabbiosa stizza, all'imprecazione,
per quanta era la benzina che veniva consumando in quel tragitto
dissestato, vanificando i margini del suo compenso.
Non mi era più incomprensibile
l' armeno in cui si esprimeva, battendo le mani sugli indicatori
del cruscotto, anche se facevo finta di non intendere niente di
alcunché.
E quando si è dato il passaggio
a un militare, sono riprese le loro battute ridanciane sul mio
conto, sulla loro missione, ma ad una sosta, in un villaggio,
anche costui mi è venuto incontro, e da un albero che sporgeva
dal giardino della casa dell' uomo al quale avevano chiesto di
bere, ha colto dei frutti e me li ha porto.
Il militare è sceso al villaggio successivo e noi abbiamo seguitato ancora a lungo, di villaggio in villaggio tra la vastità dei pascoli riarsi, gialli di stoppie, interrotti dalle mandrie nel via vai alla pastura, agli abbeveratoi, e sono apparse le postazioni di frontiera, i binari ferroviari di confine, il profilo della chiesa di Ereruk discosto dal villaggio.
Ereruk, basilica, V secolo, vista da Sud-Ovest |
La splendida basilica risalente al v secolo, nella sua mole in disparte, ad una prima visione mi è apparsa l' evocazione delle parti mancanti di quella siriaca di Qalb Lozeh, edificata prima del 469 d, C, ove nel frammento superstite della facciata, ch'era in posizione arretrata rispetto alle due torri laterali, in Ereruk le trifore sovrastano ancora l'arco d'ingresso che vi campeggia tra due arcate cieche, di preludio entrambe alle navatelle interne.
la basilica di Ereruk, vista da Sud-Ovest |
la basilica di Qalb Lozeh, lato Ovest |
nartece d'ingresso della chiesa di Qalb Lozeh, lato Ovest |
Già nel precedente villaggio ci
eravamo riforniti del cibo per pranzare all' aperto, che io avevo
voluto pagare anche per loro, ma mancava ancora il pane, e per
procurarselo Vartan e il giovane ch'era il conducente si sono
allontanati in macchina verso Ereruk.
Abbiamo pranzato all' ombra
della chiesa al loro rientro.
Tra noi si è allora manifestata
una tale allegria festosa, c'era uno stare così bene insieme,
che solo l'affiatamento raggiunto può consentire.
Nella calura divampante li ho
poi lasciati, intenti alla siesta, per aggirarmi nella bellezza
abbagliante delle rovine superstiti, in altra pietra di taglio di
quella delle basiliche siriache nordoccidentali, fra le quali da
quella di Qalb Lozeh, in particolare, si è presunto che gli
artefici abbiano desunto il modello dell' edificio, in un
tufo ocra che vi era variegato pittoricamente con il nero basalto.
Al limitare della prateria che
si stremava all' incontro con cielo e monti, i blocchi che ne
furono addizionati conformavano una mole che si sopraelevava su
una scalinata d'accesso templare, a internare più ancora in se,
nelle proprie torri frontali, i protiri, e le absidi, che invece
in Qalb Lozeh emergono volumetricamente.
In Ereruk le absidi figuravano infatti racchiuse nell'alta parete di fondo, i protiri entro la prospicienza delle colonne scomparse di due logge esterne, che si suppone fossero riservate a chi era ancora penitente, di cui erano un avamposto frontale le due torri laterali della facciata.
basilica di Ereruk, loggia esterna a Sud |
Basilica di Qalb Lozeh, lato sud |
L'interno splendido, infatti, come in Qalb Lozeh poneva termine alle navatelle in due sale adiacenti al catino dell' abside della navata,
l'interno della basilica di Ereruk con abside volta a Est |
Qalb lozeh, interno della basilica, con abside volta a Est |
Il tufo che ne era la materia, ugualmente accalorata, si veniva intanto accendendo di un colore uniformemente più fosco di quello del chiaro calcare del Jebel siriaco, solo che il sole si disvelasse da una delle nubi ch'erano di transito, ma non appariva così finemente intagliato, come in Qalb Lozeh, le modanature a forma di omega e i nastri delle finestre non ne ripetevano la continuità dinamica di bande, e le dentellature ad esse interne non ne avevano la bellezza d'intaglio, in Qalb Lozeh crepitante di luce fino a vibrarne all' acme.
|
||
basilica
di Ereruk, uno dei protiri al lato Sud
|
Ma per i miei giovani accompagnatori, quelle nude vestigia superstiti, spoglie a cielo aperto di ogni funzione religiosa o devozionale, non significavano niente che potesse indurli ad attendermi più di tanto, oltre l'ulteriore battuta e sigaretta.
I figli di Stella e il driver, presso la basilica di Ereruk, lato Nord |
E per lungo che fosse ancora il
pomeriggio davanti, nelle loro parole che mi sollecitavano a
risalire in macchina dalle rovine e gli sterpi, incombeva la
coincidenza con il sopraggiungere dell' Icarus da Giumry diretto
a Erevan, cui mi avrebbe riportato, al rientro nel loro villaggio.
Ma lasciata
Ereruk, per una più
agevole via di rientro a Talin, che stretta al cuore, nella mia
felicità in disparte, Ashtots, Vartan, l'altro giovane, vederli
sempre più euforici e sfrenati, senza più alcuna riserva nei
miei confronti, vedere come il compito che si errano assunti nei
miei riguardi, si era tramutato per loro nell' occasione di un'
indimenticabile giornata, che con poco più di venti dollari non
solo avevo consentito a me stesso di visitare le chiese di Talin, Mastara,
Ereruk, avevo fatto anche la loro felicità di giovani
uomini.
Al punto che Vartan mi ha
stretto la mano, le mie dita tra le sue, ed in un empito ho
capito che mi ha detto in armeno:
" E questa lo sai cos'è? E'
amicizia".
Al nostro rientro, quando
mancava ancora poco più di un'ora al passaggio dell' Icarus per Astarak, Erevan, Stella era già pronta ad attenderci.
Aveva preparato anche una cena,
che doveva rifocillarmi prima del tragitto verso la capitale
armena.
Ma per appetitosa che fosse, io
l'ho lasciata largamente nel piatto, impedito dalla commozione
che veniva sopravanzando.
Abbiamo seguitato a sfogliare
libri, a chiederci e fornirci informazioni sull'arte e la civiltà
degli armeni. Lei ha voluto vedere la mia guida, farmi ripetere
le parole italiane che corrispondevano a quelle armene che vi
figuravano.
In strada, mentre mi
accompagnava all' autobus, insieme con Vartan, ho cercato di
distogliere altrove il viso, quando le lacrime sono divenute un
pianto incontenibile.
Come se ne è resa conto, è
parsa stupefatta.
Che cosa accusavano le mie
lacrime?
Ho scosso il capo e ho volto lo
sguardo alla strada disastrata, al villaggio intorno.
Non mi ha taciuto di avere
compreso ogni cosa invece Vartan, toccandosi il cuore,
stringendomi le mani.
Restandomi vicino anche alla
fermata.
Se volevo fare rientro e restare
da loro anche quella sera, per partire l'indomani, non c'era
alcun problema.
Ma il mio diniego è stato
irremovibile, mentre il pianto venivo raffrenandolo.
Stella l'ho rivista ancora una
volta. E' apparsa a distanza, su di un'autovettura, da cui è
scesa per raccomandarsi al figlio senza volgermi uno sguardo.
Con gli altri congiunti e i
vicini che l'accompagnavano, ritornava sulla tomba del marito
anche quel sabato.
Verso
Astarak, ho ripensato a
quanto sia dura in Armenia la vita, da inaridire anche le ragioni
del pianto.