All’ Indice generale |
Desiderio di eternità e ribellismo cristiano |
Al Capitolo seguente :
Malcuth
o il reame. Millenarismo e
messianismo ai tempi di Spinoza
|
|||
Il desiderio già di un’ eternità in
vita , mediante l’autodeificazione, fino ad allora
non era stato soltanto
un’aspirazione occulta di ceti aristocratici e benestanti, o di
singoli intellettuali e di circoli e movimenti culturali elitari, ma,
soprattutto in Olanda e nei Paesi Bassi, come ad esempio tra gli
Anabattisti, si era espresso in una volontà ereticale d’eternità
immediata che si era diffusasi particolarmente tra le moltitudini più
oppresse, presso le quali aveva preso corpo un’ostilità all’
eternità differita che divulgavano le Chiese, fondata sulla
dissociazione tra la vita umana e l’ umana sopravvivenza, tra il mondo
terreno e il Reame del cielo, al
tempo stesso in cui tali moltitudini si erano estraniate o non avevano
avuto accesso alle idealità di una
propria sopravvivenza civile nei caratteri sociali delle loro
opere e del loro operare, che
Ai ceti proprietari ed intellettuali era
assicurata o promessa dal potere pubblico politico.
Tale desiderio d’eternità immediata
traeva le sue origini dall’ impossibilità o dall’ incapacità
del volgo a pensarsi in un futuro senza vie d’uscita dalla loro
miserevole condizione, e dalla rimozione della loro insuperabile
condizione temporale d’oppressione, mediante l’affermazione hic et
nunc, di un’eternità paradisiaca. In tal e eternarsi, in realtà,
gli uomini del volgo fissavano ed eternavano le emanazioni
desideranti del le generalità affettive immaginarie del
passato, tuttavia rivissute non già come passato, ma come ancora
presenti, come eterne, anziché temporali.
L’eternità immediata dell’
atemporalità in cui vivevano la liberazione dei desideri doveva
costituire, in una prospettiva chiliastica, l’avvento immediato del
Regno di Dio sulla terra, attuatesi nella liberazione dei propri impulsi
naturali, quali manifestazioni della volontà divina, presente in
noi come in ogni realtà vivente
Nel secolo precedente tale aspirazione,
diffusasi largamente nel Cristianesimo popolare, già aveva costretto Calvino a scendere in campo,
nel 1544, con il suo pamphlet “ Contre la secte phantastique et
furieuse des libertins qui se nomment spirituelz”, in cui attaccava
come “libertini”, un gruppo di sette, i Quintinisti, diffusosi
soprattutto nei Paesi Bassi, e che dal loro capo, Quintin, traevano nome[m1].
Un naturalismo panteistico che
identificava Dio e la Natura, la libertà ed il desiderio, la volontà
divina e gli appetiti naturali, era l’espressione ideale di questo
movimento, in cui si prolungava il ribellismo cristiano delle sette
medioevali come i “ fratelli
e le sorelle del libero spirito”, certi gruppi di begardi e di
beghine, i turlupini,gli apostolici del moto di fra Dolcino, gli “
homines intelligentiae”
scoperti a Bruxelles nel 1410, o gli amalriciani, ossia i seguaci di
Amalrico di Bene, la cui vita pubblica si svolse quasi
contemporaneamente all’ insegnamento ugualmente eversivo dell’
aristotelismo nuovo introdotto a Parigi da David di Dinant[m2].
Queste sette, così come i libertini,
sostenevano che in quanto che Dio è in tutte le cose, chiunque ne sia
consapevole non può più peccare se segue i suoi appetiti naturali.
“ Perciò chi riconosce che Dio opera in
lui non può più peccare”, sostenevano per l’appunto gli
amalriciani.
Per i libertini pertanto
il solo peccato possibile era il “ cuider”, l’illusione
della credenza nella contrapposizione del bene e del male di chi ignora l’essenza divina dell’
uomo, che si fonda sulla presunzione ch’egli possa agire
autonomamente. E’ la supposizione di poter agire male liberamente di
chi ha il senso del peccato, radicato nella opposizione stessa di bene e
di male, la cui acquisizione fu il vero peccato commesso da Adamo,
secondo il mito, mangiando il frutto dell’ albero della conoscenza[m3].
E sul senso del peccato della coscienza
colpevole di compiere il male, che per i libertini si fonda e si
legittima ogni autorità nel suo potere repressivo.
La libertà di spirito, l’impeccabilità
della deificazione, potevano pertanto essere acquisite
soltanto liberandosi all’ illusione del bene e del male, ossia
dalla presunzione di un agire umano autonomo e colpevole, raggiungendo,
al di là del bene e del male, della morale e degli orientamenti delle
leggi, lo “spiritus libertatis” di uno stato similare
all’originaria condizione adamitica, in cui il solo desiderio valga
come regola, senza
proibirsi più nulla, ma godendo in promiscuità il soddisfacimento
senza riserve dei piaceri sensuali.
Il naturalismo panteistico di queste sette
si manifestava nell’ amoralità di un
atteggiamento anti-nomistico, ostile all’ ordine sociale
vigente ed alle religioni positive, ed in uno spirito egualitario ed
antigerarchico, che rivendicava in
particolare una interpretazione soggettiva ed allegorica della Bibbia.
Così grandi moltitudini di poveri, di
mendicanti, e di disoccupati, “ liberati” dallo sviluppo economico,
sette di libertini e movimenti ribelli medioevali, nelle guise dell’
impeccabilità della presunta deificazione, storicamente
non solo si ribellavano
ad uno sfruttamento e ad un’oppressione senza vie d’uscita, ma
riflettevano, facevano propri e arrovesciavano i costumi di vita dei
ceti dominanti signorili, cui
pur restavano subalterni, rivolgendosi
nel proprio antinomismo contro lo stesso patto sociale costitutivo della
nuova società borghese[m4].
Espressione politica e letteraria di questa ribellione
antinomia erano, ad esempio, il mito di “Utopia” o dell’
“età dell’ oro2 dei “Melanconici”, e dei poeti bucolici, il
sogno di una riattualizzazione, con l’avvento del Regno di Dio, o
dell’ Età dello Spirito, - profetizzata dalle sette dei Libertini -,
“d’un tempo ove nessuna istituzione era necessaria”, come scrive
Spinoza nel Trattato
Teologico-Politico ( Trattato Teologico-Politico, 1, 1)
Spinoza nel Trattato Teologico Politico critica tale mito come
una Chimera, come nell’ Etica già lo aveva considerato
l’esaltazione regressiva d’una vita disagiata e rozza nello stato di
Natura, in cui verrebbero a mancare, in realtà, tutti i vantaggi sia
per il benessere temporaneo materiale, che per il perfezionamento del
Corpo e della Mente, che è la condizione imprescindibile per
l’acquisizione della salvezza della beatitudine intellettuale, che
offre invece lo Stato civile, con le sue leggi e le sue norme del Bene e
del Male ( Etica , IV, 35 Scolio)
Al Capitolo seguente :
Malcuth
o il reame. Millenarismo e
messianismo ai tempi di Spinoza
All’
Indice generale
[m1] Confronta Schneider 1970: capitolo II in particolare. [m2]Confronta Badaloni 1977.26 [m4] Vedasi in merito il saggio già citato di Nicola Badaloni.
|
Al Capitolo seguente :Malcuth o il reame. Millenarismo e messianismo ai tempi di Spinoza |