La conservazione del Potere e l' incostanza della Superstizione |
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Sintesi La stessa impotenza irriducibile del volgo, da cui è alimentata la sua Superstizione continua, mutevole e incostante come tutte le immaginazioni e le insocievoli passioni in cui consiste ( TTP, Prefazione, pg.3, Ethica IV 58 Sc.) , ora lo determina , nelle difficoltà, ad affidare il potere a capi carismatici emergenti, ora ne origina l'insoddisfazione e l incostanza nell'obbedienza, sicché la conservazione e la riproduzione per mezzo della Superstizione del potere politico, diventa la difficoltà maggiore della prassi politica dei Principi. Se nell'antichità, come nei casi di Augusto e di Alessandro, invalse la sacralizzazione del politico, e i sovrani inculcarono la persuasione di avere derivato la propria stirpe dagli Dei immortali, e facendosi adorare come dei dai loro sudditi, ridotti al rango di schiavi, ( ( Ethica, III, 55, Sc. E Sc alla Dim. Del Coroll, Ttp, XVIII, pg.416, Prefazione pg. 3 ove ci si riferisce a Curzio Rufo, TTP XVII, pg.417) e nel Medioevo la finzione dell'investitura divina diretta della maestà reale, anziché dalla serie infinita delle cause agenti( inclusa la coazione all'obbedienza dei propri sudditi. ( Ttp., XVII, pg.417), ora la somma potestà sovrana si garantisce la fedeltà del volgo spontaneamente superstizioso servendosi degli apparati di culto eterogeneo che le preesistono, sostenendoli come propri presupposti, nel dominio che esercitano sul volgo superstizioso.( TTP Prefazione, pg. 3). In tal modo le somme potestà tendono a rafforzare gli apparati di culto conformi allo sforzo di autoconservarsi della loro sovranità, subordinando alla sua riaffermazione tanto la Superstizione del volgo che l'ambizione del clero.
Se per le autorità private può non riservare soverchie difficoltà conquistare il potere politico mediante la Superstizione che domina il volgo, ricorrendovi successivamente è invece estremamente difficile conservarlo. La Superstizione è infatti mutevole ed incostante, come tutte le immaginazioni e le insocievoli passioni su cui si regge " Segue infatti che essa deve essere del tutto mutevole e incostante come tutte le finzioni mentali e gli impeti del furore, e infine che non può reggersi se non sulla speranza, sull'odio, sull'ira e sulla frode, dal momento che non dalla ragione ha origine, ma dalla passione, anzi dalle più irruente delle passioni" ( Trattato Teologico-Politico, Prefazione, pg.3) Il volgo infatti è mutevole e incostante, perciò se la reputazione non è conservata, presto svanisce; anzi, poiché tutti desiderano accaparrarsi gli applausi del volgo, facilmente ciascuno soffoca la riputazione d'un altro; e poiché si contende intorno a ciò che è stimato il sommo bene, da ciò nasce un'enorme sete di opprimersi a vicenda in qualunque modo, e chi alla fine riesce vincitore, si gloria più di aver nociuto agli altri, che di aver giovato a se stesso. Questa gloria, dunque, ossia questa soddisfazione è veramente vana, perché è inconsistente" ( Ethica, IV, 58, Scolio) La Superstizione spontanea del volgo muta nel suo genere altrettanto quanto è persistente la miseria del volgo cui ha origine, e che perennemente la perpetua, determinando sempre nuove aspettative illusorie, suscitate dalle stesse passioni, nelle mutate circostanze, e consente soltanto una " insottomessa sottomissione" del volgo, che dà luogo a una lotta interminabile tra coloro che aspirano ad ottenerne l'attribuzione di onore e di potere, con successi che per lo più sono incerti e precari, "Quanto è facile, perciò, che gli uomini si lascino indurre in ogni genere di Superstizione, altrettanto è difficile che essi persistano in un unico e medesimo genere. Al contrario, poiché il volgo non si sottrae mai al suo stato di miseria, proprio per questo non sta mai a lungo in quiete, e nulla ama più di ciò che è nuovo e che non l'ha ancora deluso; incostanza, che già fu causa di innumerevoli agitazioni e di guerre atroci;..." ( Trattato Teologico-Politico, p.3) La stessa impotenza irriducibile del volgo, da cui nè è alimentata la Superstizione continua, che nelle situazioni critiche e difficoltose lo determina ad affidare il potere a figure di capi carismatici emergenti, è altresì' l'origine della sua successiva insoddisfazione e della sua stessa incostanza nell'obbedire, sicché la conservazione per mezzo della Superstizione del potere politico diventa la difficoltà maggiore della politica . Le forme di Superstizione alle quali le supreme autorità ricorrono per conservarsi, variano con il variare della natura dei loro regimi, quanto con il variare dei rapporti di subordinazione e delle condizioni di esistenza della natura dei loro sudditi che è comune a ogni uomo Così nell'antichità, " poiché gli uomini non accettano di essere governati dai loro simili", mentre se " noi veneriamo un uomo perchè ne ammiriamo la prudenza, la fortezza, ecc., questa venerazione ha luogo (...) in quanto (perché) immaginiamo che queste virtù gli appartengono in modo singolare e non siano comuni alla nostra natura, sicché (e perciò) non gliele invidiamo più di quel che invidiamo agli alberi la loro altezza, e ai leoni la loro forza, ecc." ( Ethica III, 55, Scolio e Scolio alla Dimostrazione del Corollario), i sovrani pagani, per conservare il potere usurpato e frenare l incostanza del volgo, servendosi della sua stessa Superstizione, si attribuirono o si fecero attribuire una natura superiore a quella comune, che suscitava venerazione senza indurre all'odio e all'invidia, che si provano per coloro che riteniamo del tutto simili a noi eccettuata la fortuna che li ha favoriti, e si fecero sovente adorare come degli dei dai loro sudditi, ricorrendo all'impostura di una simulazione consapevole. I sudditi, come per quasi tutti i governanti, costituivano per loro una minaccia assai più grave degli stesi nemici ( Trattato teologico Politico, XVII, pg.415), una constatazione che Spinoza aveva potuto trarre, oltreché dall'esperienza e dalla storia, quale lettore di Machiavelli, per cui soprattutto i re che anticamente usurpavano il trono, per garantirsi l'incolumità cercavano di persuadere i popoli che la propria stirpe derivasse dagli dei immortali, stimando che se i sudditi e tutti i loro contemporanei li avessero reputati non come uguali ma come Dei volentieri si sarebbero lasciati da essi governare e facilmente si sarebbero a loro sottomessi" ( Trattato Teologico-Politico, XVIII, pg.416). Tale fu il caso, nell'antichità, di Augusto
e di Alessandro,
il quale, " non per superbia, ma per prudenza", si fece credere figlio di Giove: L'incostanza del volgo superstizioso non può tuttavia essere dominata a lungo con tali simulazioni fantastiche: il culto della personalità deificata può sempre rovesciarsi, e sovente assai repentinamente, nell'esecrazione e nell'abominazione generale del despota, già incensato ed idolatrato: "Infatti, come si rileva dalle cose or ora dette e come osserva molto bene anche lo stesso Curzio( IV, 10), nulla riesce più della superstizione a dominare la moltitudine ( Nihhil efficacius multitudinem regit quam Superstitio), onde avviene che queste siano facilmente indotte, col pretesto della religione, ora ad adorare come Dei i loro re, ora a esecrarli e detestarli come una peste comune del genere umano" ( Trattato Teologico-Politico, Prefazione pg.3) Solo degli uomini rozzi possono credere a tali simulazioni, delle quali era difficile persuadere gli stessi Macedoni che erano sudditi di Alessandro: "Ma i Macedoni erano troppo furbi; e se gli uomini non sono del tutto primitivi, non si lasciano così apertamente ingannare e convertire da sudditi in schiavi inutili a se stessi" ( Trattato Teologico-Politico XVII, pg.417). Per Spinoza, invece, presso le popolazioni stesse incivilite dei suoi tempi, può più facilmente essere diffusa la simulazione, di cui si avvalgono le monarchie feudali, della investitura divina diretta della maestà reale, che le origini del potere sovrano non stiano nella serie infinita delle cause agenti, inclusa, non ultima, la coazione all'obbedienza dei loro sudditi, ma che siano riposte in un atto immediato della Provvidenza divina. "Altri invece hanno potuto più facilmente diffondere la convinzione che la Maestà è sacra, che fa in terra le veci di Dio e che non è costituita dal suffragio e dal consenso degli uomini, ma è conservata e difesa da un atto singolare della provvidenza e dell'aiuto di Dio".( Trattato Teologico-Politico, XVII, pg.417) Ma più ancora che mediante le sacralizzazioni del politico, quali l'impostura dell'autodeificazione dei sovrani dell'antichità o dell'investitura divina diretta delle monarchie feudali, la somma potestà sovrana può garantirsi la fedeltà del volgo spontaneamente superstizioso servendosi degli apparati di culto delle religioni che le preesistono, a sua volta sostenendoli e favorendoli quali propri presupposti, integrati e unificati, se si uniformano ai suoi voleri, nel dominio che esercitano sul volgo superstizioso. " Allo scopo di evitare questo inconveniente- osserva Spinoza, riferendosi all'incostanza del volgo, laddove la sacralizzazione del potere politico è in balia dell'indisciplina religiosa della moltitudine- si pose un grande studio nel corredare sia la vera sia la falsa religione di un culto e di un apparato tali da farla ritenere sempre più importante e da imporne a tutti la massima osservanza" ( Trattato Teologico-Politico, Prefazione, pg.3). In tal modo le somme potestà tendono a rafforzare gli apparati di culto conformi allo sforzo di autoconservarsi della loro sovranità, subordinando alla sua riaffermazione tanto la Superstizione del volgo che l'ambizione del clero. Quali regolamentazioni dei culti le autorità civili intendono esercitare, dipende dal tipo di obbedienza che il loro comando comporta.
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