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La funzione sociale della conoscenza intellettuale e della rivelazione profetica |
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Profeti e teocrazia ebraica |
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Tutto il potere sulle cose sacre all' autorità sovrana |
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Nello Stato teocratico ebraico, ove religione e diritto civile si identificavano, e la pietà religiosa era considerata giustizia nell'opinione comune dei cittadini, i profeti, quali interpreti dei decreti divini, favorevoli o sfavorevoli, assumevano inevitabilmente una grande funzione politica.
Il potere sociale che acquisirono i profeti nella società ebraica traeva origine dai limiti che persistettero nella trasmissione da parte dei sudditi a Mosè ed ai successivi vicari ufficiali di Dio delle funzioni distinte dell'amministrazione e dell'esercizio del potere politico- affidata ai capi tribù- e dell' interpretazione e della comunicazione dei responsi divini, la cui manifestazione spettava alla tribù dei Leviti. Il potere dei profeti esprimeva pertanto la resistenza della popolazione civile ebraica all'azione politica delle autorità sovrane, ed alla traslazione assoluta delle proprie facoltà di decidere. "Bastava infatti che un uomo di provata onestà dimostrasse con qualche segno riconosciuto di essere profeta, perché avesse il sovrano diritto di comandare come aveva fatto Mosè in nome di Dio, che si era rivelato a lui solo, e non tramite la consultazione del pontefice, come facevano i capi. E non v'è dubbio che tali profeti potessero facilmente trascinare dietro a sè il popolo oppresso e convincerlo, anche con segni di poco rilievo, a fare ciò che essi volessero; mentre invece, se la cosa pubblica era bene amministrata, il principe poteva a suo agio far sì che il profeta soggiacesse anzitutto al suo giudizio, affinchè fosse da lui esaminato se fosse uomo di provata virtù, seoffrisse segni certi e indubitabili della sua missione e infine se ciò che voleva dire in nome di Dio fosse conforme alla dottrina tradizionale e alle leggi comuni della patria; e, se i segni non fossero stati sufficientemente dimostrativi, o se la dottrina fosse risultata una novità poteva legittimamente condannarlo a morte; mentre in caso contrario, il profeta era riconosciuto in base alla sola autorità e testimonianza del principe"(Trattato Teologico-Politico, XVII, pagine 428-429) Allorchè i principi cominciarono ad arrogarsi l'esclusività del supremo diritto dello Stato, e non tollerarono oltre l'esistenza di quello " Stato nello Stato" costituito dal diritto di legiferare del pontefice, i profeti divennero un'autorità del volgo di cui i re si servivano, insieme con l'introduzione di nuovi riti ad essi confacentisi, per contrastare i Leviti e togliere a loro ogni diritto consultivo, legando a sè in tal modo il popolo. Ma i profeti, veri o falsi profeti che fossero, quando non si lasciavano strumentalizzare dai re si servivano della loro autorità, a loro volta, sia per ridurre l'ascendente e il potere dei Leviti, che per influire sui modi che assumeva la concentrazione monarchica del potere politico, intervendo in modo decisivo nelle lotte di successione. "Ma, per quanto si sforzassero, i re non poterono mai raggiungere il fine che si erano proposti. I profeti, infatti, che erano preparati a tutto, aspettavano la circostanza opportuna e cioè il momento in cui a un re ne succedeva un altro, il cui potere - come accade- era sempre precario finchè durava la memoria del precursore; e allora potevano facilmente valersi della divina autorità per indurre qualcuno che fosse avverso al re e noto per la sua virtù a rivendicare il diritto divino e a impadronirsi regolarmente del potere o di una parte di esso" ( ibidem, pg.437). Ma nemmeno i veri profeti potevano attuare i loro validi intenti. L'uomo virtuoso che contrapponevano ai re che avversavano, ed ai falsi profeti, per il timore che a costui incutevano i cittadini privati finiva a sua volta per diventare inevitabilmente un tiranno ( Trattato teologico-Politico, XVII, pg. 454). "Nemmeno i profeti potevano tuttavia in questo modo riuscire nei loro intenti perchè quand'anche fossero riusciti a sbarazzarsi del tiranno, continuavano tuttavia a sussistere le cause della tirannide. onde essi non facevano altro che comprare un nuovo tiranno pagandolo a profusione con il sangue dei cittadini. E così non si giungeva alla risoluzione delle discordie e delle lotte intestine, i motivi di violazione del diritto divino erano sempre gli stessi e non si potevano eliminare se non provocando nello stesso tempo l'intera dissoluzione dello Stato" ( ibidem). L' impotenza nell'esercizio di un'autorità sovrana, che così confliggendo l'una contro l'altra manifestavano le varie forze ed individualità autorevoli della civiltà ebraica, la loro incapacità d'essere altro che elementi della sua disgregazione e dissoluzione, trova la sua spiegazione nel fatto che l'elezione del popolo ebraico implicava al tempo stesso la sua miseria. Lo stato ebraico, infatti, più che dall'ingegno di uomini non comuni, traeva origine da un concorso particolarmente favorevole di circostanze esterne, che furono tanto più necessarie al suo formarsi quanto più era rozzo e puerile l'animo del popolo ebraico, essendo esso appena reduce dalla schiavitù in Egitto. ( Trattato Teologico-Politico, III ) Lo stesso Mosè, per la natura immaginaria della rivelazione ricevuta, non fu in grado di comprendere la ragione interna delle leggi e della costituzione civile che per il suo tramite furono date allo Stato ebraico, il nesso tra il tipo di obbedienza che così si richiedeva e gli scopi prefissati, né come tali ordinamenti rappresentassero il miglior tipo di organizzazione possibile in quelle circostanze ( Trattato Teologico-Politico, IV, pg. 110). La particolare rozzezza d'ingegno e la fortissima inclinazione alla Superstizione del popolo ebraico, che è attestata dallo stesso Mosè, furono le cause stesse che impedirono che la loro comunità fosse ordinata secondo il primitivo disegno, secondo il quale, nel ministerio di interpreti delle leggi divine, " a ciascuna tribù sarebbe stato riconosciuto un eguale diritto e prestigio e tutto sarebbe proceduto nel modo più sicuro" ( Trattato Teologico-Politico, XVII, pag.435), come attesta metaforicamente l'episodio del culto del vitello d'oro, un'idolatria superstiziosa per la quale gli Ebrei incorsero nell'"ira di Dio", ossia in conseguenze necessariamente peggiorative, " i primogeniti furono ripudiati e incriminati, e al loro posto furono eletti i Leviti ( vedi Deuteronomio 10,8 )" ( Trattato Teologico- Politico, XVII, pag.434). Se i profeti non poterono dunque rimuovere le cause del dispotismo sovrano, in realtà questo avvenne perchè la tirannide aveva lo stesso radicamento della loro autorità, ch'era ugualmente riposto nelle cause stesse della Superstizione e della falla dissolutrice dello Stato ebraivco: lo speciale concorso di cause esterne favorevoli alla sua formazione a cui anzichè uno stato di crescita intellettuale e spirituale corrispose l' abbrutimento persistente del popolo ebraico, già degradato dalla schiavitù in Egitto, il che richiese e rese assolutamente necessaria un'obbedienza fiortemente coercitiva e ritualizzata, che coartava gli Ebrei a sottostare senza consultare la ragione ( Trattato Teologico-Politico, XVII, pag.433). In tal modo gli Ebrei poterono costituirsi in Stato e sopravvivere come civiltà, ma ne fu impedito l'aumento delle facoltà e delle conoscenze naturali, per cui, in concomitanza con una congiuntura di circostanze esterne favorevoli, rimasero impotenti e inclini alla Superstrizion, .e quantomai disponibili a sottomettersi, sia pure con incostanza, alle autorità, che di volta in volta, apparivano quelle più carismatiche perchè si accreditavano come gli interpreti dei decreti divini più favorevoli alle loro inclinazioni impermanenti, nelle figure di re, o di profeti, o di Leviti o Pontefici. " E così non si giungeva alla risoluzione delle discordie e delle lotte intestine i motivi di violazione del diritto divino erano sempre gli stessi, e non si potevano eliminare se non provocando nello stesso tempo l'intera dissoluzione dello Stato" ( Trattato Teologico- Politico XVII, pg.437).
Il potere profetico,
pertanto,
era un effetto della formazione della nazione ebraica che ne
assecondava l'intrinseco processo di disfacimento, e per
l'insegnamento più generale che se ne può trarre, i
poteri dei profeti di giudicare se l'operato dei re era conforme o contrario al diritto divino, non che di riprovare pubblicamente le loro imprese, "dimostrano
come questa libertà recasse alla religione più danno che vantaggio, per
non dire delle gravi guerre civili che ebbero origine dalla pretesa
dei profeti di riservare per sé l'esercizio di ogni diritto" ( Trattato
Teologico-Politico, XVIII, pg.451).
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