L'Impotenza umana |
Alla
Pagina del capitolo seguente:
I
Rimedi degli affetti
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Nella sfera delle passioni umane,
a differenza delle Letizie moderate che possono costituire delle
condizioni dell’ agire attivo dell’ uomo,
quale causa adeguata delle proprie azioni corporee e delle proprie
idee, le Tristezze e le Letizie eccessive sono propriamente gli stati
di passività dell’ Impotenza umana, poiché
comportano la riduzione della nostra potenza di agire a potenza
prevalentemente di patire.
Sono infatti
degli individui impotenti non soltanto coloro che sono costretti all’
inazione, ma più in generale tutti coloro, e comprendono la quasi
generalità degli uomini, che
anziché seguire la sola determinazione interna o prevalente dell’
Appetito, assecondano l’ordine comune esterno della Natura a cui sono
assoggettati.
L’Impotenza,
infatti, così come Spinoza
la definisce nel passo seguente dell’ Etica , “ Consiste nel solo
fatto che l’uomo si lascia guidare dalle cose che sono fuori di lui, ed
è da esse determinato a fare ciò che è richiesto dalla costituzione
comune delle cose esterne, e
non ciò che richiesto dalla sua stessa natura considerata in sé sola”
( Etica IV, 37 Scolio I).
L’ Impotenza
si contrappone pertanto alla Virtù, che per l’ uomo “non consiste in
altro che nel vivere sotto la guida della sola ragione”(ibidem).
L’impotenza individuale può derivare
soltanto da cause esterne, che impediscono all’ uomo di procurarsi i
corpi di cui ha bisogno per conservarsi, che arrestano o diminuiscono la
sua potenza di agire, oppure ne potenziano eccessivamente solo una parte,
a danno della salute e del perfezionamento integrale del suo Corpo.
Identicamente, la stessa potenza della Mente è arrestata, o diminuita,
o incrementata in eccesso , nell’ordine e nella successione di
idee parziali e inadeguate.
Nella naturalità originaria degli enti
esistenti in atto, inclusi gli uomini, per Spinoza non è radicata, infatti, alcuna tendenza ad una attività
rivolta contro se stessi, alcuna autoaffezione avente la passività come
scopo ( Etica III, 45; Etica IV, 20, Scolio sul suicidio).
Nell’ essenza di un soggetto, per il
principio universale di non contraddizione
interna, non possono essere comprese delle determinazioni negative
che si oppongono, distruggendo il soggetto, alle conseguenze necessarie
che lo affermano (Etica, III, 4,5[m1]).[1]
“
Ma che l’uomo si sforzi per
la necessità della sua natura di non esistere e di mutarsi in un’altra
forma è tanto impossibile quanto è impossibile che dal nulla si faccia
qualche cosa, come ciascuno può vedere con un po’ di riflessione” (
Etica IV, 20, Scolio).
La vitalità umana non implica la tragicità di una forza di morte
inerente a se stessa, che le farebbe cercare la propria distruzione, come
ultima risorsa.
Un ente naturale, fintantoché non
incontra potenze maggiori o contrarie, tende pertanto ad affermare
soltanto ciò che lo conferma o che lo potenzia nel suo essere, appetendo
tutte le altre cose di cui ha bisogno per conservarsi.
Lo sforzo costante di affermarne
l’esistenza, è la prima e principale cosa
della nostra Mente, in quanto è l’idea del nostro Corpo
esistente in atto ( Etica III, 10).
“Ma l’essenza della Mente (come è noto di per sé)
afferma solo ciò che la Mente è e può, ma non ciò che essa non è e
non può; e quindi sa si sforza di immaginare solo
ciò che afferma, ossia
pone la sua potenza di agire” ( Etica III, 54)
Se l’uomo è affetto dalla Letizia
dell’ affermazione spontanea dell’ essenza della propria natura,
“ null’ altro desidera se non di conservarla, e ciò con tanta
maggiore Cupidità, quanto maggiore sarà la Letizia”( Etica III, 37,
dimostrazione) , sforzandosi, per quanto può , di immaginare e di
ricercare più delle altre le cose che ama.
Se invece è
affetto da Tristezza, tutto il suo sforzo consisterà nell’ allontanarla
( Etica III, 37 dimostrazione).
Così, benché
l’Amore che vince sull’ Odio sia maggiore che se l’Odio non lo
avesse preceduto( Etica, III, 44) “ nessuno tuttavia si sforzerà di
avere in odio qualche cosa, e
di essere affetto da Tristezza, per godere di tale Letizia maggiore; cioè
nessuno nella speranza di un
risarcimento di danni, desidererà che gli sia arrecato danno, né
desidererà di ammalarsi nella speranza di guarire.
Giacché ciascuno si sforzerà sempre di conservare il proprio
essere e di allontanare la
Tristezza per quanto può”( Etica III, 44, Scolio).
L’uomo non tende mai alla Tristezza come scopo
.
“ E’assurdo” che l’uomo
“desideri di rattristarsi” ( Etica V, 19, III, 28).
Lo sviluppo, da parte di u ente, delle
conseguenze necessarie della propria natura, al quale Spinoza ne riconduce
lo sforzo di perseverare nel proprio essere ( Etica III, /9, anche
in noi uomini tende ad affermarsi liberamente, se non siamo combattuti da
un affetto contrario alla nostra
natura .
Se patiamo in tal caso un affetto
contrario di Tristezza, la nostra potenza di agire ne sarà ostacolata in
misura proporzionale alla forza
dell’ affetto.
Ne consegue che al fine di prevalere noi
dovremo sviluppare uno sforzo per allontanare tale affetto che è tanto
maggiore quanto maggiore è la potenza esterna di tale affetto che ci
contraria ( Etica III, 37 Dimostrazione).
Tuttavia se la potenza della causa esterna
dell’ affetto supera la
nostra , tale sforzo risulterà vano, e noi seguiteremo ad immaginare
questo motivo di Tristezza, permanendo nella nostra impotenza, fintantoché,
in seguito ad un’ alta affezione, noi
no immagineremo allietandoci un’altra cosa di forza maggiore e contraria
alla precedente, che ci rattrista, la quale ne esclude
l’esistenza presente, poiché su di essa prevale in virtù della legge
fondamentale della dinamica delle passioni, secondo la quale “ un
affetto non può essere ostacolato né tolto se non da un affetto
contrario e più forte dell’affetto da ostacolare” ( Etica IV, 7).
Analogamente, nel caso di una Letizia
eccessiva, noi resteremo ostinatamente assoggettati a questa affezione,
pur se potenzia una parte soltanto del nostro Corpo, ed impedisce che sia
affetto in moltissimi altri modi nelle altre
parti, e patiremo tale eccesso fintantoché le Tristezze contrarie
del Dolore ( Etica, IV, 43) o degli Affetti di Speranza, di Paura ( Etica
IV, 47), di Pentimento( Etica IV, 54) o di Vergogna ( Etica, IV, 58), no
ne ostacoleranno il Solletico, in modo che questo non abbia più eccesso
(Etica IV, 44); oppure fintantoché una Letizia più forte, che rende
ugualmente atto tutto il Corpo ad essere affetto in più modo ed a
modificare i corpi esterni convenientemente, e che dispone al tempo stesso
anche la Mente a conoscere
adeguatamente, non prevale sulla Letizia eccessiva, adattandola a sé.
In tutti questi casi, è il principio di
non contraddizione interna ( Etica IV, 5),
che impedisce la coesistenza protratta di due affetti contrari in
un unico soggetto, e che impone, secondo il rapporto di forze,
il superamento della loro contrarietà, come ci indica l’Assioma
I della Parte V dell’ Etica:
“ Se nel medesimo soggetto sono eccitate due azioni contrarie, un
cambiamento dovrà necessariamente aver luogo in ambedue o in una sola,
finché cessino di essere contrarie”
L’adattamento degli affetti più deboli
a quelli contrari, e di essi più forti,
finché i primi non siamo più opposti ai secondi , è la soluzione
cui vanno incontro tutte le varie Fluttuazioni
di animo, cioè ogni “ stato della Mente
che nasce da due affetti contrari”
( Etica III , 17), prodotti da due affezioni simultanee, o da uno
stesso ente che affetti in modi diversi il nostro Corpo.
[1]
Etica III PROPOSITIO IV. Nulla res nisi a causa externa potest
destrui. DEMONSTRATIO.
Haec propositio per se patet. Definitio enim cuiuscumque rei ipsius
rei essentiam affirmat, sed non negat; sive rei essentiam ponit, sed
non tollit. Dum
itaque ad rem ipsam tantum, non autem ad causas externas attendimus,
nihil in eadem poterimus invenire, quod ipsam possit destruere. Q.E.D. PROPOSITIO V. Res eatenus contrariae sunt naturae, hoc
est, eatenus in eodem subiecto esse nequeunt, quatenus una alteram
potest destruere. DEMONSTRATIO. Si enim inter se convenire vel in eodem subiecto simul esse possent,
posset ergo in eodem subiecto aliquid dari, quod ipsum posset
destruere, quod (per prop.
praeced.) est absurdum. Ergo res etc. Q.E.D.
[m1] Ethica III PROPOSITIO IV. Nulla res nisi a
causa externa potest destrui. DEMONSTRATIO.
Haec propositio per se patet. Definitio enim cuiuscumque rei ipsius
rei essentiam affirmat, sed non negat; sive rei essentiam ponit, sed
non tollit. Dum
itaque ad rem ipsam tantum, non autem ad causas externas attendimus,
nihil in eadem poterimus invenire, quod ipsam possit destruere.
Q.E.D. PROPOSITIO V. Res eatenus contrariae sunt naturae, hoc
est, eatenus in eodem subiecto esse nequeunt, quatenus una alteram
potest destruere. DEMONSTRATIO. Si enim inter se convenire vel in eodem subiecto simul esse possent,
posset ergo in eodem subiecto aliquid dari, quod ipsum posset
destruere, quod (per prop.
praeced.) est absurdum. Ergo res etc. Q.E.D.
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