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2. L’indigenza ontologica dell’ uomo.

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Ya’aqov ben Hayyim Berab
Sefer zimrat ha-ares,
Refa’el Hayym d’Italia, 1745, Mantova
BCM,  103:IIA.24,c.(/1/)r

 

   L’ Appetito dell’ uomo, dal quale “segue  necessariamente ciò che serve alla sua conservazione”( Etica, II, 9 Scolio), già nello stesso sviluppo della sua determinazione dall’ interno implica necessariamente le sue relazioni con le cose esterne che lo modificano, e spesso ne mettono in pericolo l’ esistenza.
   Al commercio con le cose esterne  gli  uomini, già in se solo considerati, infatti non possono mai sottrarsi definitivamente, in quanto la loro stessa composizione interna ha un insuperabile bisogno di altri corpi per conservarsi, “ dai quali il Corpo umano è continuamente come rigenerato” ( Etica II, 13, Postulato IV).
   Questa indigenza ontologica dell’ individuo umano, già da sempre ne implica la stessa socialità , la necessità insuperabile di relazioni di mutuo soccorso con altri enti  della sua stessa natura:
“ Infatti, se gli uomini non si prestassero mutuo soccorso, mancherebbero loro sia il tempo sia la capacità di fare quanto è loro possibile ai fini del proprio sostentamento e della propria conservazione” ( Trattato teologico-politico V, pg 129 dell’ edizione italiana Einaudi, d’ora in poi ).
   Lo stesso stato di barbarie, pur in assenza di un ordinamento politico implica ugualmente una qualche mutua cooperazione ( ibidem).
   Nell’ ordine comune della Natura,  secondo una modalità generale delle relazioni tra gli enti, gli uomini possono tuttavia essere affetti soltanto dalle cose che hanno qualche cosa in comune con lui, mentre su di essi non possono agire gli enti la cui natura è del tutto diversa ( Etica, IV, 29).
   Gli enti che hanno qualcosa in comune con noi  sono buoni per noi nelle loro proprietà reali in cui concordano con la nostra  essenza, mentre possono essere per noi  cattivi,  contrariandola, solo in ciò che li differenzia ( Etica, IV, 30, 31).
   A differire, opponendoli reciprocamente,  sono dunque le rispettive modificazioni delle proprietà comuni degli enti che interagiscono     ( Etica, IV, 30).
   Le cose, pertanto, solo in ciò in cui differiscono da noi ci potranno essere contrarie; l’affermazione dell’ altro ente si fa allora la nostra negazione, in quanto ostacola, limita, o distrugge  la nostra potenza, se prevale nel rapporto di forza di un’ eventuale combinazione, oppure se riappropria esclusivamente di ciò che appetiamo, costringendoci a restarne separati ( Etica III, 5; IV, 30)

 

 

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