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"Che cosa possa il Corpo..." |
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Anche se nessuna conoscenza naturale potrà mai convincerci che certe cose possano essere dei mezzi di grazia, e che succedano fatti contrari all' ordine delle cause naturali, resta vero però che per Spinoza, come testimoniano l'Epistolario e certi stupefacenti Scoli dell' Ethica, da sempre si verificano prodigi e si realizzano guarigioni, o sono messe in atto attitudini fisiche e mentali ,che trascendono la nostra potenza in atto nell' appetito cosciente di sé, delle quali i principi noti del tempo non sono in grado di spiegare le cause naturali, mediante una deduzione genetica del loro operarsi che demolirebbe le speculazioni filosofiche che vengono imbastite sulle rappresentazioni fantastiche che gli uomini se ne fanno: presagi reali ( Lettere 17 e 58), apparizioni immaginarie di fantasmi, per non parlare dei poteri inconsci della natura umana, di cui non sia ancora possibile una comprensione intellettuale; " Nessuno infatti ha sinora determinato che cosa possa il Corpo, ciò l'esperienza sinora non ha insegnato a nessuno che cosa, per le sole leggi ella natura considerata solo in quanto corporea, il Corpo possa e che cosa non possa se non sia determinato dalla Mente. Nessuno infatti conosce sinora la struttura del Corpo così esattamente da poterne spiegare tutte le funzioni, per tacere ora che molte cose si osservano nei Bruti le quali oltrepassano di gran lunga la sagacia umana, e che moltissime cose i sonnambuli fanno durante il sonno che non oserebbero fare durante la veglia. Il che mostra abbastanza che il corpo, per le sole leggi della sua Natura, può molte cose che suscitano la meraviglia della sua mente"( Ethica III, 2 Scolio). La consapevolezza dello scarto tra la potenza della natura e la conoscenza intellettuale che ne abbiamo ( cfr. la Lettera 77), è tanto più acuta in Spinoza, quanto più egli pensa ponendosi al limite delle possibilità conoscitive nel contesto della cultura del suo Tempo, se nella Lettera 17, nello sforzo di spiegare, per mezzo del processo dell' identificazione con l'altro che ci ama, in ciò che ha in comune con noi, come l' anima di un padre possa partecipare all' essenza ideale del figlio, alle sue affezioni ed alle loro conseguenze, - che nel caso i esame sono la morte stessa del bambino, che causa nel padre l'immaginazione dei gemiti del figlio, ancora sano, Spinoza pone il problema della comunicazione degli inconsci. Nella sua corrispondenza successiva con Boxel, in merito all' esistenza dei fantasmi ( Lettere 51- 56), la ridicolizzazione feroce delle credenze "che esistano spiriti di tutti i generi eccetto che femminile", è parte, del resto, di una presa di posizione che mentre nega recisamente l'esistenza di fantasmi, le storie intorno ai quali si inventano.. per giustificare ai propri occhi il terrore che si ha dei sogni e delle visini, o anche per rafforzare in se stessi l'ardire, la fede e la convinzione" ( Lettera 52), non esclude tuttavia che vi siano cause esterne delle rappresentazioni dei fantasmi, che non si risolvono solo in una finzione immaginaria delirante , in corrispondenza di affezioni intra organiche che alterano il Corpo: " Di fatto si conclude che qualcosa vi è ma. nessuno sa che cosa essa sia, e se i filosofi vogliono chiamare spettri le cose che ignoriamo, io non avrò nulla in contrario, perché vi è un'infinità di cose che mi sino nascoste" ( Lettera 52) Lo scarto tra la potenza naturale e la conoscenza intellettuale che la concepisce gioca ovviamente a favore della Superstizione, che è così nemica della ragione, talmente avida di ritrovare sempre nuove cose inusitate ed incomprensibili, che - scrive Spinoza a Boxel-, pur di togliere credito ai filosofi, presta fede alle streghe".
Ma allorchè, per miracolo, i Superstiziosi non intendono più soltanto un fatto incomprensibile, bensì un evento che distrugge od interrompe l'ordine naturale, per Spinoza una simile forma miracolistica di Superstizione non comporta più soltanto una riduzione della fede ad ignoranza, ma un vero e proprio accreditamento come fosse una forma di fede zelante dell' ateismo. Atei, infatti, a suo giudizio non sono soltanto coloro che negano l'esistenza di Dio, ma anche quanti ne hanno un'idea falsa, che li oppone alla nozione adeguata della Sua natura e perfezione. Giacchè la potenza divina è la potenza stessa della Natura, se una forza qualsiasi potesse operare contro natura, risulterebbe contraria ai principi stessi che affermano la potenza assoluta dell' essenza assolutamente infinita di Dio, cioè la Natura, dai quali va necessariamente dedotta la sua esistenza, "sicché, se potessimo pensare che in natura alcunché possa verificarsi ad opera di una potenza qualsiasi che ripugnasse alla natura stessa, ciò ripugnerebbe a queste prime nozioni; e quindi, o il caso va escluso come assurdo, oppure si dovrà dubitare delle prime nozioni e di ogni cosa comunque percepita,... Perciò, se avvenisse in natura alcunché che non seguisse le leggi, ciò ripugnerebbe necessariamente all'ordine eterno stabilito da Dio nella natura mediante l'istituzione delle sue leggi universali, e sarebbe quindi una cosa contraria alla natura e alle sue leggi, e ammettere la sua possibilità vorrebbe dire, di conseguenza , dubitare di tutto e finire nell' ateismo" ( Trattato Teologico Politico , VI, pagg, 155 e 157). La Superstizione miracolistica può essere pertanto considerata l'ateismo della plebe e del volgo ignorante. In luogo dell'idea della divinità come di una sostanza che esiste e che agisce sempre con la stessa necessità, senza principi e senza fini, nelle meni credule si forma l'opinione che il mondo da Dio sia stato fatto a caso, per opera ripetuta di interventi miracolistici, nel senso " che Dio nel creare il mondo avesse un disegno prestabilito e che poi trasgredisse quel che aveva decretato" ( dalla Lettera 56, confronta anche la lettera 54) " Purtroppo, anzi, -scrive nel secondo capitolo del Trattato Teologico Politico- le cose sono giunte a tal punto, che coloro i quali confessano apertamente di non avere l'idea di Dio e di non conoscerlo se non attraverso le cose create, delle quali ignorano le cause, non si vergognano di accusare i filosofi di ateismo". L'ateismo che nega l'esistenza di Dio è invece per Spinoza la filosofia del godimento propria dei ceti aristocratici libertini. All' accusa di ateismo mossagli da Lamberto de Welthuysen, nella Lettera 42, Spinoza così replica: "Egli comincia con il dire che poco gli importa di che razza io sia e quale sia il mio tenore di vita. Che se l'avesse saputo, non si sarebbe facilmente convinto che io insegni l'ateismo, giacché gli atei sogliono aspirare oltre misura agli onori e alle ricchezze che io ho sempre disprezzato, come anno tutti coloro che mi conoscono". Quindi, per aprirsi l'adito al punto a cui vuole arrivare, dice che io sono di ingegno apprezzabile, per poter così più facilmente insinuare che io con abile astuzia e con cattiva intenzione ho parlato a favore della pessima causa dei deisti". Come risulta dal passo della Lettera (42) del Welthuysen cui Spinoza fa riferimento, i "pessimi deisti" sono la setta dei libertini diffusasi nella prima metà del Seicento, particolarmente in Francia. Contro di essi aveva già polemizzato Marino Mersenne,
nell' ambito di un esteso commento in latino alla "Genesi", del 1623 , e nel 1624, attaccando " L''antibigot", poema didascalico di 106 quartine , meglio conosciuto come " Les quatrins du Deiste", con una confutazione sistematica in due volumi, " L'impietès des deistes et des plus subtils libertins. découverte et réfutée par raisons de théologie et de philosophie". In tale opera i libertini erano riprovati in quanto persone stravaganti e sregolate, isolatesi arbitrariamente dagli altri, che si affidavano eminentemente ai sensi, nella loro condotta di vita e nella acquisizione della conoscenza. Essi negavano l'esistenza di una eeligione vera rivelata, vivendo solo di piaceri e di curiosità , in cui erano animati da un atteggiamento mentale di diffuso scetticismo e relativismo, che seguitava la tradizione eterodossa di Charron e di Montaigne. (Schneider 1970, 218-23) Spinoza rifiuta pertanto di essere considerato ateo, i nquanto la sua filosofia non è la filosofia del godimento dei ceti aristocratici libertini, secondo come costoro venivano rappresentati dalla pubblica opinione, perduti nella ricerca smisurata, fine a se stessa, dei beni materiali della vita umana e della pura erudizione, in realtà degli ignoranti in quanto che vivevano nella sola mentalità dell' immaginario ed erano dei morti alla vera vita di chi acquisisce la potenza assoluta di agire, costituita dalla conoscenza e dall' amore intellettuale di Dio, che ci fa partecipi attivamente della sostanza di tutte le cose, nell' amore che suscita la generosità di comunicare la gioia della verità conseguita, affinché sempre più uomini godano anch'essi di questo sommo bene, che è un bene comune del quale ciascuno può godere, e tanto più ne gode quanto più ne godono anche gli altri, elevandosi alla vera vita dei rapporti umani di cooperazione, animati da una conoscenza superiore alla ricerca egoistica del piacere, che è propria di tutti quanti appetiscono un potere solo relativo, unilateralmente esercitato sugli altri " La somma legge divina, dunque, e il suo massi mo comandamento, è amare Dio come il sommo bene, cioè, come abbiamo già detto, non per il timore di qualche castigo o pena, nè per amore di altra cosa di cui desideriamo dilettarci: giacché l'idea di Dio prescrive che Dio è il nostro sommo bene e cioè che la sua conoscenza e il suo amore sono il fine ultimo al quale vanno dirette tutte le nostre azioni. L'uomo carnale tuttavia non può intendere queste cose che a lui sembrano vane, perché ha di Dio una conoscenza troppo scarna e perché in questo sommo bene non trova nulla che egli possa palpare , mangiare o che affetti la carne, dalla quale sopratutto trae diletto, trattandosi di un bene che consiste nella sola speculazione e nella pura intelligenza"( Trattato Teologico POlitico, IV) Spinoza, in realtà, intende vivamente scagionarsi dall' accusa di essere un uomo carnale " ateo", per debellare l'atteggiamento ostile del volgo, aizzato contro di lui dai teologi, dipingendolo come un filosofo aristocratico e libertino ed evitare di perdere influenza presso le autorità repubblicane d'Olanda, tanto che le ragioni che lo hanno indotto a scrivere il Trattato, comunica a Oldemburg nella Lettera 30, è "l'opinione che di me ha il volgo, il quale non cessa di dipingermi come ateo, onde pure mi vedo costretto a rintuzzarla per quanto mi è possibile". Superstizione del volgo oppresso e miracolistico, che di Dio ignora la vera natura di sostanza necessita e necessitante, ed ateismo aristocratico libertino, che di Dio nega l'esistenza, sono in realtà le espressioni immaginarie di uno stesso rapporto di forza sociale, che rende gli oppressi degli schiavi inutili a se stessi.
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