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Turfan, 17 luglio
2004, 2aparte
I
n Turfan, quella stessa sera, quando vi sono uscito per strada una
volta che mi sono sistemato in albergo e vi ho riordinato lo zaino, solo al
termine del viale dell' uva, tralicciato di viti, ho trovato l'accesso alla città vecchia.
Un
muro continuo ne unificava le case,
lungo
una strada sterrata e polverosa su cui si aprivano le porte d'accesso ai
cortili interni,
ornamentate da trame crociate e sporti di dadi. I cortili interni erano coperti da soffitti lignei che
poggiavano su dei fusti di tronchi d'albero, al centro, coadiuvati da fiancate di
pilastri ai muri contigui. Soprattutto le donne, e gli
anziani, stando su delle lettiere cercavano
nella conversazione un sollievo dalla calura opprimente.
Mi incuriosiva, in particolar
modo, che cosa mai costituissero gli enormi vani le cui superficie
erano reticolate da delle aperture, i quali formavano le sommità delle case o figuravano come degli edifici a se stanti. Mi avevano incuriosito anche in ragione della loro somiglianza con
le torri di ventilazione delle case in Yazd e in Kerman, nell' Iran
sud orientale. Sia pure a stento, un ragazzo che si era interessato al mio
divagare, è riuscito a spiegarmi a che cosa servissero: si, pur
sempre per la ventilazione, ma al fine di aerare l'uva che vi veniva messa
a seccare.
'E l'uva fruttificava,
regina, ove la strada finiva nei percorsi tra i coltivi, come ai tempi di Marco
Polo in queste e nelle fruttuose contrade di Jarcan e di Kotan, lungo il
percorso meridionale della Via della seta, nel regno di
Cascar.
Inoltrandomi tra i vigneti, mi sono insinuato lungo le
condutture ed oltre le chiuse d'acqua delle irrigazioni, i karez che
irroravano un suolo votato altrimenti all' aridità del deserto,
inerpicandomi tra delle rovine ridotte a cretti, le vestigia o mura di chissà
quali mai remoti insediamenti, nel tentativo, mentre l' oscurità era incombente, di cercare un varco, invano, verso la moschea Sugong
e il minareto di Emin.
Ma anche se l'accesso
me ne era precluso, la vista a distanza mi evocava una singolare e
fascinosa armonia tra i due edifici, in cui il minareto nelle sue forme organiche di
serico bozzolo, o bombice, di ogiva digitaliforme, si conciliava con le spoglie volumetrie
della moschea, che lasciava presagire lo svecchiamento di un restauro recente.
Ripercorrendo la stessa via,
al rientro trovavo ancora aperta la più vasta delle moschee: lungo un vialetto
assiepato, immersi nell' ombra notturna. due anziani si avviavano in turbante, e tuniche bianche, verso la sala di preghiera all' aperto, che dava sulla sola cornice muraria integrale del mirhab.
L'indomani, ossia ieri l'altro, ho presunto di potermi cimentare nell'impresa di visitare i siti archeologici circostanti, Gaochang, Bezeklik, nella direzione opposta la più vicina Jiaohé, affrontando
la torrida calura desertica di Turfan con l'armamentario di una bicicletta cinese in noleggio, senza alcun training preliminare. Disdegnando, con alterigia sprezzante, qualsiasi procacciamento di un tour organizzato.
Mi sono ritrovato così con le forze stremate
in capo al percorso di solo sette chilometri, lungo i quali avevo sospinto quel catorcio per un percorso sbagliato tra i vigneti, come mi ammaestravano i volti compassionevoli
o bruti, ugualmente perplessi, dei nativi ai quali chiedevo un ragguaglio.
Uno di loro mi ha invitato a raccogliere lo
zaino che stavo tralasciando alle mie spalle lungo la strada, quando nello stravolgimento del mio smarrimento
ho iniziato a intraprendere la via del ritorno in senso inverso .
Fino a Turfan mi toccava ora di ripercorrere tutto il tragitto in falsopiano, chiedendo di ridarmi ogni mia forza perduta alle bibite, l'una più stomachevole dell' altra, a cui mi rimettevo ad ogni banco
freezer che mi appariva lungo la strada, all' altezza di officine e di rivendite.
Infuocato dal calore, ero un colatoio di sudore a fuoriuscita continua,
mentre mi dissetavo nell' antro saturo di morchia e di benzene dell' officina meccanica retrostante l'ultimo refrigeratore ai margini della strada, dentro la cui atrocità soffocante la donna che lo gestiva non riusciva a capire perché non riuscissi a sostarvi.
Di ritorno in hotel, benché una doccia mi avesse
ritonificato, non abbandonavo il letto per tutto il tempo durante il quale traverso il deserto,
anziché tra i trascorsi vigneti, nel solleone del mezzogiorno addirittura avrei dovuto essere
già pervenuto a Gaochang, ad
oltre quaranta chilometri di distanza .
Vi sono rimasto disteso finché non ho creduto di avere recuperato le energie indispensabili per rimediare almeno l'escursione in bicicletta fino alle più vicine rovine di Jiaohé.
Ma non pareva del mio stesso avviso il mio addome,
se non era soltanto perchè fossi stato attratto dalla pregevolezza esteriore
dell'edificio, che mi arrestavo alla piccola moschea di Turfan situata dove termina a occidente il centro moderno della
città,
e tornavano a riapparire gli edifici tradizionali uyghuri, piegato in due da dei dolori ventrali insopportabili.
Per mia buona sorte, l'imam ed il suo assistente non erano ancora rientrati nello loro case, per il riposo pomeridiano, e mi aprivano
cordialmente l'adito alla moschea: ove mi è bastato distendermi sul tappeto della sala di preghiera, sorbire l'acqua di pozzo che mi era porta alle labbra in una ciotola, per trarne lenimento e sollievo.
Risaliva al 1913 l'edificio, come recitava una scritta che mi mostrava l'assistente
" Muslim?"
" No, cristiano".
IL che non credevo che per loro dovesse
costituire un problema, se come mostravo all'imam, che annuiva, figuravano i nomi
anche per lui reverenziali di Abramo, e di Mosé, nella Bibbia
appresso che gli porgevo da sfogliare.
Mi sorprendeva piuttosto quanta vanità sollecitasse in lui la mia fotocamera, lo schermo a cristalli liquidi in cui in una sintesi del mio viaggio, fino a quel punto,
gli mostravo le immagini degli altri luoghi di culti in cui ero stato, delle
civiltà religiose di cui avevo indagato i reperti: nulla da eccepire alla vista dell' interno della cattedrale ortodossa di
Alma Aty, mentre un evidente fastidio, se non un certo ribrezzo, è
trapelato nel suo assistente, quando è apparsa l'immagine del Buddha di Fayaztepe.
L'Imam insisteva a tal punto, all' unisono con
l' aiutante, perchè fotografassi la moschea nei suoi vari aspetti,
l'interno l'igneo, la cupola da cui la sala da preghiera traeva luce,
non che lui stesso, di fronte al minbar con indosso il suo vestimento maestatico.
Come
se ne è abbigliato, Abbigliatosi egli del quale, il suo volto di vecchio sdentato e bonario
ha assunto, assumeva d'un
tratto, quant' è la severità austera che la mansione impone.Terminata la visita, e l'udienza, egli mi
accompagnava in bicicletta lungo la via per Jiaohé, fino alla svolta verso la sua dimora.
Poco oltre, uno dei bimbi per strada, che sguazzava nudo nelle canalizzazioni lungo la carreggiata dissestata, tra le mani del padre, mi calamitava nella sua bellezza
gioiosa .
Non una brezza che attenuasse la morsa
solare, tra i filari che affiancavano tutto il percorso fino alla
discesa finale, ove tra la confluenza di due fiumi sorgeva l'acrocoro
disseminato delle rovine di Jiaohé. Le falesie i cui bordi dirupavano nel
letto dei due rivi,
il
deserto al di là del loro corso, erano la difesa naturale di tale
antichissimo avamposto militare Han, la cui attestazione remota ha fornito
agli Han una giustificazione della loro posizione predominante nello
Xinjiang.
Ciò
spiegava, forse, perché la vastità dell' estensione delle
rovine, benché fossero ridotte per lo più ad apparenti concrezioni del
suolo, che solo a tratti rivelavano filari di pietra in terra cruda,
fosse accudita con una cura particolare della loro salvaguardia.
Vi
si potevano ripercorrere i tracciati delle vie principali, dalla porta Sud,
passando a lato dell' ammasso della Torre dell' acqua,
volgendo
per un breve tratto verso la porta Est,
risalendo, a Nord,
fino ai resti cospicui di una pagoda e
di un tempio buddista,.
Un
portale d'accesso dava adito al cortile, al cui interno sussistevano
le sole basi delle torri del tamburo e della campana, davanti al recinto
ulteriore che includeva una stupa.
Nemmeno
il volgere alla sera mitigava l'afa, ero io, invece, ad essermi
smorzato nella mia pretenziosità, e ad essermi predisposto ad
accettare l'indomani il compromesso di visitare con un minibus le rovine di Gaochang, le sepolture di Astana e le pitture delle grotte di
Bezekilik, co0me è accaduto in compagnia di una ragazza e di un ragazzo taiwanesi
continua |
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