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 Il  culto della vita, il timore della morte ed il  potere teologico-politico

 

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SINTESI

 La minaccia di un'altra vita fatta di sofferenze interminabili è dunque l' intimidazione a cui ricorrono per sostenersi i regimi basati sulla Superstizione, sia che l' esercitino per indurre gli assoggettati, resi servi, a fare il proprio male come se fosse il proprio bene, sia che l'esercitino per indurre i sudditi a fare indirettamente il bene per paura del male, alimentandosi della trasformazione della vita in una meditazione ed in un culto perpetuo della morte

Invece libero e felice è l'uomo, per Spinoza, che desidera e compie il bene per se stesso, non per timore della morte, e che in conformità allo sforzo del suo essere di autoconservarsi e di potenziarsi, pensa soltanto a vivere, considerando ed evitando solo indirettamente le cose nocive. Libero per Spinoza è colui la cui esistenza è un culto continuo della vita, non della morte.

L'emancipazione dal timore della morte è da lui affidata sia ai dettami di arti di ben vivere, ispirate alle passioni felici ed alle affezioni attive che assecondano lo sforzo della nostra natura di potenziarsi, che alla comprensione razionale ed alla esperienza in vita del fatto di essere eterni.

Sperimentando già in vita di essere eterni nella partecipazione all'amore intellettuale di  Dio, prodotto dalla conoscenza del terzo genere di sé, di Dio, e delle cose naturali, il saggio non ha più paura di ciò che sarà dopo la sua morte.

Il Saggio, poichè è consapevole dell'eternità della sua mente, ed ha sviluppato le affezioni attive della conoscenza chiara e distinta che gli consentono l'eternità personale, sa che ciò che sarà dopo la morte è la beatitudine di essere immediatamente ed eternamente in atto nell'"amor dei intellectualis".

L'Etica e la Politica di Spinoza si configurano pertanto come uno sforzo sublime per emancipare dal senso impotente della morte sia l'amore della vita del volgo, per il tramite della religione universale d'amore, giustizia, remissione divina del male, della Fede desunta dalle Scritture come loro insegnamento, che l'amore per la vita degli intellettuali umanistici, nella beatitudine dell'amore intellettuale della divinità in cui si origina la Natura, assicurando nel diritto pubblico la connessione civile tra le due forme di culto e di affermazione della vita.

TESTO

La minaccia di un'altra vita fatta di sofferenze interminabili è dunque l intimidazione a cui ricorrono per sostenersi i regimi basati sulla Superstizione, sia che l' esercitino per indurre gli assoggettati, resi servi, a fare il proprio male come se fosse il proprio bene, sia che l'esercitino per indurre i sudditi a fare indirettamente il bene per paura del male, alimentandosi della trasformazione della vita in una meditazione ed in un culto perpetuo della morte.

La critica della Superstizione si risolve in tal modo per Spinoza nella critica di tutte quelle forme di autorità che si alimentavano della sensibilità angosciata acuitesi  a iniziare dalla seconda metà del Trecento in Europa occidentale, in cui il timore della morte era stato intensificato dalle catastrofi, alimentantisi  l'un l'altra, delle pestilenze, delle epidemie e delle nuove forme di guerra più cruente e durature, ed era sempre meno raffrenato  dalla concezione della morte come una liberazione della vita dell'anima dai limiti del corpo, in quanto sempre più la morte venne ritenuta solo la fine irrimediabile ed angosciante dell'esistenza terrena,  la sola esistenza umana. in cui credeva.

Si era manifestato al contempo uno slancio sempre minore verso  una beatitudine ultraterrena e sovrumana, un attaccamento sempre più forte ed esclusivo alla vita puramente terrena e mondana, esasperato dall' idea stessa della morte come suo scacco immanente, e la credenza residua nell'immortalità dell'anima, di una durata infinita,  si esprimeva più nel timore di un al di là di castighi terreni,  sensibilmente immaginabili, che nella tensione al'eterna beatitudine della contemplazione mistica di Dio..su cui facevano presa i poteri teologico-politici, per assoggettare gli uomini angosciati.1

L'uso della Superstizione per reprimere i desideri illimitati delle passioni dell'attaccamento materiale, non poteva che alimentarsi dello stesso immaginario di tali passioni, suscitando il timore di castighi infiniti dopo la morte, per cui , per imporsi, contrapponeva la cattiva infinità dei castighi eterni, ultraterreni, alla cattiva infinità dell'angoscia dei desideri illimitati. 2

Questo senso angosciato di una morte del corpo che poteva preludere alla seconda morte di una dannazione eterna dell'anima, era immanente a molte manifestazioni pubbliche della vita e dell'immaginazione individuale e sociale ( " Danze macabre", 

L'Abate,  xilografia, dalla serie della Danza della morte, 1523–26, 6.5 x 4.8 cm, di Hans Holbein  il Giovane.

http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre
La  Danza macabra (Abate e Balivo Paris, Guy Marchant, 1486  http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre
 La danza della morte (1493) Michael Wolgemut, dal Liber chronicarum di Hartmann Schedel.
Danza macabre http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre

 Lubecca, Totentanz  Bernt Notke  1463 circa, distrutto nel raid di un bombardamento nel 1942).
Danza macabra http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre

all'ingrandimento    
all'ingrandimento
Bernt Notke: Surmatants(Totentanz) in St. Nicholas' Church, Tallinn.  http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre

" Trionfi della morte", 

Pieter Brueghel il Vecchio, Il Trionfo della morte (c. 1562), Museo del Prado, Madrid. Brueghel  fu fortemente influenzato dallo stile di Hieronymus Bosch   http://en.wikipedia.org/wiki/Danse_Macabre

devoluzioni dei beni in opere carittive o nella trasmissione ereditaria ai figli, nuove forme di sepolture sepolcrali, ideali aristocratici umanistici di sopravvivenza nel culto della gloria, della virtù, della ragione), tra le quali, in particolare le " artes moriendi", che nella seconda metà del Quattrocento si erano diffuse rapidamente dalla Renania nel resto della Germania. nei Paesi Bassi, e poi in  Francia.

Tali "artes", specie nella versione della loro seconda fase,  ( 1480-1550), innovando una tradizione già secolare di moralità, che aveva i suoi antecedenti nel Trecento, già nella predicazione  di Enrico Suso e negli scritti del Petrarca,- di cui Spinoza possedeva nella sua biblioteca un esemplare del " De Vita solitaria"- non  si limitavano ad  assicurare l'arte di ben morire, con espedienti sicuri di salvezza terminale, magari ponendo rimedio solo  in extremis al corso di una vita trascorsa lontana dallo spirito cristiano, si proponevano altresì di dettare delle regole costanti per la condotta di vita quotidiana dei devoti, le norme di "un'arte di ben vivere" che miravano ad incutere nei fedeli un timore continuo della morte, suscitato dal senso dell'estinzione  finale e dalla paura dei castighi infiniti dell'inferno,  che servivano a pungolarli ad un'accumulazione continua di meriti validi per l'al di là celeste, con l'acquisizione contabilizzabile di indulgenze, o con la dispensa di elemosine o donazioni e lasciti testamentari.

La meditazione della morte diventava in tal modo l' ispirazione di arti di ben vivere per ben morire, trasformando l'intero corso dell'esistenza dei viventi in un tormento incessante, nell'ossessione di fare il bene più per il  timore dei castighi eterni, che per amore di Dio, per la Speranza e il Desiderio della Beatitudine Celeste.

Così, ad esempio,  le " artes moriendi" del XV secolo si affidavano più al timore dell'Inferno, che alla speranza dei gaudi del  Paradiso, per indurre al pentimento il peccatore in punto di morte, e per piegare la resistenza al salvamento che in lui era suscitata dall'amore di questo mondo, tanto più intenso nelle circostanze stesse in cui lo veniva lasciando, sulla quale, soprattutto, secondo le rappresentazioni iconografiche delle " artes", contavano gli assalti dei diavoli contro la fede e la speranza del morituro, per rendere vana la discesa al contrattacco dell'intera corte celeste del Paradiso, strenuamente impegnata in suo soccorso 

L'orgoglio dello spirito è una delle cinque tentazioni dell'uomo morente, in accordo con  l' Ars moriendi. Qui dei Demoni tentano l'uomo morente con corone (una allegoria medioevale dell'orgoglio e della superbia terrene) sotto la sguardo di disapprovazione di Maria, Cristo e Dio.  Xsilografia, sette(4a) di undici. Netherlands, circa 1460.
ars moriendi http://en.wikipedia.org/wiki/Ars_moriendi
Tentazione della mancanza di Fede, incisione diMaster E. S., circa 1450 http://en.wikipedia.org/wiki/Ars_moriendi

Si era così instaurata un'etica macabra in cui  il timore prevaleva sull'amore, lo scrupolo del peccato e dell'offesa a Dio sull'obbedienza immediata alla sua legge." ( Tenenti 1951: pgg. 85, 86, 80, 81.

Nei confronti delle forme di vita che trasformano l'esistenza in una meditazione incessante sulla morte , ed in uno sforzo costante di ben vivere solo per ben morire, il pensiero di Spinoza è la proposizione di un modello di vita che ne è integralmente il  contrario.

" L'uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua sapienza è una meditazione non della morte ma della vita"    ( Ethica, IV, 67).

Invece libero e felice è l'uomo, per Spinoza, che desidera e compie il bene per se stesso, non per timore della morte, e che in conformità allo sforzo del suo essere di autoconservarsi e di potenziarsi, pensa soltanto a vivere, considerando ed evitando solo indirettamente le cose nocive. Libero per Spinoza è colui la cui esistenza è un culto continuo della vita, non della morte.

L'emancipazione dal timore della morte è da lui affidata sia ai dettami di arti di ben vivere, ispirate alle passioni felici ed alle affezioni attive che assecondano lo sforzo della nostra natura di potenziarsi, che alla comprensione razionale ed alla esperienza in vita del fatto di essere eterni.

L'arte di ben vivere di Spinoza ricusa quali modi di salvezza e quali  esercizi di una buona vita ogni forma di Tristezza, ogni Odio, ogni Paura, ogni Rimorso9, ogni tetra penitenza ascetica e mortificante inflitta ai sensi, qualsiasi senso di Abiezione, di Risentimento, di Umiltà che sia disistima di sè stessi, ogni censura moralistica dei presunti vizi umani, tutti gli oscurantismi che sono di ostacolo alla conoscenza naturale chiara e distinta, del pensiero razionale critico e affermativo, mentre promuove  ogni sforzo di essere lieti e tutti i godimenti non eccessivi, qualsiasi reciprocità nell'amarsi gli uni gli altri, nogni esaltazione della potenza d'agire individuale, la gentilezza amorevole del  giusto elogio della virtù altrui e dell'intima soddisfazione per la propria,  tutto ciò che risulti utile al godimento della vita razionale, ogni tentativo conseguente di governare la fortuna, grazie alla virtù della priopria e altrui potenza, al fine di riempire l'animo del gaudio della vera coinoscenza ( Ethica, IV, 45, 47, 73; V, 10).
Superando ogni dualità tra la vita temporale presente e quella futura ed eterna, l'uomo puà sperimentare già in vita nella sua esistenza presente di essere eterno, in ogni partecipazione all'amore intellettuale di  Dio, prodotto hegli incolti dalla obbedienza devota ai suoi dettami di amore e di giustizia, nei saggi dalla  conoscenza del terzo genere di sé, di Dio, e delle cose naturali, cui tali norme ineriscono come luminose conseguenze necessarie, sicchè il saggio e l'uomo virtuoso per fede non hanno più paura di ciò che sarà dopo la  loro morte.

L'Etica e la Politica di Spinoza si configurano pertanto come uno sforzo sublime per emancipare dal senso impotente della morte sia l'amore della vita del volgo, per il tramite della religione universale d'amore, giustizia, remissione divina del male, della Fede desunta dalle Scritture come loro insegnamento, che l'amore per la vita degli intellettuali umanistici, nella beatitudine dell'amore intellettuale della divinità in cui si origina la Natura, assicurando nel diritto pubblico la connessione civile tra le due forme di culto e di affermazione della vita.




 

 

alla postilla spinoziana sulla immaginazione dei presagi 

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1Cfr Tenenti, 1952, 1957; Ariès, 1974

2Cfr. Deleuze ed.it. 1975 “ Simulacro e filosofia antica” in Appendice